2020-12-23
L’«etichetta» britannica sul virus usata per far pressione sulla Brexit
Thierry Breton (Dursun Aydemir/Anadolu Agency via Getty Images)
Proprio mentre si fa reale l'ipotesi del «no deal», l'Ue sembra sfruttare i contagi londinesi. Il commissario Thierry Breton: «Fossero rimasti in Ue li avremmo aiutati». Ma la mutazione circolava da mesi in vari continenti.L'Europa sull'orlo di una crisi di panico e di Brexit si chiude a riccio per evitare il dilagare di contagi già avvenuti salvo poi scoprire che così fa pagare ai suoi cittadini rimasti in mezzo al guado dell'aeroporto di Heathrow o del tunnel a Calais un prezzo altissimo, blocca i rifornimenti al Regno Unito, medita d'isolare Boris Johnson - che per la verità ci ha messo del suo decretando un fulmineo e stringente lockdown e lasciando che il ministro della Sanità, Matt Hancock, annunciasse: «Il contagio è fuori controllo» - non rendendosi conto che sta scivolando nel più stantio sovranismo. Di fronte alla pandemia invece d'essere di manica larga immagina di allargare la Manica. Si sentono lontani echi da «perfida Albione». L'Europa incapace a tutto prima ha lasciato che 15 Paesi bloccassero i voli con Londra, poi ha dovuto tentare un coordinamento e ieri la Commissione ha emanato una raccomandazione per dire: riaprite i collegamenti per far rientrare i cittadini. Nelle stesse ore Ursula Von der Leyen, pur impegnata in fitti colloqui con Boris Johnson, ha dovuto prendere atto che la trattativa sulla Brexit sta fallendo. Non si trova un accordo sulla pesca. Il negoziatore dell'Ue, Michel Barnier, conserva un filo di ottimismo, ma ai 27 ambasciatori continentali ha annunciato che l'Unione ha deciso di respingere la proposta d'accordo di Downing Street. Londra ha proposto una mediazione con una riduzione del 35% dei prelievi delle barche comunitarie dai suoi mari, ma l'Ue accetta solo un taglio del 25%. Così la trattiva naufraga e la variante inglese diventa un'ottima arma di pressione, ma anche una valvola di sfogo della rabbia europea. Lo ha chiaramente palesato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, che al Financial Times ha dettato parlando del Covid: «Se gli inglesi fossero rimasti nell'Unione avremmo anche potuto aiutarli». Così l'Europa germanocentrica a cui il Pd e il governo di Giuseppe Conte sono genuflessi esercita una pressione indebitamente sovranista sulla Gran Bretagna. A cominciare dalla nostra stampa «allineata» al governo e dalla televisione pubblica. Chi ieri mattina ha visto Agorà su Rai 3 avrà notato Luisella Costamagna compiaciuta di poter parlare male di quel sovranista di Boris Johnson. Alla giovane manager italiana in collegamento da Londra ha chiesto: «Dica la verità, il governo inglese in questa seconda ondata si è comportato male». E lei candida ha riposto: no. Aggiungendo che ai balbettii iniziali di Boris Johnson hanno fatto riscontro le facilonerie estive del governo italiano con la non trascurabile differenza che l'Italia ha il record mondiale di morti in rapporto alla popolazione, mentre Londra ha già somministrato 500.000 dosi di vaccino. Il viceministro agli Esteri, Marisa Sereni - Pd, dall'Umbria, la Regione dove i dem hanno perso perché travolti da uno scandalo della sanità - ha giustificato il blocco degli italiani a Londra per l'improvviso stop ai voli deciso unilateralmente dal ministro Roberto Speranza, addossandone le responsabilità, sia pure in maniera felpata, al governo britannico. Allora facciamoci delle altre domande. Perché il virus che sta paralizzando l'Occidente è solo Covid e invece la sua variante è solo inglese? Come mai non lo si chiama «virus cinese» avendo peraltro capito che gli unici a trarre profitto dalla pandemia da loro provocata sono stati i cinesi? Non sarà che i veri sovranisti sono gli Stati della comunità europea? Forse la Germania si sta prendendo sotto altre forme una rivincita sul 1945? Eppure i Paesi europei, compresa l'Italia, dovrebbero ricordarsi che se c'è la libertà è per il sacrificio degli inglesi che sconfissero il nazismo. Troppo facile dimenticare la storia. Si è detto per colpevolizzare Londra - e tra i primi accusatori c'è Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute, Roberto Speranza - che sapeva da mesi della mutazione del virus e ha taciuto. Gli inglesi avrebbero fatto come i cinesi di Wuhan, con la differenza che alla Cina nessuno ha chiesto conto di nulla e che invece, in costanza di Brexit, a Londra bisogna fargliela pagare. Ma le cose non stanno così. La prima mutazione è stata è vero osservata a settembre, ma l'Oms - che dimostra ogni giorno la sua inaffidabilità, se non per preservare gli interessi cinesi - è stata subito avvertita. Non solo; la cosiddetta variante inglese è presente in diversi Stati tra cui Olanda, Danimarca, Australia e Sud Africa. A smentire Ricciardi arriva ad esempio Federico Giorgi, genetista dell'università di Bologna, che dice: «Si sta studiando questa mutazione del SarsCov2 (la M501Y) da ottobre. Circolava già in Usa e Australia, oltre che nel Regno Unito e la mutazione in oggetto è la quarta attualmente più diffusa nella proteina Spike». La professoressa Alessandra Viola, immunologa dell'università di Padova ha più volte affermato: «le mutazioni del virus sono oltre 12.700, ma resta piuttosto stabile». Dunque la variante inglese non è affatto (solo) inglese. Ma l'Europa lascia in pace la Cina e se la prende invece con la più antica democrazia. La Francia -Winston Churchill spese tutta la sua autorevolezza per convincere i britannici riottosi a battersi per la liberazione di Parigi, appoggiandosi su una celeberrima battuta: non combattiamo per i francesi, ma per lo Champagne - ha bloccato a Calais il transito di centinaia di Tir con le merci dirette verso la Gran Bretagna, rischiando di affamare gli inglesi. Questa è la vera variante inglese: un'Europa a pezzi, in preda al panico, durissima con le democrazie, ma prona alla tirannide cinese.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.