
Il danno per lo scippo dei preziosi ammonta a 88 milioni, ma il governo fa sapere che lo Stato non riceverà alcun indennizzo, non avendo mai stipulato una polizza. Il «Telegraph»: «La responsabile della sicurezza del museo assunta grazie alle quote rosa».Quando capita un fattaccio, e a questo segue una conseguenza anche peggiore, si è soliti dire: «Oltre al danno, anche la beffa». È proprio quello che deve aver sospirato Laurence des Cars, direttore del Museo del Louvre, quando ha realizzato che la Francia non riceverà alcun risarcimento per il furto dei gioielli di inestimabile valore storico appartenuti alla collezione privata di Napoleone, trafugati domenica. Motivo? i monili non erano coperti da assicurazione privata. A renderlo noto è stato lo stesso governo francese attraverso un comunicato del ministero della Cultura. «Lo Stato funge da proprio assicuratore quando le opere dei musei nazionali si trovano nel loro abituale luogo di conservazione», ha dichiarato un portavoce in una nota riportata dal quotidiano Le Parisien. Il funzionario ha tentato di salvare quanto resta di dignitoso in questa vicenda asserendo che «questa scelta tiene conto dell’elevato costo delle assicurazioni quando il tasso di sinistri è basso». Tuttavia, sebbene la responsabilità per le opere appartenenti alla collezione nazionale ricada generalmente sullo Stato, i musei sono soliti stipulare polizze assicurative quando spostano gli oggetti o li prestano ad altre istituzioni. Gallerie private, come quella presso la Fondazione Louis Vuitton e la Pinault Collection, invece, in genere acquistano assicurazioni private. Allo stesso modo, la maggior parte della responsabilità per la ricostruzione della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, gravemente danneggiata da un incendio nel 2019, è ricaduta sul governo francese, ma le donazioni private, che ammontano a circa 840 milioni di euro provenienti da 340.000 donatori, hanno coperto i costi della ricostruzione evitando così che le spese ricadessero interamente sui contribuenti. Ieri, la procuratrice di Parigi, Laura Beccuau, ha fatto sapere che il danno provocato dal furto ammonta a 88 milioni, definendola una somma «estremamente spettacolare» ma che «non ha nulla comparabile al danno storico». Secondo la procuratrice, i banditi «non guadagneranno» questa somma «se avessero la pessima idea di fondere questi gioielli».La direzione del Louvre difende la qualità delle teche che custodivano i gioielli della corona sottratti dai ladri nella Galleria di Apollo. I moduli espositivi in questione erano stati installati nel dicembre 2019, poiché l’obsolescenza delle precedenti teche avrebbe costretto il museo a ritirare le opere dalla vista del pubblico. Anche il ministro della Cultura, Rachida Dati, intervenendo all’Assemblea nazionale, ha difeso il museo, dicendo che i dispositivi di sicurezza del museo «hanno funzionato». «Quello che è successo domenica al Louvre è una ferita per tutti noi, perché è stato colpito lo schermo della cultura francese», ha detto Dati. «Ho chiesto l’apertura di un’inchiesta amministrativa che farà trasparenza», ha aggiunto il ministro.Dei nove gioielli sottratti, solo uno è stato ritrovato nei pressi del museo il giorno stesso, probabilmente perso dai criminali in fuga. Si tratta del diadema dell’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III. Gli altri preziosi sono stati segnalati dal ministero. Si tratta un diadema della parure delle regine Marie-Amélie (consorte di Luigi Filippo d’Orléans) e Ortensia (figlia Giuseppina Beauharnais e, più tardi, moglie del fratello minore di Napoleone I, Luigi Bonaparte, re dei Paesi Bassi, nonché madre di Napoleone III); un collier di zaffiri appartenuto alle stesse regine; orecchini con pietre della parure di zaffiri di Marie-Amélie e Ortensia; un collier di smeraldi della parure di Marie-Louise (duchessa di Parma e cugina di Luigi Filippo d’Orléans); un paio di orecchini di smeraldo della stessa parure; una spilla detta «reliquia»; un gioiello da corsetto dell’imperatrice Eugenia.Nel turbine di questa vergogna ci è finita anche Dominique Buffin, responsabile della sicurezza del Louvre, accusata da alcuni esponenti politici di aver messo a rischio i tesori nazionali francesi. Con un passato nel ministero della Cultura e nella polizia francese, ora deve affrontare richieste di dimissioni e accuse di inadeguatezza. E come se non bastasse, secondo un’indiscrezione del quotidiano britannico The Telegraph, la stessa Buffin - prima donna a capo della sicurezza del museo, assunta lo scorso settembre dalla des Cars, primo direttore donna del museo - sarebbe stata accusata di essere stata assunta per «motivi di diversità». Il Telegraph parla di «diversity hire». L’espressione indica una persona assunta da un’azienda nell’ambito di politiche di diversità e inclusione, cioè con l’obiettivo di aumentare la rappresentanza di gruppi sottorappresentati. Può riferirsi, per esempio, a donne in settori dominati da uomini, persone appartenenti a minoranze etniche, disabili, o membri della comunità Lgbt. In senso neutro, il termine significa che l’azienda sta correggendo uno squilibrio e promuovendo una forza lavoro più inclusiva. In senso dispregiativo o polemico, invece, viene usato (soprattutto nei Paesi anglosassoni) per insinuare che una persona sia stata assunta più per la sua appartenenza identitaria (come il sesso o l’etnia) che non per il suo merito o le sue reali competenze. Solo il tempo dirà dove sta la verità.
Ansa
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