2024-06-15
L'Iran studia un nuovo impianto nucleare
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Mentre la Casa Bianca è impantanata nelle trattative sulla guerra a Gaza, l'Iran sta progredendo verso il completamento di un nuovo impianto nucleare situato a 100 metri di profondità, dove potrebbe arricchire l'uranio a scopo militare, protetto dagli attacchi aerei israeliani e statunitensi.Il nuovo impianto nucleare iraniano nei pressi di Natanz potrebbe essere situato troppo in profondità nel sottosuolo per essere distrutto da raid aerei.Questa struttura potrebbe non essere operativa quest'anno, dando tempo agli Stati Uniti e ai loro alleati per fare pressione su Teheran affinché sveli le sue intenzioni, o per preparare piani militari per impedire all'Iran di utilizzare il sito per fini bellici.Dal 2022, l'Iran sta costruendo l'impianto nucleare, profondamente nascosto nelle montagne di Kūh-e Kolang Gaz Lā, noto anche come "Pickaxe Mountain", vicino all'attuale sito nucleare di Natanz. Teheran sostiene che l'impianto sostituirà un impianto di assemblaggio di centrifughe danneggiato nel sabotaggio del 2020. Tuttavia, gli ufficiali dell'intelligence occidentale temono che il sito possa ospitare un nuovo impianto di arricchimento dell'uranio. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) non ha ancora segnalato una visita al sito.Il sito come spiega un report della Foundation for Defense of Democracies ( FDD) si trova a più di 100 metri sotto la superficie, più in profondità rispetto all'impianto di Fordow, che è ubicato a 80-90 metri sotto terra. Ciò potrebbe rendere la nuova struttura praticamente impenetrabile anche alle più potenti bombe anti-bunker statunitensi, che possono raggiungere profondità di almeno 60 metri. Inoltre, l'Iran potrebbe non rispettare il suo obbligo legale di informare l'AIEA sull'impianto. L'AIEA ha ripetutamente espresso preoccupazione per il fatto che dal 2021 Teheran si sia rifiutata di attuare un obbligo di salvaguardia legale noto come “Codice modificato 3.1”. Questo obbligo fa parte degli accordi sussidiari all'accordo globale di salvaguardia dell'AIEA (CSA) dell'Iran, richiesto per tutte le parti del Trattato di non proliferazione nucleare.Il Codice modificato 3.1 richiede agli Stati di dichiarare la costruzione di nuovi impianti nucleari e di fornire informazioni sulla progettazione all'AIEA non appena viene presa la decisione di costruirli. L'AIEA ha riferito quest'anno che l'Iran ha violato il suo accordo di salvaguardia quando ha iniziato la costruzione di un nuovo reattore nucleare senza avvisare l'AIEA o adempiere ai suoi obblighi di salvaguardia. L'AIEA ha inoltre osservato con preoccupazione che Teheran ha annunciato l'intenzione di costruire un reattore di ricerca e altre quattro centrali nucleari.Teheran afferma di aderire alla versione precedente del Codice 3.1, che impone di notificare all'AIEA gli impianti nucleari solo sei mesi prima dell'introduzione del materiale nucleare – o essenzialmente appena prima che diventino operativi. Tuttavia, l'AIEA necessita di tempo per progettare misure di salvaguardia adeguate per gli impianti di produzione di materiale nucleare, al fine di rilevare e prevenire la deviazione verso usi militari. Questo è il motivo per cui il Codice modificato 3.1 diventa un obbligo giuridico irreversibile una volta che uno Stato vi ha aderito, come ha fatto l'Iran.Una prospettiva ancora più preoccupante è che l'Iran potrebbe non dichiarare mai l'impianto, ma utilizzarlo per una rapida transizione verso le armi nucleari. Teheran potrebbe, ad esempio, deviare le sue scorte di uranio arricchito verso l'impianto e arricchire rapidamente il materiale per renderlo utilizzabile per armamenti. Anche se le potenze occidentali intervenissero, potrebbero non riuscire a fermare un'irruzione nella struttura con gli attuali mezzi militari.Un piccolo impianto di arricchimento con diverse centinaia di centrifughe avanzate è tutto ciò di cui l'Iran ha bisogno per condurre una fuga verso le armi nucleari. A partire dall’estate 2024, Teheran potrebbe produrre abbastanza uranio per armi per un massimo di 13 bombe e abbastanza per un'arma entro una settimana, il che significa che l'Occidente non ha piu’ tempo da perdere.Secondo Kelsey Davenport, direttore della politica di non proliferazione presso la Arms Control Association con sede a Washington. «Il completamento di una struttura del genere porterebbe ad uno scenario da incubo che rischia di innescare una nuova spirale di escalation e considerato quanto l’Iran sia vicino ad una bomba, ha ben poco spazio per incrementare il suo programma senza far scattare le linee rosse di Stati Uniti e Israele. Quindi, a questo punto, qualsiasi ulteriore escalation aumenta il rischio di conflitto».Il Consiglio dei Governatori dell'AIEA, composto da 35 paesi, ha recentemente votato per censurare l'Iran per il mancato rispetto dei suoi obblighi di non proliferazione, invitando specificamente l'Iran ad attuare il Codice modificato 3.1. Se Teheran non si conformerà e non rivelerà all'AIEA informazioni sull'impianto, il consiglio dovrebbe votare per deferire il caso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove qualsiasi parte dell'accordo nucleare del 2015 con Teheran potrebbe innescare il "snapback" di tutte le sanzioni delle Nazioni Unite sull'Iran entro 30 giorni. ll termine "snapback" è utilizzato per descrivere il processo con cui le sanzioni e le restrizioni delle Nazioni Unite possono essere reimposte alla Repubblica islamica dell'Iran in conformità con la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR) 2231, che ha approvato l'accordo sul nucleare iraniano del 2015, formalmente noto come Piano d'azione congiunto globale (JCPOA). Gli Stati Uniti, Israele e i loro alleati devono contemporaneamente preparare piani militari per colpire l'impianto e fermare un'eventuale l’operazione iraniana. Una rinnovata capacità di armi nucleari darebbe al regime di Theran la copertura per intensificare le sue attività destabilizzanti nell’intera regione.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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