2020-06-15
Sol Levante: non solo sushi e Marie Kondo
Il Giappone è una terapia. Il riso come cultura, la natura come medicina, minimalismo e pace interiore come stili di vita: altro che «All you can eat». L'«okonomiyaki» è la via nipponica alla pizza.Il «tonkatsu» dal sapore morbido e dolce.Il segreto dei pancake «dorayaki» è una deliziosa confettura di azuki. Lo speciale contiene tre articoli.Itadakimasu ci spiega che «è un piatto famosissimo e molto diffuso anche fuori dal Giappone». Il nome significa letteralmente ciò che ti piace, «okonomi», alla griglia, «yaki». Se dovessimo paragonarlo a un cibo occidentale potremmo dire che, per aspetto e consistenza, è una via di mezzo tra un pancake e una frittata, tanto che a volte viene descritto come pancake giapponese, anche se gusto e ingredienti sono completamente diversi. Questo piatto è diventato particolarmente celebre prima e durante la seconda guerra mondiale, eppure era diffuso in Giappone già da tempo. Pare infatti che sia il nipote indiretto di un piatto tradizionale del periodo Edo, il «funoyaki», una frittella di mais che veniva servita nelle cerimonie buddiste. Da La cucina popolare e i matsuri del Giappone, ecco la ricetta. Per la pastella: 1 kg di farina, 1,5 l di acqua, 32 g di lievito, 70 g di mirin, 70 g di dashi. Per una porzione: 100 g di pastella, 100 g di cavolo verza, 1 uovo, 10 g di cipollotto, olio extravergine di oliva. Per guarnire: maionese giapponese, salsa okonomi, 1 manciata di scaglie di bonito essiccato («katsuobushi»).Preparazione: per preparare la pastella versate in un unico contenitore farina, acqua, lievito, mirin, «dashi» e poi mescolate fino a ottenere un impasto omogeneo. Una volta che la pastella sarà pronta aggiungete la verza, che avrete tagliato prima a listarelle, l'uovo e il cipollotto. Mescolate il tutto fino a ottenere un impasto omogeneo. Versate un filo d'olio sul teppan (o in padella) e posizionate un mestolo di impasto cercando di conferirgli una forma circolare. Dopo circa 5 minuti, girate il tutto come fosse una frittata, aiutandovi con una piccola spatola, e lasciate cuocere per altri 5 minuti.Quando l'«okonomiyaki» sarà pronto, impiattatelo e guarnitelo con la speciale salsa «okonomi», a base di frutta e verdura fermentate. Vanno aggiunti, infine, la maionese giapponese e il bonito. Trattandosi di una sorta di pizza, si può guarnire con qualsiasi ingrediente: pancetta, gamberi, spinaci, formaggio e molto altro, a piacere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/l-okonomiyaki-e-la-via-nipponica-alla-pizza-2646172577.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-tonkatsu-dal-sapore-morbido-e-dolce" data-post-id="2646172577" data-published-at="1592159173" data-use-pagination="False"> Il «tonkatsu» dal sapore morbido e dolce xxIl libro Itadakimasu ci spiega che «con “donburi" si intendono tutte quelle pietanze preparate aggiungendo su un letto di riso, ingrediente simbolo della cucina del Sol Levante, i più svariati ingredienti: pesce cotto e crudo, carne, verdure. Alcuni degli accostamenti oggi più amati sono nati per caso, semplicemente nel tentativo di unire due pietanze diverse nello stesso recipiente, creando così un piatto unico, veloce e adatto a dei pasti pratici e rapidi». Dal libro di Stefania Viti, La cucina popolare e i matsui del Giappone. Feste tradizionali, gusti e profumi del Sol Levante, ecco dunque la ricetta del «Nagoya misotonkatsu don». Per 1 persona: per il «tonkatsu», 100 g di lonza di suino, 1 uovo, «panko» (pangrattato giapponese), sale, pepe, olio per friggere; per il «don», 20 g di cavolo, 100 g di miso rosso (o miso «Hatcho»), 60 g di zucchero, 15 g di «mirin», 230 g di riso, semi di sesamo. Preparazione: cuocete al vapore il riso bianco. Nel frattempo, impanate le fettine di lonza di maiale con l'uovo, sale, pepe, il «panko» (il pangrattato giapponese leggero e caratterizzato da fiocchi grandi che non assorbono l'olio) e friggetele. In una grande ciotola create un letto di riso bianco, appoggiatevi il cavolo tagliato alla julienne e aggiungete un po' di salsa fatta con «Nagoya miso», il miso rosso tipico di Nagoya caratterizzato da un gusto dolce e morbido, zucchero e «mirin», quindi unite il «tonkatsu», guarnendolo con altra salsa. Spolverate con semi di sesamo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/l-okonomiyaki-e-la-via-nipponica-alla-pizza-2646172577.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-segreto-dei-pancake-dorayaki-e-una-deliziosa-confettura-di-azuki" data-post-id="2646172577" data-published-at="1592159173" data-use-pagination="False"> Il segreto dei pancake «dorayaki» è una deliziosa confettura di azuki Da La cucina popolare e i matsui del Giappone ecco la ricetta del «dorayaki», il pancake giapponese ripieno di confettura azuki. Per 8 persone: 2 uova, 1 cucchiaino di miele, 50 g di zucchero, 100 g di farina, 4 g di lievito per dolci, 2 cucchiai di acqua, burro, 150 g di confettura azuki. Dentro un pentolino ponete 2 uova, lo zucchero e il miele, poi mescolate bene tutto fino a ottenere un composto spumoso. Aggiungete dunque la farina e mescolate ancora. Quando l'impasto sarà omogeneo, aggiungete l'acqua con il lievito per dolci, e continuate ad amalgamare. Portate l'impasto a filo e poi fatelo riposare in frigorifero per 30 minuti. Spennellate di burro una padella antiaderente e mettetela sul fuoco a fiamma bassissima; lasciate cuocere le singole dosi di impasto in pentola portandole a doratura. Accoppiate due «dorayaki» come se fossero un panino e infine riempiteli con confettura di azuki. Di solito, in Giappone, si accompagnano i «dorayaki» con il tè matcha. Per preparare la confettura di «azuki», gli azuki dolci il cui nome in giapponese è «Azuki no ama ni», ecco la ricetta dal bellissimo Il Giappone in cucina di Graziana Canova Tura. Vi serviranno ½ tazza di fagioli rossi azuki, ½ tazza di zucchero, sale. Lavare gli azuki e lasciarli a bagno per una notte in una tazza e mezzo di acqua fredda. L'indomani versarli con la loro acqua in una casseruola e metterla sul fuoco. Al primo bollore unire un quarto di tazza di acqua fredda e coprire; quando riprende a bollire, abbassare il fuoco e lasciar cuocere per 20 minuti finché, prendendo un fagiolo tra le dita, questo si rompe facilmente. Scolare gli azuki, rimetterli nella casseruola, unire metà dello zucchero e mescolare su fuoco dolce. Dopo 10 minuti aggiungere lo zucchero rimasto, mescolare ancora per farlo sciogliere e infine unire un pizzico di sale. Appena riprende il bollore spegnere il fuoco, coprire e lasciare raffreddare, muovendo ogni tanto la casseruola.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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