2022-10-02
La California sdogana l’infanticidio: anche i bimbi nati non hanno diritti
Gavin Newsom, governatore della California, (Ansa)
La legge dem permetterà l’uccisione dei piccoli sopravvissuti per errore. La cosiddetta «morte perinatale» rende legale infatti la soppressione fino a un mese dopo il parto. Pro vita e Famiglia: «Siamo al fanatismo».Chi ha buona memoria ricorderà che alcuni anni fa fece scalpore la proposta di due studiosi italiani di legittimare l’infanticidio. Perché, secondo la loro tesi, le «ragioni» della legalizzazione dell’aborto (incoscienza del feto, diritti della donna, eugenetica, malattie inguaribili) militerebbero anche in favore dell’infanticidio. Cioè della soppressione del bambino, nei primi giorni o nei primi mesi dopo la nascita. Al tempo ci fu una levata di scudi contro questa nuova, ma in verità antichissima, aberrazione morale. Ma nessuno poté dimostrare - giacché è indimostrabile - l’illogicità dell’assunto. Se in effetti l’aborto è moralmente giusto e legalmente ammissibile per gli argomenti sopra visti, per le medesime ragioni, anche il neonato potrebbe, almeno in astratto e in certi casi, essere soppresso dal chirurgo.Lo studio pro infanticidio fu pubblicato sul Journal of Medical Ethics dai bioeticisti italiani Alberto Giubilini e Francesca Minerva nel 2012. La rivista in questione non era una gazzetta di sprovveduti o un giornale estremista, ma una delle riviste di etica scientifica più autorevoli al mondo. I due autori, oltre a insulti e invettive di parte sia cattolica che laica, non ebbero però risposte chiarificatrici. E la storia insegna che gli errori, per mostruosi che siano, se non vengono analizzati e confutati alla radice, sono destinati a riprodursi. Pro vita e famiglia ha infatti denunciato l’ultima deriva del «fanatismo abortista». Ovvero lo «sdoganamento dell’infanticidio». Avvenuto stavolta non su riviste scientifiche ed elitarie. Ma nella legge di un Paese teoricamente civile. Così, «il 28 settembre, il governatore della California, Gavin Newsom, ha firmato una serie di progetti di legge relativi all’espansione dell’accesso all’aborto e all’infanticidio». Faccio notare che il legame tra i due concetti, aborto e infanticidio, esiste sia dal punto di vista biologico-evolutivo (sempre di essere umano in via di sviluppo si tratta), sia dal punto di vista logico. Non a caso i due scienziati italiani, per sdoganare l’infanticidio, parlavano nel loro studio di «aborto post natale». Oggi in California, secondo la combattiva associazione di Jacopo Coghe e Toni Brandi, la legge AB2223, consentirà «alle persone di uccidere i bambini nati vivi dopo tentativi di aborto falliti». Ma come si è arrivati fino a ciò? Ebbene, se è la sola volontà della donna a dover decidere sul nascituro (l’uomo è escluso, come se non fosse il padre del bambino) e l’aborto non è riuscito, allora bisogna procedere comunque. O la va o la spacca. O volete opporvi come fa Viktor Orbán ai diritti assoluti e intangibili delle donne, e imporre loro un figlio sgradito, malato e non contemplato?Ora, nell’America dei diritti guidata dal progressista Joe Biden, e nella mitizzata California presieduta dal democratico Newson, una nuova legge pro choice intende depenalizzare e legittimare quello che chiama la «morte perinatale». Una locuzione volutamente anfibologica che, secondo Pro vita, ammetterebbe la soppressione del bambino «fino al primo mese dopo la nascita (e talvolta anche oltre)». Questo infatti indicherebbe l’espressione nella giurisprudenza americana. Lo scopo della nuova legge sarebbe quello, secondo gli Students for life statunitensi, di proteggere legalmente ospedali cliniche e chirurghi nel caso in cui costoro decidano di non fornire «assistenza medica ai bambini nati vivi dopo aborti falliti». Appare evidente che questo concetto di «morte perinatale» sembra proprio realizzare, dieci anni dopo, l’auspicio dei due bioeticisti italiani sulla legalizzazione dell’aborto «post natale». Di cui però, almeno in California, «nessuno sarà ritenuto responsabile». Il passante incidentato o il collega con un malore andrebbe soccorso, sia per legge sia per le antiche buone maniere. Mentre il bimbo, che ha avuto la «colpa» di nascere, allorché si è tentato di spegnere un cuoricino pulsante e non ci si è riusciti, no. Se non è voluto, il neonato va lasciato in balia del destino. Magari assistendo silenti a un’infame agonia. Omicidio? Non scherziamo. Solo «aborto post natale» o «morte perinatale».Signori del progresso che giustamente temete l’oscurantismo che la neo strega Giorgia Meloni porterà immancabilmente in Italia, come la mettiamo con tali violente mostruosità? E voi amabili ed encomiabili femministe che già iniziate a discriminare la futura premier, benché donna, come la mettiamo con la soppressione di bambine sopravvissute all’aborto, oppure con malattie gravi scoperte alla nascita, che ottunderebbero la loro dignità?L’immenso matematico e filosofo ebreo Giorgio Israel spiegava bene in un libro che non invecchia Chi sono i nemici della scienza? (Lindau, 2008). E descriveva con orrore la proposta del diabolico duo di cui sopra. Definita come un ritorno, in pieno XXI secolo, «al nazismo e agli spartani». E voi cari liberal che weltronianamente credete che «il futuro è sempre meraviglioso» che ne dite: non è forse il caso di mettere sotto accusa la California, e di lasciare in pace i governi di Ungheria e Polonia?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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