2020-11-18
La chiosa di Bianchi sul caso Etruria. «Lo str... è Ghizzoni, non la politica»
Federico Ghizzoni (Getty images)
La mail del 2017 a Marco Carrai, bersagliato per le presunte pressioni all'ex ad di Unicredit.La mattina del 21 dicembre 2017 Marco Carrai invia una mail ad Alberto Bianchi per comunicare in maniera formale le sue dimissioni «irrevocabili e con decorrenza immediata» dalla Fondazione Open. Due minuti dopo arriva la risposta di Bianchi: «O codesta??». Segue un fitto scambio di messaggi: «Mi sono rotto il cazzo, nessuno mi ha scritto “ci dispiace, ti abbiamo causato un monte di guai", quindi ora devo pensare al mio nome e solo a quello. Io non campo di politica», scrive Carrai. In quei giorni, i riflettori sono accesi sulle «relazioni pericolose», intrecci tra il Giglio magico, in particolare di Maria Elena Boschi, e la Popolare dell'Etruria di cui Boschi padre era stato presidente. Davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche, presieduta da Pier Ferdinando Casini, sfilano testimoni e protagonisti del crac dell'istituto aretino. Il 20 dicembre 2017, il giorno prima dell'annuncio delle dimissioni di Carrai a Bianchi, si tiene l'audizione più attesa. Quella dell'ex ad di Unicredit, Federico Ghizzoni. Sta a lui confermare o meno quello che Ferruccio de Bortoli aveva scritto nel suo libro Poteri forti e cioè che da parte dell'allora ministro Boschi ci sarebbe stata una sollecitazione su Unicredit in merito a una possibile acquisizione della Popolare. Ghizzoni consegna agli atti della Commissione anche una mail del 13 gennaio 2015, mittente Marco Carrai. «Ciao Federico, solo per dirti che su Etruria mi è stato chiesto di sollecitarti se possibile e nel rispetto dei ruoli». Ghizzoni «decise volutamente» di non chiedere chiarimenti o da dove arrivassero le sollecitazioni perché non voleva «aprire altri canali di comunicazione». Il banchiere specifica di non aver mai avuto rapporti con Carrai e di non averlo considerato un referente politico. Carrai si difende spiegando che «si trattava di questione tecnica. Ero interessato, nel rispetto dei ruoli come ho scritto non a caso nell'email, a capire gli intendimenti di Unicredit riguardo Banca Etruria perché un mio cliente stava verificando il dossier di Banca Federico Del Vecchio», di proprietà di Etruria. Ma il giorno dopo finisce lo stesso nel tritacarne mediatico. La decisione di Carrai di dimettersi dalla Fondazione Open è, dunque, comprensibile. Ma Bianchi tenta di farlo ragionare. «Va bene ma perché lasciare la Fondazione? Lì ci sono anche io, che non campo di politica, è stata fatta per un amico, in particolare il tuo. E non è la politica che qui ti inguaia ma un manager che ci metterebbe un minuto a dichiarare adesso sì, ha ragione Carrai, il suo interessamento non era per Etruria. Sbagli a lasciare. Non è nella politica che non ti vogliono bene ma negli affari: per invidie o per altro, che va capito. A prescindere dal dispiacere mio se lasci, a prescindere dal fatto che, come sappiamo, la liquideremo», scrive Bianchi. Ma Carrai non è d'accordo: «Non credo proprio, se senti ciò che ha realmente detto Ghizzoni». Bianchi replica ancora: «Io invece penso che ci siano varie cose insieme, che tu sei amico di, ora è di moda sparare su di lui e sui suoi amici, e che nell'ambiente del business non tutti ti vogliono bene. Comunque qui lo stronzo è Ghizzoni, non la politica». L'avvocato aggiunge poi una frase sibillina: «E comunque se Matteo non dà un colpo d'ala sono e continueranno ad essere guai. E il colpo d'ala lo sai da cosa passa». A quale colpo d'ala si riferisca Bianchi non si sa. Qualche ora dopo, ai giornalisti che lo incalzano sull'affaire della mail Carrai-Ghizzoni, Matteo Renzi risponde lapidario: «Non ne sapevo assolutamente niente».
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)