2022-06-20
Kombucha, la bevanda nata in Cina che guarisce l’intestino
Nei tempi antichi era considerata miracolosa, oggi sappiamo che le sue proprietà benefiche sono comuni a tutti gli alimenti fermentati. Chi la prepara a casa deve fare molta attenzione.Lo vediamo campeggiare nel reparto delle bibite fresche e in quello delle bevande pastorizzate, «liscio» o aromatizzato. In un bar di tendenza, anzi di ricerca, sentiamo il vicino ordinarlo entusiasta decantandone le miracolose virtù. Ma che cos’è questo nuovo ospite di supermercati e locali di nome kombucha? Questo kombucha combacia con i nostri gusti e la nostra dieta mediterranea o è una delle varie «cafonate» di produzione contemporanea spacciate per salutari ma che poi non lo sono? Di contemporaneo, il kombucha ha solo la novella fama in Occidente, essendo una bevanda frizzante che si ottiene facendo fermentare il tè nero zuccherato appartenente alla più antica tradizione cinese. Sarebbe stato l’imperatore cinese Qin Shi Huangdi a produrre per primo questo prezioso tè fermentato: la data d’insediamento della dinastia, il 221 avanti Cristo, coinciderebbe con la data di nascita del kombucha. A parte questa datazione da prendere con le pinze, il kombucha in Cina è da sempre conosciuto come «tè dell’immortalità» per i buoni effetti sulla salute. Il tè kombucha si beve anche in Giappone, dove è chiamato kocha kinoko. In giapponese, kombu deriva da kelp, un’alga marina, e cha vuol dire tè. Ma il kombucha non si fa con le alghe. Secondo alcuni, tale fraintendimento è dovuto al fatto che la madre (lo scoby) con cui si fa il kombucha sembra un’alga e come tale è stata identificata. Secondo altri, tale dottor Kombu, di origine coreana, avrebbe portato il tè cinese in Giappone nel V secolo, ma si sono rintracciate solo attestazioni del coreano dottor Kon-mu, il cui nome potrebbe essere stato storpiato o adattato, per imporre aderenza con la parola che definisce l’alga, in Kombu. Non si sa.Dall’Oriente, comunque, il kombucha penetra in Occidente: nel 1890 il dottor Nikolay Vasil’evich Kirilov lo porta dal Tibet alla Siberia per studiarne gli effetti benefici. Già nei primi anni del Novecento vengono pubblicati studi russi e tedeschi su questo tè medicamentoso e con la prima guerra mondiale il kombucha arriva negli Stati Uniti. Poi, in Italia. La Domenica del Corriere del 19 dicembre 1954 mostra in prima pagina un disegno di Walter Molino raffigurante un cinese che tiene in mano un vaso di vetro contenente acqua scura e una specie di alga filamentosa, con la didascalia «Il fungo cinese»: «Si va diffondendo anche in Italia la moda di una nuova cura che si crede buona per tutti i mali. Essa consiste in un infuso di tè nero in cui è stato tenuto immerso per almeno 25 ore un vegetale appartenente alla famiglia dei funghi». Nel 1955, dopo averla scritta con Dante Panzuti (Danpa), Renato Carosone canta in ’Stu fungu cinese: «È giunta da Pechino / int’a ’nu vaso / ’na cosa misteriosa / Nun c’è bisogno cchiù di medicine / ha detto un mandarino / che l’ha purtata cca! ’Stu fungo cresce, cresce, dinto ’o vaso / E chiano, chiano fa ’nu figlio a ’o mese!». E ancora: «Nun piglia’ penicillina / Nun piglia’ streptomicina / Piglia ’o fungo ogni matina!». Erano gli anni di una vera e propria mania del kombucha, raccontato come esotismo miracoloso e chiamato fungo cinese. I media erano divisi. Da una parte i «pro fungo» come La Stampa che il 5 dicembre 1954 lo definiva «prodigioso toccasana» perché «ringiovanisce, ridona forza agli anziani, risolleva gli stanchi, cura l’insonnia, l’artrite, il fegato e non costa nulla» (oddio, non è proprio così). Dall’altra i no fungo: «Il fattore di maggior efficacia nella cura con the del fungo è la suggestione». La «fungo cinese mania» procedeva come si sarebbe fatto anni dopo con i granuli per l’autoproduzione di kefir: il figlio della coltura fermentatrice si regalava a parenti e amici. A fine fermentazione, infatti, lo scoby cresce e si separa in due parti, quella nuova oggi viene chiamata baby scoby. Qualcuno li mangiava credendo miracolosi anch’essi, qualcuno lo fa anche oggi, noi lo sconsigliamo. Allora, si era addirittura diffusa la leggenda che gettarli via portasse sfortuna e pare che una persona morì dopo aver mangiato cinque colture fermentatrici di grandi dimensioni.Poi, come tanti fenomeni, la moda del fungo cinese miracoloso passò, ritornò - sempre come rimedio straordinario - qualche decennio dopo con l’etichetta di «alga egiziana», ma con meno diffusione. Oggi sappiamo che non c’è di mezzo nessun miracolo. I fermentati fanno certamente bene e in molti casi sono meno presenti nella dieta contemporanea. Sono fermentati il pane lievitato naturalmente, alcuni formaggi, i crauti, lo yogurt, il vino, la birra. Il pane realizzato con il lievito chimico non è un fermentato, non lo è la bevanda gassata ottenuta da aggiunta di anidride carbonica (nella fermentazione naturale la produzione di gas è l’effetto della fermentazione, l’aggiunta posticcia di anidride carbonica a un liquido non fermentato è un’altra cosa). Da qualche tempo, quindi, abbiamo cominciato a riscoprire l’importanza del fermentato, inserendo nell’alimentazione il kefir, il tempeh (fermentato di soia gialla), il kimchi. Anche il kombucha si inserisce in quest’ottica. I fermentati sono necessari e fanno bene: migliorano la digestione, alleviano alcuni disturbi gastrointestinali come la dissenteria o la stitichezza e la sindrome del colon irritabile, riequilibrano il microbiota intestinale e, tramite questo effetto, ne producono altri, cioè rafforzano il sistema immunitario, migliorano lo stato generale di salute, fisica e mentale. La fermentazione è quel processo per cui un determinato alimento viene elaborato da microrganismi come lieviti, muffe o batteri e ciò ne converte gli zuccheri in acidi o in alcol. Essa può essere lattica, acetica e alcolica e trasforma lo zucchero iniziale in acido lattico, acido acetico e acido alcolico. Per alcuni puristi è fondamentale che, per ottenere gli effetti positivi dell’assunzione di cibi fermentati, questi ultimi siano rigorosamente non pastorizzati. Avrete infatti notato che sono aumentate, sul mercato, anche le birre non pastorizzate. E molte persone consumano fermentati fatti in casa, nell’ottica di avere in mano non il «cotto e mangiato» ma il «fermentato e mangiato». A nostro avviso, anche il fermentato pastorizzato può avere il suo senso e nel caso dell’autoproduzione bisogna essere veramente molto attenti per evitare fermentazioni sballate che possono avere effetti molto negativi. Se non si hanno gli strumenti tecnici e conoscitivi, meglio acquistare il fermentato, pastorizzato o no. Obbligatorio evitare il non pastorizzato se si è immunodepressi.Il kombucha è quindi una bevanda probiotica che, in quanto tale, arricchisce il nostro microbiota intestinale. Ricca di polifenoli, antiossidanti e vitamine del gruppo B e vitamina C, è energizzante ed è considerata una bevanda funzionale, se ne beve una tazza al giorno (massimo, e se assumete altri fermentati diminuite le quantità) e pare favorire il dimagrimento migliorando il metabolismo. Se sono innegabili gli effetti positivi comuni a tutti i cibi e le bevande probiotici, va detto che quando si parla di tè miracoloso - addirittura si afferma che possa invertire il processo di incanutimento - si sta chiaramente straparlando. Bisogna poi fare estrema attenzione - ripetiamo - nel caso in cui si prepari in casa, preferendo il kombucha di produzione commerciale se non si è sicuri di saper maneggiare la coltura batterica. Come si crea il kombucha? La fermentazione del tè nero zuccherato è compito dello scoby, acronimo di symbiotic colony of bacteria and yeast, cioè coltura simbiotica di batteri e lieviti. Si chiama anche «coltura di kombucha» e qualcuno la chiama «fungo del kombucha» anche se non ha nulla a vedere con i funghi. Il fungo cinese degli anni Cinquanta era proprio lo scoby, questa specie di disco gommoso di colore ambrato trasparente che contiene una simbiosi di Acetobacter (batteri che producono acido acetico) e lieviti, soprattutto Brettanomyces bruxellensis, Candida stellata, Schizosaccharomyces pombe, Torulaspora delbrueckii e Zygosaccharomyces bailii. Il termine tecnico è zoogleal mat, il principale componente dello scoby è fibra insolubile di cellulosa e ha un lieve odore di aceto (se muffisce o emana forte odore di formaggio vuol dire che si è rovinato e va gettato via).Il kombucha si prepara facendo un tè nero zuccherato con acqua non clorata e facendolo freddare. La miscela va poi versata in un bicchiere sterilizzato (secondo alcuni può bastare risciacquare con aceto, secondo altri basta che il bicchiere sia stato lavato con acqua e sapone, secondo noi meglio sterilizzare), con un po’ di tè kombucha già fermentato in precedenza, per abbassare il pH, e lo scoby. Il contenitore va poi coperto con un tovagliolo o tessuto traspirante e lasciato fermentare. Lo scoby è reperibile nei negozi specializzati o su internet, ma può anche essere prodotto in casa, per quanto si tratti di una preparazione più complicata di quella, per esempio, del lievito madre per panificazione, che già non è semplicissima. Lo jun, anche detto xun, è un kombucha preparato con tè verde e miele, invece di tè nero e zucchero di canna (il kvas, in Russia e in Ucraina, è equiparato al kombucha ma in realtà è fatto con succo di barbabietola fermentata soltanto con lievito e non con batteri).