
Il fondatore del marchio Tarcisio Galavotti: «I miei capi hanno bisogno di essere toccati, si trovano solo in boutique e sono sostenibili».«Le vendite stanno andando bene, siamo partiti con il piede giusto, stiamo uscendo dal periodo nero». Il «Gala», ovvero Tarcisio Galavotti, ad e fondatore del brand Cigala's, innovativo marchio del denim italiano, guarda al domani «con un po' di entusiasmo, dopo un momento di calma piatta c'è positività nell'aria». I suoi jeans, tanto ricercati dalle signore più chic delle grandi città, hanno un valore aggiunto palpabile al tatto e sono capaci di soddisfare il desiderio di sostenibilità. Tanto che la scelta di costruire una filiera produttiva ecosostenibile è stata la base del lavoro fin dall'inizio.Quindi si vede rosa all'orizzonte?«Per fortuna sì, ma ci sono delle contraddizioni, come le speculazioni sulle materie prime che sono di difficile reperibilità».In che senso?«Noi usiamo principalmente cotoni, lini e i filati che vanno a formare quei tessuti che rispettano l'ecosostenibilità, quindi organici, che ora non è facile trovare».I jeans sono i capi che maggiormente inquinano. Ora vengono fatti in maniera diversa?«Sì. Il filato arriva da coltivazione organica, senza pesticidi e con un consumo ridotto di acqua. Il problema è la richiesta, che in questo momento è molto alta, mentre per passare da una coltura tradizionale a una organica servono tre anni. Di conseguenza abbiamo l'etichetta del passaggio, della transizione».Può scendere nel dettaglio?«Noi vogliamo fare impresa bene, senza avvelenare il pianeta e sfruttare le persone. Nel nostro jeans in cotone organico 100%, la tinta è lasciata “naturale", la materia prima è “No Ogm", coltivata senza pesticidi né fertilizzanti chimici. Bottoni e rivetti (“Nickel free" già da alcune stagioni) possono vantare così anche la certificazione Life, che garantisce una produzione a basso impatto ambientale: meno 65% nell'utilizzo di acqua, meno 16% nell'utilizzo di elettricità, meno 98% di trattamenti chimici, meno 85% di residui da smaltire. E mentre le etichette applicate sul capo sono in ecofeltro Pet, un poliestere prodotto con il riciclo e certificato dal Global recycle standard (Grs) che assicura il rispetto di rigorosi criteri ambientali e sociali, si aggiungono, a completare la rivoluzione ecosostenibile di Cigala's, anche i cartellini ricavati dal riciclo dei residui di denim e di cotone. Niente alberi tagliati, quindi, ma il riciclo di vecchi denim che contribuiranno anche a conferire al cartellino particolari, e casuali, sfumature indaco».Da quanto tempo si occupa di moda?«Nel mio paese, Urbania, un piccolo Comune dell'entroterra pesarese, siamo nati e cresciuti a pane e jeans. C'è una lunga tradizione di confezioni. La storia inizia con un parroco che fu il primo a confezionare jeans, incredibile ma li produceva per il marchio Jesus. Faceva già clamore la notizia che un prete avesse preso una fabbrica di jeans e lavorasse per conto terzi...».Aveva lasciato l'abito talare?«No, no. La domenica diceva messa e il lunedì era in fabbrica. Erano i primi anni in cui le donne si affacciavano nel mondo del lavoro e lui se ne occupò come Opera diocesana, tanto che la prima ragione sociale fu Confezioni Oda. Era un modo per dare lavoro alle donne nel nostro piccolo centro. Avevano iniziato con la biancheria, lenzuola, federe e da lì a poco trovarono queste commesse di jeans e la tradizione continua ancora oggi. Dal parroco nacquero altri laboratori e dalla confezione si passò al lavaggio, alle lavanderie industriali. Un grande indotto tanto che, per un certo periodo, eravamo diventati la capitale italiana della produzione di jeans». Insomma, era scritto che lei si occupasse di questo settore.«Sì, mia madre era un'operaia del prete. Studiai da geometra perché mio padre era un muratore ma fui tra i primi programmatori di computer nel mio paese. Un amico che aveva una produzione di abbigliamento aveva bisogno di una persona che gli tenesse il magazzino fiscale al computer. E nel 1986 mi sono reinventato. All'epoca si lavorava solo per conto terzi, poi la svolta di voler fare un marchio nostro con una società di amici». Che accadde?«Successivamente, oltre a marchi nostri, ci occupavamo anche di altri. Fu l'occasione di conoscere Elio Fiorucci, una delle persone più belle di questo mondo, a cui sono stato legato per diversi anni e che diede la svolta ai jeans che grazie a lui divennero un capo fashion mentre fino ad allora erano considerati un prodotto basico».Poi?«Nei primi anni Duemila, durante la crisi, la nostra azienda venne assorbita da una multinazionale di origini indiane, ci lavorai per un anno ma non c'erano le condizioni per rimanere. Pensavo a un periodo sabbatico e invece, sollecitato da amici e da persone che avevano perso il lavoro, abbiamo creato questa nuova linea, Cigala's che ha visto la prima collezione nell'inverno 2011. All'inizio eravamo solo nel Lazio e vendevamo circa 800 capi. Oggi siamo arrivati a vendere 15.000 capi a stagione».Dove avviene la produzione?«È tutta made nelle Marche e, per la maggior parte, made in Urbania». Le donne sono ancora il grosso dei dipendenti?«Si fa molta fatica a trovarle. Quando ero ragazzo si decideva se avevi un futuro da studente o da operaio. Molte ragazze a 14 anni andavano in fabbrica a confezionare i jeans, oggi è impensabile. Perciò, mano a mano, negli anni, si è persa la tradizione. Sono rimaste quelle che sono alla soglia della pensione e penso che smarriremo quel know how senza un ricambio generazionale che appare difficilissimo».Eppure c'è molta disoccupazione.«È un tipo di lavoro faticoso se si considera che le operaie si ritrovano sopra a una macchina in catena dove chi ti sta sopra esige dei numeri, in più ti sporchi e respiri sempre il blu. Come genitore, non sarei felice di vedere mia figlia seduta a una catena di produzione di jeans». Lei è contrario alle vendite online, come mai?«I jeans Cigala's devono essere provati, indossati, toccati per apprezzarne fino in fondo la qualità e la bellezza. Anche per questo abbiamo deciso di cancellare i canali di vendita online e di affidare l'acquisto esclusivamente alla competenza delle boutique più interessanti delle città italiane».
Guido Crosetto (Cristian Castelnuovo)
Il ministro della Difesa interviene all’evento organizzato dalla «Verità» dedicato al tema della sicurezza con i vertici del comparto. Roberto Cingolani (Leonardo) e Nunzia Ciardi (Acn): bisogna prevenire le minacce con l’Ia.
Mai, come nel periodo storico nel quale stiamo vivendo, il mondo è stato più insicuro. Attualmente ci sono 61 conflitti armati attivi, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che coinvolgono oltre 92 Paesi. Ieri, a Roma, La Verità ha organizzato un evento dal titolo «Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti», che ha analizzato punto per punto i temi caldi della questione con esponenti di spicco quali il ministro della Difesa Guido Crosetto intervistato dal direttore della Verità, Maurizio Belpietro.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.






