2020-06-23
La Carta proibisce le porte girevoli. Chi fa politica deve lasciare la toga
Giuseppe Valditara (Ansa)
Essere indipendenti significa non alimentare il sospetto di avere vincoli di partito.C'è ancora qualcuno che, avendo scelto di entrare in politica per rivestire il ruolo di deputato o senatore, ritiene, senza che nessun dubbio lo sfiori, che potrà tornare a indossare la toga quando sarà terminato il suo impegno parlamentare. Che minaccia, se gli fosse impedito, di ricorrere alla Consulta.Ricordo il mio primo giorno in magistratura, il giuramento di fedeltà alla Costituzione e alle leggi e il fervorino consueto «devi essere imparziale e sembrare anche tale». Me lo aveva già detto mio padre e ne ero e ne sono fermamente convinto. Chi ha scelto di indossare la toga sa che è tenuto a certi comportamenti che costituiscono anche una limitazione personale, un sacrificio, come quello di evitare di frequentare un caro amico di scuola il quale sia incorso in una vicenda giudiziaria per una questione di assegni non coperti.Questa, secondo l'opinione prevalente dei cittadini, deve essere l'immagine del magistrato al quale la legge attribuisce il ruolo, fondamentale in tutti gli ordinamenti, fin dai più antichi, quando i giudici si identificavano nei sacerdoti, di garantire a tutti i componenti di una comunità organizzata in Stato, la pacifica convivenza attraverso la tutela dei diritti e la punizione delle azioni previste come reato. Questo ruolo, che un tempo veniva definito con una certa enfasi «missione», esige soggezione «soltanto alla legge», come si esprime l'articolo 101 della Costituzione. Indipendenza garantita soprattutto dalla persona, dalla sua etica professionale. Perché, di fronte a un magistrato che entra in politica, il cittadino può legittimamente avere il dubbio che, nell'esercizio delle sue funzioni di magistrato, sia stato condizionato dalla sua appartenenza politica e dall'aspettativa di una candidatura. Ed è ancor più grave che una persona la quale ha fatto politica, che, pertanto, si è schierata, torni a fare il magistrato, che passi da una condizione naturalmente «di parte» a una istituzionalmente «neutrale». Sembra così naturale che stupisce non lo comprendano persone colte, pratiche di diritto. L'articolo 98, comma 3, della Costituzione prevede che «si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, rappresentanti diplomatici e consolari all'estero». È evidente che con la limitazione di iscrizione ai partiti il Costituente intendeva tenere fuori dalla politica attiva alcune categorie di pubblici dipendenti titolari di funzioni di interesse generale. Per il magistrato, in particolare, si vuole che sia e appaia neutrale agli occhi del cittadino. E non appare certamente indipendente, anche quando personalmente lo è, il magistrato che scende in politica. Non c'entra niente dire che si vorrebbe in tal modo un magistrato senza idee, senza opinioni. Niente affatto. Si vuole un magistrato che non deve porre in essere comportamenti che possano far dubitare che opinioni e idee lo condizionano. E il dubbio viene a chi sa che quel magistrato si vuol candidare o è stato in politica, che partecipa a convegni di partito, che sottoscrive mozioni le quali dimostrano che è schiarato per una parte politica, come ha ricordato Giuseppe Valditara, ordinario di diritto romano a Torino, nel suo libro Giudici e legge, richiamando i documenti di alcune correnti dell'Anm, in particolare di Magistratura democratica, che sono autentici proclami di partito. La «degenerazione del correntismo» ha provato l'esistenza di «cordate» non solo di amici ma, soprattutto, di magistrati schierati su posizioni contigue a quelle dei partiti politici, come hanno rivelato molte delle intercettazioni pubblicate dalla Verità che hanno dato conto di scelte chiaramente politiche anche nei privati conversari.Chi decide di darsi alla politica deve abbandonare la toga. Devono pretenderlo i magistrati veramente indipendenti che sono la stragrande maggioranza. È una riforma urgente per restituire alla magistratura, ai tanti che sono e appaiono indipendenti, il prestigio perduto per colpa di pochi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)