2019-11-25
La beffa del Mes: con la nuova versione potremmo pagare noi le banche tedesche
La riforma prevede che il fondo possa versare denaro al veicolo per salvare gli istituti. Ma solo quelli di un Paese giudicato solido.Vi siete mai chiesti perché la Germania desideri così tanto questa contestata riforma del Mes? La risposta probabilmente sta in una modifica all'apparenza innocua, o perlopiù incomprensibile, del suo statuto, scritta nell'algido linguaggio del burocratese europeo: «Il Mes può approntare il dispositivo di sostegno allo Srf fermo restando quanto previsto dal diritto dell'Unione europea e fatte salve le competenze delle istituzioni e degli organi dell'Unione europea. I prestiti tramite il dispositivo di sostegno sono concessi soltanto in ultima istanza e purché sia assicurata la neutralità fiscale nel medio periodo».È il nuovo paragrafo 1 bis, inserito all'articolo 12. Le parole chiave sono «dispositivo di sostegno» e «Srf». Tradotto per noi persone normali suona più o meno così: fino a ieri il Mes poteva prestare soldi ai singoli stati purché rispettassero precise «condizionalità», ovvero programmi di austerità fatti di tasse e tagli alla spesa pubblica. I soldi così dolorosamente ottenuti potevano però essere utilizzati anche per ricapitalizzare istituti di credito in difficoltà. Recitava - e continuerà a recitare - infatti l'articolo 15 dello statuto del Mes come segue: «Il consiglio dei governatori può decidere di concedere assistenza finanziaria a un membro del Mes ricorrendo a prestiti con l'obiettivo specifico di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie dello stesso membro del Mes». Ma dopo la riforma, qualcuno dei membri del Meccanismo - uno a caso: la Germania - alle prese ad esempio con le difficoltà di Deutsche Bank o Nord Lb, potrà ricapitalizzare le sue banche in modo molto ma molto più furbo. La parolina magica - come detto - è «dispositivo di sostegno»; il «rinforzino», avrebbe detto l'immortale conte Mascetti di Amici miei, cioè soldi che dal Mes potranno arrivare direttamente allo Srf (che poi è il Fondo unico di risoluzione), cui spetterà il compito di coordinare la liquidazione controllata degli istituti in difficoltà dentro la demenziale procedura del bail in. Una dolorosa liquidazione che prevede, in caso di dissesto bancario, che le perdite siano assorbite prima dagli azionisti, poi dai detentori di obbligazioni subordinate, poi dai semplici obbligazionisti, poi dai depositanti con giacenze sui conti superiori a 100.000 euro e quindi dai fondi interbancari di tutela e dal Srf, appunto. E i soldi così furbescamente elargiti al Srf potranno servire nell'ambito di più o meno comprensibili piani di ristrutturazione delle banche interessate.In pratica si prende il frutto marcio (la Banca insolvente); lo si «scattiva» (cedendo le sofferenze a prezzi irrisori e addossando la perdita in capo ai risparmiatori) e si presenta il piatto agli amici degli amici che pagheranno questa leccornia corrispondendo il giusto (per loro) prezzo. Con un piccolissimo e non trascurabile particolare: il cuoco che scattiva la mela marcia e il miele lo pagherà pure l'Italia. Con la nuova procedura messa in piedi dall'articolo 12 non sarà inoltre necessario neppure sottostare a procedure capestro fatte di Imu, Fornero, clausole di salvaguardia e chi più ne ha più ne metta. Nefandezze che dal 2011 abbiamo ahinoi imparato a conoscere a memoria come un bimbo studia a pappagallo il 5 maggio del Manzoni. Si materializza ancora una volta la vera missione del Fondo salva Stati, che altro non è, come riportato nell'intervista di Giulio Tremonti rilasciata alla Verità alcuni giorni fa, un vero e proprio Fondo salva banche. Ma se tale fosse stato chiamato al momento della sua creazione, gli Stati avrebbero dovuto contribuire in proporzione ai crediti marci delle banche da salvare. Chiamandolo invece Fondo salva Stati, l'Italia si trovò a dover contribuire in misura pari al 18% del totale, pur avendo crediti non restituibili da parte dell'allora (come oggi) moribonda Grecia pari a meno del 5% del debito. Tremonti provò ad opporsi a questo furto, ma ebbe la peggio. E a fiaccare la resistenza dell'allora governo Berlusconi, inducendolo a desistere, partì anche la giostra del bunga bunga e dello spread. Il resto è storia, anzi cronaca. Con la nuova procedura prevista dall'articolo 12, invece, la Germania potrà far arrivare alle sue banche in difficoltà la cifra che sarà necessaria. Ipotizziamo ad esempio 10 miliardi. Non saranno nuovo debito a carico di Berlino, in quanto l'assegno che la Merkel (o chi per lei) staccherà sarà di appena 2,7 miliardi, avendo la Germania il 27% del Mes. Una percentuale tanto grande da consentirle il diritto di veto nella nomina dei vertici, per cui è necessaria una maggioranza qualificata dell'80%. E infatti il managing director del Board del Fondo salva Stati è il tedesco Klaus Regling. Ma nello stesso tempo, questo 27% è una quota sufficientemente piccola da consentire a Frau Merkel di «spalmare il conto sul condominio», come probabilmente avverrà a breve. Ed i piddini giulivi, dopo aver massacrato i risparmiatori di Banca Etruria & C perché, come sappiamo, le regole europee non consentivano di salvare le banche in difficoltà, ci faranno staccare un assegno pari al 18% di quanto servirà a salvare le banche tedesche. La fregatura è servita.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)