2021-01-10
La bellezza delle rose che ispirò la Dickinson
L'incantevole fiore spinato ammaliò la poetessa americana, ma trovò i primi estimatori nelle civiltà egizie e della mezzaluna fertile. I petali erano usati nelle cerimonie domestiche e religiose e Giuseppina Bonaparte se ne fece adornare il giardino con specie rare.Chi non si è mai incantato nell'ammirare le geometrie e le sfumature di una rosa in un giardino? Oramai esistono migliaia di varietà alle quali ogni anno si aggiungono nuove, ambiziose e sempre più stupefacenti cultivar ibridate nei vivai. Antiche, cinesi, tea, rampicanti, floribunde, tardive, ne esistono oramai per tutti i giusti. Ma non è sempre stato così: fino a un secolo fa le rose erano poche e tutt'altro che a buon mercato. «Cogli la rosa quando è il momento, ché il tempo lo sai che vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà».Scriveva il grande Walt Whitman (1819-1992), quasi a rispondere, idealmente, a una poesia di Emily Dickinson (1830-1886):«Un sepalo ed un petalo e una spina/ In un comune mattino d'estate/ un fiasco di rugiada, un'ape o due/ una brezza/ un frullo in mezzo agli alberi/ ed io sono una rosa!»L'idea che tendiamo a custodire del fiore è che si tratti di una delle più delicate, fragili, indifese ed effimere manifestazioni della natura. Non c'è da sorprendersi che fra i poeti fondativi della letteratura americana vi fosse attenzione per i canti naturali, in quanto manifestazioni di quel Dio che è stato fin dall'arrivo dei padri pellegrini oltreoceano faro e regolatore. Ma se la natura selvaggio degli spazi sconosciuti, i luoghi remoti e ostili, le bestie feroci, rappresentano una natura da cui l'uomo doveva ripararsi e guardarsi, fiori, uccelli, arcobaleni invece simboleggiano quella natura curata dalla mano e dalla sapienza, prove della grazia e della benevolenza del Signore per noi. Se in Whitman il viaggio e l'ascolto del paesaggio sono sempre stati materia pulsante, nella Dickinson il giardino è un ambiente ideale dove mettersi alla prova e sperimentare le varie forme della bellezza, come ci informa la studiosa ed editor Benedetta Centovalli nel suo taccuino - un incantevole e incantato viaggio emotivo nei luoghi e negli scritti della poetessa americana - Nella stanza di Emily (Mattioli 1885). «Fiorire - è il fine - chi passa un fiore/ con uno sguardo distratto stenterà a sospettare/ le minime circostanze/ Non deludere la natura grande che l'attende proprio quel giorno / essere un fiore, è profonda responsabilità».L'incanto è dunque questione di attimi e per onorarlo è opportuno vivere l'istante con responsabilità. Ovvero: vivere il tempo a disposizione nell'intensità di un fiore. La rosa, fra i tanti fiori è certamente uno dei più osservati e coltivati. Evitando d'imbarcarci nell'improba missione di scartabellare gli innumerevoli e splendidi manuali e cataloghi dedicati alla fotografia delle rose, ci dedichiamo a un libro da poco arrivato sugli scaffali, Il romanzo della rosa. Storia di un fiore (Add editore), cucito con la consueta grazia dalla cultrice Anna Peyron, «vivaista anomala, entrata nel mondo delle piante e dei giardini con l'entusiasmo e la curiosità della neofita», come scrive di sé.La rosa spunta nel vasto laboratorio di tentativi e inganni di Madre Natura trentasette milioni di anni fa. Inizia a trovare estimatori nelle civiltà egizie e della mezzaluna fertile. Quindi Anatolia, Grecia e Roma. Ovviamente già nei tempi antichi il profumo delle rose veniva apprezzato: i petali erano usati nelle cerimonie domestiche e nelle funzioni religiose in Cina quanto in India, in Persia e a Roma, dove venivano anche dispersi, insieme a oli profumati, nelle acque termali. Al tempo dei Cesari le rose venivano coltivate a Preneste, a Sud della capitale, e a Leporia e Paestum, a Sud di Napoli. L'acqua distillata di rose era pregiata al tempo dei Moghul e dei Mori in Spagna, veniva coltivata in Marocco, in Siria, in Persia. Oggi il paese produttore di rose è diventata la Bulgaria, eh già, credevate la Cina? Anch'io, ma no. Ai piedi del Balcani esiste una valle delle rose da cui, come ci informa la Peyron, si ottiene l'85% di tutte le essenze prodotte nel mondo. Impressionante. La protagonista è la preziosa e profumatissima Rosa damascena di cui scrisse il poeta Sa'di nel XIII secolo:Perché annusando la rosa/ Pensi alla sua effimera bellezza?/ Conserva il ricordo del suo profumo/ E dimenticherai che è già sfiorita».Il volume di Anna Peyron ci racconta moltissime storie. Ad esempio si descrive la storia dei giardini e dei roseti della residenza Malmaison, a Rueil, alle porte di Parigi. Fu acquistata da Marie-Josèphe Rose Tascher de La Pagerie (1763), seconda moglie di un certo Napoleone Bonaparte; mentre il marito guerreggia in giro per l'Europa, in Nord Africa e in Medio Oriente, la moglie recupera e adorna la residenza, coinvolgendo architetti, giardinieri, botanici, zoologi, chimici e matematici. Nei suoi giardini fa piantare specie rare, fra le quali non poche esotiche. Le rose sono fra le sue preferite e si rivolge ad André du Pont - serviteur des roses al Jardin du Luxemburg - all'ibridatore Eugène Hardy e ai più rinomati vivai di Parigi.Dopo la morte di Giuseppina il giardino perde di importanza ma viene recuperato, diventando un esempio per lo svago di diverse gran dame del continente. È il caso di Maria Carolina Ferdinanda di Borbone (1798-1870), regina di Napoli, che fa edificare un giardino all'inglese nella sontuosa Reggia di Caserta, tutt'ora sfavillante, con viali, boschetti, un laghetto dove una statua di Venere fa il bagno, citroniere imponenti, finte rovine classiche e un ampio roseto. I saggi della Peyron ci informano dell'arrivo delle «capostipiti», le prime rose cinesi importate in Europa sul finire del Settecento. Imbarcate con foglie di tè, sostano a Calcutta dove acquistano le nomenclature botaniche bengalensis e indica. La prima rosa cinese in Europa approda nel 1792 al porto di Londra, è una Rosa chinensis sub. Semperflorens, fiori doppi, color rosso cupo. L'anno dopo sbarca la Rosa gigantea, che trova un luogo adatto alla fioritura nel giardino di John Parsons, e infatti viene ribattezzata Parson's Pink China. Robert Fortune (1812-1880), avventuroso botanico scozzese, viene inviato dalla Royal Horticultural Society in Cina, dove a Ning-Po scova in un giardino due delle rose che lo rendono celebre, l'una chiamata Fortune's Double Yellow, rampicante a fiori doppi, l'altra Five Colours China Rose. E ancora personaggi e vivai in Francia, Stati Uniti, Ungheria e anche nella nostra Italia, soffermandosi ad esempio, per alcune pagine, sui giardini di Capo Mortola, voluti dai fratelli Hanbury nei terreni che circondavano l'allora Palazzo Orengo, e disegnati dal botanico prussiano Ludwig Winter (1846-1912).
Ecco #DimmiLaVerità del 9 settembre 2025. Il deputato di Azione Fabrizio Benzinai commenta l'attacco di Israele a Doha, la vicenda di Flotilla e chiede sanzioni nei confronti dei ministri di Israele.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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