2024-10-02
Kamala inguaiata dai camalli: il maxi sciopero danneggia l’economia Usa e la sua corsa
La serrata nei porti atlantici rischia di costare fino a 4,5 miliardi di dollari al giorno. Biden può avallarla o bloccarla. In ogni caso farà perdere consensi alla sua «delfina».Pioggia di disdette degli abbonamenti Netflix dopo l’endorsement alla Harris del patron della piattaforma. Il colosso, insieme a Disney, Microsoft e Google, ha donato milioni alla campagna dem.Lo speciale contiene due articoli.La working class si conferma il grande tallone d’Achille di Kamala Harris. Ieri, il sindacato dei portuali, l’International longshoremen’s association, ha decretato un maxi sciopero contro la Usmx: l’associazione dei datori di lavoro del settore portuale. La serrata interesserà quasi 50.000 lavoratori fino a un massimo di 36 porti della costa orientale e di quella meridionale (dal Maine al Texas, per intenderci). In particolare, i portuali, che non incrociavano le braccia dal 1977, chiedono aumenti salariali e maggiori garanzie contro il lavoro automatizzato. Secondo JP Morgan, lo sciopero potrebbe costare all’economia americana fino a 4,5 miliardi di dollari al giorno: d’altronde, stando alla Cnbc, i porti interessati gestirebbero ogni anno una parte considerevole del commercio internazionale statunitense (circa 3.000 miliardi). Ieri pomeriggio, le compagnie di spedizione hanno risentito di cali azionari (Zim del 7%, Ups del 2,6% e FedEx dell’1,4%).Per la candidata dem, che è vicepresidente in carica degli Stati Uniti, si tratta di un grattacapo rilevante. L’amministrazione Biden-Harris si è infatti ritrovata in un dilemma di difficilissima, se non impossibile, soluzione. La Casa Bianca avrebbe infatti l’autorità per sospendere lo sciopero, invocando il Taft-Hartley Act. Tuttavia, se agisse in questo modo, verrebbe prevedibilmente accusata di tenere una linea antisindacale: uno scenario che la Harris, a poco più di un mese dalle elezioni, non può ovviamente permettersi.Ricordiamo d’altronde che, il mese scorso, la vicepresidente è stata di fatto abbandonata dal sindacato degli autotrasportatori e dei ferrovieri (i Teamsters), che si è rifiutato di dare il proprio endorsement alle presidenziali di quest’anno: uno schiaffo in piena regola alla Harris, visto che dal 2000 questa organizzazione aveva ininterrottamente garantito il proprio appoggio ai candidati del Partito democratico. Guarda caso, poche ore fa, il presidente dei Teamsters, Sean O’Brien, ha espresso «piena solidarietà» ai portuali. «Il governo degli Stati Uniti dovrebbe stare fottutamente fuori da questa lotta e consentire ai lavoratori sindacalizzati di scioperare per i salari e i benefit che hanno guadagnato», ha dichiarato. Parole non esattamente amichevoli verso Biden e la Harris, che del governo statunitense sono ai vertici. Del resto, nel 2022, l’attuale Casa Bianca aveva sospeso uno sciopero del settore ferroviario: una mossa che ha poi pesato negativamente sui suoi rapporti con il sindacato di O’Brien.Il punto è che, se non può permettersi politicamente di bloccare lo sciopero dei portuali, la Casa Bianca non può neppure permettersi di avallarlo. Sì, perché questa serrata provocherà prevedibilmente dei significativi problemi alle catene di approvvigionamento col risultato che i prezzi si impenneranno nel periodo prenatalizio, alimentando i malumori dei consumatori americani (già abbastanza seccati a causa degli effetti di un’inflazione, salita alle stelle nel 2022).Si tratta di un incubo per la Harris, che rischia di dover fronteggiare un diffuso malcontento a poche settimane dal voto. Inoltre, l’eventuale inazione della Casa Bianca innervosirebbe la Camera di commercio degli Stati Uniti, che ha già invocato la linea dura da parte del governo contro lo sciopero dei portuali. Come se non bastasse, secondo il Los Angeles Times, se la serrata dovesse durate fino a due settimane, ciò potrebbe creare dei problemi di produzione all’industria automobilistica, che sarebbe costretta a rallentare e, nel caso peggiore, a tagliare personale. Uno scenario che, qualora si verificasse, avrebbe impatti elettorali notevoli su uno Stato cruciale come il Michigan. La candidata dem rischia quindi di ritrovarsi seriamente in un vicolo cieco. Del resto, la difficoltà in cui si trova la Casa Bianca è testimoniata anche da una sua nota, rilasciata ieri, in cui ci si limita genericamente a dire che Biden e la Harris stanno monitorando la situazione, augurandosi che dei negoziati tra le parti mettano rapidamente fine allo sciopero.«Lo sciopero è stato causato dalla massiccia inflazione creata dal regime Harris-Biden. I portuali sono stati decimati da questa inflazione», ha invece tuonato Donald Trump. Certo, anche lui deve fare attenzione, barcamenandosi tra le rivendicazioni dei sindacati e i settori imprenditoriali: il tycoon ha infatti necessità di riuscire a parlare a entrambi questi mondi e, vista la situazione, non è un obiettivo facile da conseguire. Tuttavia, il suo vantaggio risiede nel fatto che, contrariamente alla Harris, al momento non detiene delle responsabilità di governo. In quanto vicepresidente in carica, la sua avversaria è infatti più esposta e vulnerabile. A peggiorare il quadro per lei sta poi il fatto che, nel 2020, il sindacato dei portuali aveva dato l’endorsement a Biden: un sindacato che non può non sapere che, proclamando uno sciopero così vasto adesso, danneggerà probabilmente molto più la Harris del suo avversario. La vicepresidente si conferma, insomma, piuttosto debole nel voto della working class. Un campanello d’allarme inquietante per lei, a ormai poco più di un mese dalle elezioni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/kamala-harris-crisi-2669307073.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="utenti-in-fuga-da-netflix-e-pro-harris" data-post-id="2669307073" data-published-at="1727816864" data-use-pagination="False"> Utenti in fuga da Netflix: è pro Harris Bisognerà aspettare metà ottobre per capire a quanto ammontano le perdite di Netflix dopo le disdette agli abbonamenti, scattate a seguito dell’appoggio del cofondatore e presidente del colosso streaming, Reed Hastings, a Kamala Harris. In vista delle elezioni presidenziali Usa del 5 novembre Hastings, donatore democratico di lunga data, ha offerto circa 7 milioni di dollari alla campagna elettorale della candidata e vice di Joe Biden. L’agenzia Bloomberg ha riferito che secondo Antenna, società americana di ricerche di mercato, il colosso dello streaming ha subito un’ondata di disdette nei giorni immediatamente successivi all’endorsement di Hastings in favore di Kamala. Il tasso di abbonamenti sospesi, sostenuto dalla campagna #CancelNetflix, è quasi triplicato: lo scorso 26 luglio, quattro giorni dopo il tweet pro-Harris di Hastings, Netflix ha subito il picco annuale di cancellazioni; i dettagli delle perdite saranno noti tra una decina di giorni, quando Netflix, che non ha voluto commentare la notizia, pubblicherà i risultati dei profitti. Come se non bastasse, anche i dipendenti del servizio si sono schierati in massa con i dem Usa, come ha reso noto Elon Musk in un grafico realizzato dalla piattaforma dati Quiver Quantitative e pubblicato su X (ex Twitter): «Le donazioni dei dipendenti Netflix non potrebbero essere più sbilanciate a favore del Partito Democratico (100 per cento)», ha commentato il presidente di X, che sostiene apertamente Donald Trump. Non è una novità che le grandi aziende americane - soprattutto quelle che dominano i media e il settore dell’informatica e della tecnologia - si schierino a favore dei dem e delle loro politiche: la maggior parte delle aziende dell’intrattenimento e della Silicon Valley e i loro dirigenti hanno preso posizione a favore del partito dell’asinello. Negli ultimi anni, però, le azioni di boicottaggio dei marchi pro-dem da parte di cittadini e attivisti sono aumentate. Il caso più recente e popolare è quello della birra Bud Light (Budweiser), le cui vendite sono crollate dopo che una campagna pubblicitaria con l’influencer e attivista transgender Dylan Mulvaney ha scatenato le proteste dei consumatori. I grafici di Quiver Quantitaties documentano le generose offerte degli impiegati delle grandi aziende Usa a favore del partito dell’asinello e di Harris: il 78 per cento dei dipendenti di Microsoft ha contribuito con 3,9 milioni di dollari, il 100 per cento di quelli dell’editore Newsweb ha donato 9,2 milioni di dollari, l’89 per cento degli impiegati della holding di Google, Alphabet, ha offerto 8,3 milioni di dollari. A livello di grandi aziende, i «top donors» dei democratici sono Google, Microsoft, Johnson & Johnson, Apple, Oracle, Nvidia, Boeing, Morgan Stanley, Netflix, JP Morgan, Accenture, Adobe, Amazon, Facebook, Pfizer e Disney. Quest’ultima ha inserito personaggi ed elementi gender nei suoi cartoni animati per promuovere l’agenda Lgbtq anche tra i bambini, al punto che il repubblicano Ron DeSantis, governatore della Florida (dove hanno sede i parchi a tema della Disney), ha approvato una legge che limita la discussione nelle classi sull’orientamento di genere e sull’identità sessuale. La Disney lo ha citato in giudizio, la battaglia legale è durata un anno: alla fine, in una causa federale separata, un giudice distrettuale ha respinto il caso contro DeSantis, la società ha fatto appello e alla fine è stato trovato un accordo. La casa cinematografica in questi giorni è nel mirino dei Repubblicani anche per il rapporto che lega Kamala Harris al copresidente di Disney Entertainment, Dana Walden, che è anche presidente del colosso dell’informazione Abc News e del National Geographic Entertainment. L’agenda globale persegue, insomma, un controllo dell’informazione sempre più serrato, anche grazie alle generose donazioni dal mondo dei media, quasi completamente schierato a sinistra.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.