
Il fondo Elliott presenta un ricorso contro quello depositato da Vivendi. Obiettivo reciproco: fare invalidare le richieste in vista dell'assemblea. Nel frattempo il sindacato chiede un incontro ai gruppi parlamentari per potersi sedere al tavolo delle trattative.Ci mancava Susanna Camusso a fiondarsi su Tim e guidare il gruppetto della triplice. L'obiettivo delle tre sigle sindacali è quello di organizzare (è stata depositata richiesta formale) un incontro con i gruppi parlamentari dei vari partiti e fissare dei paletti sul futuro della società telefonica contesa dai francesi di Vivendi e dal fondo americano Elliott. L'intento della Cgil è tutelare l'occupazione nel perimetro dell'azienda e del comparto. Chiaramente la mossa nasconde un secondo obiettivo, non altrettanto nobile. Ovvero quello di sedersi a un tavolo di trattative. Qualunque tavolo, perché l'importante per i sindacati è mantenere una voce in capitolo, al di là dei risultati che si possono ottenere. Perché essere presenti a un tavolo significa essere vivi e giustificare la propria esistenza. L'arrivo in campo di Cassa depositi e prestiti ha poi portato ossigeno alle sigle e la speranza che con lo Stato ogni piano industriale passi in seconda fila. «Dopo aver salutato con favore la decisione di Cassa depositi e prestiti di entrare nel capitale sociale di Tim, «serve ora chiarire quale ruolo può avere Cdp nel futuro dell'azienda»: hanno scritto i sindacati di categoria Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil nel documento unitario allegato alla richiesta di incontro indirizzata ai presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. «L'ingresso di Cdp nel capitale sociale con una quota di circa il 5% per le organizzazioni sindacali deve servire innanzitutto a dare stabilità di governance all'azienda, confermando e difendendo il profilo di public company. La presenza di Cdp nel capitale deve poi assicurare gli investimenti necessari allo sviluppo del Paese, la stabilizzazione finanziaria dell'azienda e le garanzie occupazionali dei dipendenti diretti e dell'indotto», hanno ribadito i sindacati. Il termine public company fa venire qualche brivido alla schiena perché si sa dove si inizia e non dove finisce. La presenza dello Stato nelle aziende è sempre un pericolo per i soldi dei contribuenti. In questo caso specifico e relativo alle telecomunicazioni i sindacati hanno poi un precedente micidiale. La trattativa con Almaviva contact avvenuta un anno e mezzo fa ha dimostrato che il sindacato non è in grado di cogliere l'evoluzione di un settore. Prima ha proposto un referendum dal quale è uscito bocciato e poi ha rifiutato una proposta innovativa utilizzata recentemente per il rilancio di Alcoa, la partecipazione al capitale sociale. Il pericolo finale di questo interessamento sindacale su Tim è che aggiunga confusione a un momento così delicato. Ieri sono stati depositati al tribunale di Milano i ricorsi di Vivendi e di Elliott per bloccare le rispettive richieste sul cda da valutare martedì prossimo. Nel mirino del cda di Tim e del primo azionista francese è finita la decisione dei sindaci di accogliere la richiesta di Elliott sulla revoca di sei membri del board in quota al gruppo francese per sostituirli con sei nomi avanzati dal fondo. Da qui la richiesta al giudice civile di Milano per «l'adozione di provvedimenti di urgenza entro la data dell'assemblea» in vista della quale ieri Elliott ha incassato il voto a suo favore dell'associazione dei piccoli azionisti Telecom Italia. Lo scenario futuro spinge comunque verso l'ipotesi di un accordo tra le parti. Il rischio è che le operazioni straordinarie promosse comunque da Elliott, richiedendo una maggioranza ben precisa in assemblea, si arenino in ogni caso. Immaginare che i sindacati soffino sulla brace di Cdp per promuovere iniziative di mera immagine renderebbe i prossimi mesi ancora più complicati.
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.






