2025-08-16
Kengiro Azuma: da kamikaze a grande artista a Milano
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Kengiro Azuma (Getty Images)
Giovane pilota della Marina imperiale giapponese, fu volontario nei kamikaze. La fine della guerra gli salvò la vita. Dopo una profonda crisi scelse l'arte e si trasferì a Milano dove fu assistente del grande Marino Marini. Artista di fama mondiale, è iscritto nel Famedio dei milanesi illustri.Chissà se Kengiro Azuma, nel suo atelier nella ex zona industriale della Bovisa, oppure nei vicoli di Brera dove si respirano l’arte e la storia di Milano, ci avrà mai pensato. Chissà se la sua mente è mai ritornata ai cieli di guerra del Pacifico, teatro dei suoi vent’anni. Probabilmente sì, visto che quella della sua partecipazione al secondo conflitto mondiale come pilota dell’Aviazione della Marina imperiale giapponese segnò il confine tra la sua prima e la sua seconda vita.Kenjiro Azuma (poi italianizzato in Kengiro) era nato il 12 marzo 1926 a Yamagata (nel Giappone centro-settentrionale), figlio di una coppia di artisti del bronzo. A 17 anni entra nell’aviazione della Marina imperiale giapponese come pilota, con il Giappone già in guerra. Ai comandi di un caccia Mitsubishi A6M meglio conosciuto come «Zero», con la 14ma squadriglia abbatteva 7 aerei nemici e una grande petroliera al largo di Singapore. Azuma, come tutti i suoi coetanei e compagni d’armi, aveva una venerazione per il suo Paese e per l’imperatore Hirohito. In una vecchia intervista alla televisione della Svizzera italiana, Kengiro ricordava come l’inno della marina risuonasse sul ponte delle portaerei del Sol Levante, incitando al combattimento e, se necessario, alla morte. Una morte piena di significato religioso per il giovane Kengiro, che credeva nella reincarnazione e nell’origine divina dell’imperatore. La possibilità dell’estremo sacrificio arriva per il giovane pilota negli ultimi mesi di guerra quando si arruola volontario in uno squadrone kamikaze, i piloti scelti del «vento divino» che seminarono il terrore tra le navi nemiche, affondandone oltre 30 tra cui tre portaerei. Kengiro era pronto a morire per la Patria, con il serbatoio principale riempito solo a metà per un viaggio senza ritorno e con quello ausiliario pieno di tritolo, quando il 6 agosto 1945 la bomba atomica esplose su Hiroshima. Il Giappone era in ginocchio, ferito nuovamente tre giorni dopo con un’altra atomica su Nagasaki. Hiroito annuncerà la resa il 15 agosto. Furono dunque la morte della Patria e quella di centinaia di migliaia di giapponesi a salvare la sua. Smessa la divisa da pilota, Kengiro Azuma tornava da civile in un Giappone all’«anno zero». Visse un periodo di profonda crisi, dopo aver visto tutti i valori per i quali avrebbe dato la vita e dopo aver compreso che l’imperatore era un essere umano che aveva guidato il Paese alla rovina. Pur non rinnegando il passato, ma comprendendone la necessaria evoluzione, il giovane ex kamikaze riuscì a voltare pagina attraverso la tradizione di famiglia, l’arte.Nel 1949 si iscrive alla facoltà di Arte e Musica Gendai di Tokyo, dove si laurea 4 anni più tardi. Dal 1953 al 1956 segue diversi master fino all’assegnazione di una borsa di studio che cambierà per sempre la sua vita, destinazione Milano. Pur tra mille difficoltà, Kengiro frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera fino alla laurea nel 1960. Ma soprattutto a Milano il giovane artista incontra il grande scultore Marino Marini, di cui diventa assistente e con il quale manterrà uno strettissimo legame fino alla morte di quest’ultimo nel 1980. Con lui a Milano dal 1958 c’è la moglie Shizuyo, che lo accompagna nella sua crescita artistica di una città in fermento e dalla quale avrà due figli: Mami (sintesi di Marino e Milano, in omaggio al maestro e amico Marini, oggi tra le responsabili del museo di Storia Naturale del capoluogo lombardo) e Anri Ambrogio (altro chiaro omaggio alla città di adozione, oggi architetto). Quindici anni dopo quel volo della morte mancato di un soffio, Kengiro è in rapida ascesa. Apre un atelier nel quartiere ex industriale della Bovisa, frequenta artisti del calibro di Pio Manzù e Arnaldo Pomodoro. I bronzi da lui forgiati sono la sintesi di un incontro tra diverse culture, filtrate attraverso la sua natura di giapponese immersa nel mondo del Mediterraneo. Segnato dall’arte Zen, Kengiro modernizza la sua tradizione applicando concetti filosofici come il rapporto tra il pieno e il vuoto. Le sue opere sono per questo caratterizzate dalla sigla MU (che in giapponese significa appunto «assenza», in contrapposizione a YU «presenza») e hanno successo in Italia e nel mondo. Innumerevoli le mostre personali e le installazioni delle sue opere delle serie MU e dal 1985 della serie YU. In Giappone sarà ricevuto anche dall’Imperatore, figura che 40 anni prima causò la sua grande crisi religiosa e spirituale. Le sue opere sono visibili, oltre che nei musei e nelle mostre, anche nelle strade, come la scultura MU 141- La vita infinita realizzata nel 2015, anno dell’Expo di Milano, installata di fronte al cimitero Monumentale. Proprio quest’ultimo luogo, pieno di arte e di storia, rappresenterà la terza svolta nella vita del maestro. Kengiro Azuma si spegne a Milano il 15 ottobre 2016. L’anno successivo l’artista giapponese adottato dalla città meneghina viene iscritto nel Famedio dei cittadini illustri. A pochi metri dalla sua opera, attraversata la piazza del Monumentale, dal 2019 è stato inaugurato uno spazio multisensoriale con uno spazio verde ornato da alberi di ciliegio. E dal 2021 i fiori di ciliegio abbracciano in cerchio le opere di Kengiro in piazza Piola, a due passi dal Politecnico. La pianta simbolo del Giappone, i kamikaze la dipingevano sulle fusoliere dei loro «Zero» prima di gettarsi sulle navi nemiche. Ma la guerra, per Kengiro, era ormai lontana. Mai dimenticata, ma elaborata nella sua «seconda vita», piena di arte e onori in tempo di pace.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.