Lavoro, sconfitta e forza: in 10 parole il vocabolario del nostro Sinner

Sinner the winner. Un italiano in cima al mondo. Un marchio. Un brand da esportare, nel più globalizzato degli sport (si gioca in tutti i continenti, 11 mesi l’anno). Un ragazzo che unifica anche oltre gli steccati della politica. Il suo trionfo è stato salutato a tutte le latitudini, da Giorgia Meloni a Elly Schlein fino a Giuseppe Conte. Fa eccezione la solita tribù dei rosiconi e dei leoni da tastiera che gli imputano la cittadinanza monegasca, l’eccesso di spot pubblicitari, il patteggiamento per il caso Clostebol (imputabile ai suoi precedenti collaboratori, salomonicamente licenziati).
E fa eccezione anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di cui non sono pervenuti messaggi di congratulazioni. Un silenzio che fa rumore. Una piccola ripicca per il mancato bacio della pantofola al rientro dal successo agli Australian open nel gennaio scorso, quando i medici consigliarono al campione altoatesino qualche giorno di riposo.
Per il resto, in schiacciante maggioranza, siamo orgogliosi di questo ragazzo di Sesto Pusteria, ricci rossi e gambe da stambecco, che incarna un particolare modo di essere. Una filosofia. Uno stile, forse. Ma nulla di stiloso o di costruito perché genuino e autentico. Nel cerimoniale postpartita, la principessa del Galles, Kate Middleton, ha rivelato a un emozionato Jannik che i suoi figli George e Charlotte giocano a tennis: «Sei un’ispirazione per loro». Per anni ci siamo sentiti fortunati ad assistere alle mirabilie dei Big three, Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic. Ora possiamo non attardarci sul loro tramonto perché già possiamo godere della feroce e leale rivalità dei Big two, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. Anzi, possiamo goderne di più, visto uno dei due è italiano. In questa fenomenologia proviamo a raccontarlo in dieci parole chiave.
Accettare
Le battute d’arresto e le sconfitte. A cominciare da quella traumatica, lacerante, di un mese fa sul centrale del Roland Garros di Parigi. «Dopo quella sconfitta non mi sono lasciato andare», ha confidato domenica dopo il trionfo. «Sono riuscito a gestire il dispiacere e soprattutto il rimpianto. Intendiamoci, non è stato facile accettare quel risultato. Ma ho capito cosa avevo sbagliato, ho lavorato, non mi sono fermato». Pensieri agli antipodi di quelli degli studenti renitenti all’esame orale di maturità perché critici del sistema di valutazione dei voti.
Controllo
Niente euforia né vertigini da vittoria. «Non sono uno che piange per l’emozione», ha svelato. «A volte ho fatto fatica, mentalmente forse più in allenamento, perché in partita riesco a “staccare” la mente e a giocare. E credo che questo mi abbia aiutato molto».
Famiglia
Riferimento costante, citazione puntuale. E pazienza se per qualcuno è retorica. Presenza affidabile anche nei momenti difficili. «La settimana dopo Parigi è stata tranquilla, molto tranquilla. Sono andato a trovare i miei genitori, abbiamo fatto una grigliata, ho visto i miei amici, abbiamo giocato un po’ a ping pong, fatto cose normali (tra le quali portare il gatto dal veterinario con la Panda della mamma ndr). Proprio quello che mi serviva dopo un torneo stressante. A me piace sempre ritrovare serenità con le persone che mi conoscono davvero».
Lavoro
Una delle parole frequenti nel vocabolario sinneriano. Sinonimi: disciplina, applicazione, costanza. Non ci sono altri segreti, oltre ai doni di cui la natura, il Padreterno, lo ha dotato. Far fruttare il talento ricevuto. Moltiplicarlo, con la dedizione e l’impegno quotidiano.
Miglioramento
Altra parola ricorrente. Forse il suo vero mantra, sembra non pensare ad altro: dove e come posso migliorarmi. «A 23 anni non credo di essere al 100%, quindi ci sono tante cose, anche piccole, che fanno la differenza, lo 0,1%, ma sono quelle che contano. Sono alla ricerca proprio di quelle». Un’ossessione non ossessiva, ma costruttiva. Che lo aiuta ad affrontare con abnegazione il lavoro di ogni giorno.
Perfezione
Irraggiungibile, ma un traguardo cui tendere. «Il tennista perfetto», titolava ieri la Gazzetta dello sport il commento di Paolo Bertolucci. C’è uno spot pubblicitario che rende in modo scanzonato e autoironico questa attitudine. È quello di un marchio di caffè che si svolge nel backstage dello spot stesso, dove è lui a chiedere di provarlo, riprovarlo e riprovarlo ancora, fino all’esasperazione dell’intero staff. Si può sempre fare meglio.
Solidità
Forse, insieme al ritmo e alla potenza dei colpi, è la caratteristica principale del suo tennis. Non ha punti deboli, crepe nelle quali l’avversario possa infilarsi e far leva. Dritto e rovescio si equivalgono. Sotto la cura dei due coach, Simone Vagnozzi e Darren Cahill, negli ultimi due anni ha migliorato parecchio il servizio e il gioco a rete. Forse non dispone di un repertorio infinito come quello di Alcaraz, ma il suo standard è più autorevole e costante.
Storia
«Ho solo 23 anni, credo sia sbagliato parlare di storia. Aspettiamo a fare affermazioni del genere. Mi sento fortunato a essere italiano e penso che l’Italia si meriti tante cose belle. Sono contento di far parte di questa storia». Anche se non passa obbligatoriamente dalle ospitate al Festival di Sanremo o dall’essere un habitué del Quirinale.
Team
Praticamente la sua famiglia allargata. «Sono circondato da persone che mi vogliono bene, capaci di accettarmi per quello che sono e di farmi capire le cose che posso fare meglio». Nella squadra dev’esserci armonia, piena sintonia e condivisione del piano di lavoro. Darren Cahill, che prolungherà la sua collaborazione, ha un ruolo più paterno e di saggio consigliere, attento anche agli aspetti psicologici. Simone Vagnozzi è un confidente, un fratello maggiore, espertissimo sia dal punto di vista tattico che tecnico. Mix vincente (che verrà integrato).
Testa
Tra i tanti, il talento più spiccato. Solidità, controllo e predisposizione positiva che non hanno paragoni. È qui la genesi della resilienza di Jannik, la capacità di ribaltare le situazioni. Tutti ricordiamo i tre match point annullati a Djokovic nella semifinale di Coppa Davis del novembre 2023, una sorta di sliding door. Domenica, nel terzo set, sul 3 a 4, 30 pari, si giocava un punto decisivo. Poteva portare alla palla break che avrebbe potuto aprire la strada a Carlitos. Dopo la prima palla di servizio out, si è inventato un ace di seconda. A seguire un altro ace per aggiudicarsi il game. La testa s’impone nei momenti chiave.






