2021-07-06
L'Italia operaia va in paradiso
L'Italia esulta e va in finale agli Europei (Photo by Carl Recine - Pool/Getty Images)
Azzurri vittoriosi dopo una partita di tenacia e sofferenza. Federico Chiesa ci porta in vantaggio con una magia, Álvaro Morata pareggia. Ma, al momento dei penalty, il centravanti iberico si fa ipnotizzare da Gigio Donnarumma. Poi c'è Jorginho.Fratelli d'Italia, fratelli di maglia. Un gruppo di ragazzi puliti con cuore e identità bussa alla porta della leggenda. Gli azzurri sono in finale agli Europei dopo una guerra infinita contro una Spagna più coriacea, impegnativa, perfino forte, piegata ai rigori 5-3 (1-1 risultato del campo) al termine di una maratona fatta di sofferenza e adrenalina. Il gol di Federico Chiesa, la classe e l'abnegazione di Jorginho, le parate di Gigio Donnarumma illuminano la notte inglese, ma su tutto c'è ancora una volta la resistenza di 16 guerrieri che si sono alternati a Wembley per regalare a un intero Paese l'emozione più grande.Sono almeno 30.000 gli italiani nello stadio, un tuono per i nostri ragazzi. La Spagna non si inginocchia quindi neppure noi (meglio così ma lasciamo perdere). Anche i tifosi sono in sintonia e cantano insieme motivetti di Raffaella Carrà. Italia-Spagna è la partita più giocata nella storia degli Europei, sette volte. Ma pure nella storia in assoluto: 37 volte, 11 vittorie a testa e 15 pareggi. Un equilibrio destinato a rompersi. Dopo il contorno, subito la pietanza: la Spagna prende in mano il pallino di un gioco sinuoso e avvolgente, più orizzontale che efficace, con tutti i difetti del Portogallo e senza Cristiano Ronaldo. La palla va veloce ma i giocatori sono sempre lì, guidati dai sopraffini Dani Olmo e Pedri (19 anni). Si sbadiglia. E infatti al 12' anche Mikel Oyarzabal si addormenta sulla palla, solo a tre metri da Donnarumma. Al 20' assistiamo a un regalone di Ciro Immobile e Nicolò Barella che non riescono a tirare in porta con Unai Simon a spasso per la sua area. Ma è la Spagna a comandare il valzer lento e al 24' arriva la sua pallagol più nitida: Olmo si infila in area e tira fra i nostri corazzieri paralizzati, solo un miracolo del giovane portierone italiano ci salva. Poi si torna a giocare a scacchi. Qualche riflessione: Emerson Palmieri non vale la metà di Leonardo Spinazzola, Federico Chiesa non trova un centimetro di spazio per lanciarsi a fionda e l'arbitro tedesco Felix Byrch è un onesto impiegato del catasto che distribuisce falli a caso a centrocampo. All'ultimo secondo del primo tempo, ovviamente per smentirci, Emerson scheggia la traversa sull'unica invenzione (fin qui) di Insigne. In assoluto si può fare molto meglio. Si riparte, e la Spagna continua con il suo tiki-taka light (senza Xavi e Iniesta è dura), portato avanti con pochi sbocchi offensivi. La difesa sembra fragile: centrali semoventi come Aymeric Laporte ed Eric Garcia, esterni troppo offensivi e il fantasma di Sergio Ramos, che in una sfida così avrebbe fatto molto comodo al filosofo situazionista Luis Enrique. La prima volta in cui l'Italia riesce a prenderli in velocità, passa in vantaggio con il più classico contropiede uscito dal museo dell'Inter di Helenio Herrera. Al 60' Insigne e Immobile duettano in velocità, un difensore respinge ma arriva Chiesa e segna con una sassata delle sue. E con il portiere spagnolo più immobile di Immobile. Adesso cambia tutto, si può difendere e ripartire a freccia: la finale si avvicina. Mancini mette Domenico Berardi al posto del Ciro confuso e stremato. È pronto per Fort Alamo. La battaglia comincia. Oyarzabal, un ragazzo volenteroso quanto scarso, si mangia il pareggio lisciando di testa davanti a Donnarumma; Olmo sfiora il palo da lontano. Ma gli azzurri sanno come si riparte ed è ancora Chiesa (decisivo) a mettere Berardi solo davanti a Unai Simon, che respinge. Un errore che pagheremo caro. La Spagna è un bradipo, l'Italia adesso un furetto. Quando recupera palla va al doppio della velocità; esce lo spirito manciniano, undici ragazzi umili e solidi vedono il traguardo. La fatica non si fa sentire, entra Matteo Pessina per supportare il contropiede e pensare calcio nella tonnara. Abbiamo la partita in mano ma il supertonno è il veterano dei marines Giorgio Chiellini, che all'80' si fa infilare dal suo compagno juventino Alvaro Morata: finta sul portiere, gol. È il pareggio, è una mazzata. Fuori Insigne dentro Andrea Belotti, fuori Barella dentro Manuel Locatelli: è il tempo dei riservisti e dei supplementari in una semifinale che avevamo in tasca e adesso rigiochiamo in mezz'ora.Gli azzurri rischiano il tracollo al 98' su una mischia omerica in area che gli spagnoli non sfruttano. Improvvisamente sembriamo molto stanchi, abbiamo negli occhi il gol del pareggio e sulle spalle i mali del mondo. Dani Olmo pare Leo Messi, la Spagna prende di nuovo campo e crea nuovi brividi. Servirebbe un colpo di genio, ma si vede solo gente stremata. Belotti si addormenta in fuorigioco, anche gli spagnoli si sgonfiano. Rigori. Da sempre Arrigo Sacchi sostiene che non siano una lotteria: «Chi sa di meritare va sul pallone con più cattiveria». Dev'essere proprio così. Locatelli sbaglia, ma Belotti, Bonucci, Bernardeschi fanno il loro dovere. Donnarumma oscura la vallata a Dani Olmo e Morata. E la carezza finale di Jorginho è una buonanotte dolcissima.«Mancini è caro agli dei», direbbe Gianni Brera. Si rimane qui, accampati fino a domenica sera, per toccare con mano la base dell'arcobaleno e scoprire se la pentola d'oro è accanto alla nostra panchina. Si rimane qui, con la consapevolezza di poter lottare ancora. Sia Inghilterra oppure Danimarca. Li aspettiamo guardandoli negli occhi. Italia credici, c'è un lavoro da finire.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)