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2023-07-07
L’ira di Chigi: «Le toghe fanno opposizione?»
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (Imagoeconomica)
Altro che «freddezza», altro che «imbarazzo»: Giorgia Meloni scende in campo in maniera decisa in difesa di Daniela Santanchè e Andrea Delmastro, due esponenti del governo, due figure di primo piano di Fratelli d’Italia, due suoi fedelissimi, finiti nel mirino di alcuni magistrati, smentendo i retroscena interessati che ieri facevano trapelare malumori del presidente del Consiglio nei confronti del ministro del Turismo e del suo modo di difendersi, in Aula al Senato, dalle accuse di media e opposizioni.
La Meloni indossa l’elmetto, dopo che ieri il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia Delmastro, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito, l’anarchico detenuto al 41 bis. Il gip di Roma non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura che ora dovrà formulare una richiesta di rinvio a giudizio. Il pensiero del premier è affidato a una nota di «fonti di Palazzo Chigi»: «In un processo di parti», recita il comunicato, «non è consueto che la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice per le indagini preliminari imponga che si avvii il giudizio. In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria. Quando questo interessa due esponenti del governo in carica», aggiunge la nota, «è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee».
Parole durissime, quelle dirette contro i magistrati di Milano (che si occupano del caso Santanchè) e il gip di Roma, che confermano quanto La Verità aveva già ben compreso consultando diverse fonti di centrodestra: la maggioranza andrà avanti compatta, granitica, al fianco di Santanchè e Delmastro, e se ci sarà qualcuno che vorrà lasciarsi andare a critiche e veleni dovrà vedersela direttamente con la Meloni.
«Prima il ministro Santanchè», dichiarano il presidente dei senatori e dei deputati di Fdi, Lucio Malan e Tommaso Foti, «che nel giorno della sua informativa in Senato, riceve dai media la notizia di indagini a suo carico; oggi il sottosegretario Delmastro che viene rinviato a giudizio dal gip benchè il pm ne abbia chiesto l’archiviazione. Si tratta di due circostanze a dir poco sospette che rimandano a scenari che ci auguravamo superati».
Stupore e sorpresa per la decisione del gip di Roma su Delmastro viene espressa da molti parlamentari di Fdi, mentre la Lega conferma il suo sostegno totale al ministro del Turismo: «La Santanché», sottolinea a Rai 3 il capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, «ha fatto un’informativa che non era tenuta a fare, l’ha fatta su atti che non riguardano la sua attività di ministro. Ha voluto fare chiarezza. Come maggioranza non possiamo che prendere atto della sua scelta e essere soddisfatti di quello che ha detto. Quello che sarà lo dovranno decidere altri organismi non certo il Senato della Repubblica».
Va all’attacco la segretaria del Pd, Elly Schlein: «È inaccettabile in un sistema democratico che, anziché rispondere alle gravi accuse nel merito, Palazzo Chigi alimenti un pericoloso scontro tra poteri dello Stato diffondendo una nota con toni intimidatori nei confronti della magistratura. A questo punto è inevitabile che il premier esca dal suo silenzio e si assuma le sue responsabilità».
In sintesi, lo scontro tra governo e una parte della magistratura si arroventa: nulla di nuovo, se consideriamo che a moltissimi osservatori il trionfo della Meloni alle scorse elezioni politiche ha ricordato quello di Silvio Berlusconi nel 1994. E sembra di essere tornati davvero a quei tempi: avvisi di garanzia recapitati attraverso le prime pagine dei giornali, inchieste à gogo, media di sinistra che svolgono il compito di amplificatori di inchieste giudiziarie appena nate. Quanto fatto trapelare da Palazzo Chigi fa capire molto bene che la Meloni non ha alcuna intenzione di lasciarsi logorare dal circuito mediatico-giudiziario: il premier conosce bene i meccanismi di questa trappola infernale e sa perfettamente che la questione va affrontata immediatamente e con fermezza. Quello che è certo è che le prossime settimane si annunciano torride, e non solo per questioni di temperatura.
Davanti alle accuse alla Santanchè la minoranza va in ordine sparso
Dall’inizio della legislatura non c’è stato un solo dossier su cui le opposizioni non siano andate in ordine sparso. La vicenda che coinvolge il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, non fa eccezione, ma ciò che è più rilevante è che si tratta di distinguo per un mero posizionamento politico, bensì di punti di vista talvolta opposti, che investono la concezione stessa del rapporto tra politica, magistratura e media. In soldoni, è emersa ancora una volta la faglia tra l’ala garantista e quella giustizialista del centrosinistra, con il Pd risucchiato nella competizione forcaiola con il M5s e il Terzo polo ormai ridotto a un saloon di sfondo per la rissa perenne Renzi-Calenda.
A guidare l’assalto al ministro è senza dubbio la pattuglia parlamentare grillina, che ieri ha dato vita a Palazzo Madama a un’escalation, prima annunciando in Aula, attraverso il capogruppo Stefano Patuanelli, la presentazione di una mozione di sfiducia, poi facendo partire la gazzarra dai banchi del Senato al grido «dimissioni», e infine convocando una conferenza stampa di Giuseppe Conte, alla presenza di alcuni ex dipendenti delle aziende della Santanchè.
Di fronte agli effetti speciali grillini, tanto per cambiare, il Pd di Elly Schlein non ha potuto che andare a rimorchio, stoppando ogni eventuale refolo di garantismo che sarebbe potuto provenire dall’ala riformista ex renziana e ha fatto sapere a breve giro di voler sottoscrivere la mozione. Tanto che ora i dem si sono allineati al fervore pentastellato nel chiedere che il ministro riferisca anche alla Camera e stanno preparando una mozione di sfiducia in quel ramo del Parlamento. Oggi a tentare di recuperare il gap di giustizialismo creatosi ieri col M5s sono stati i dem Sandro Ruotolo e Toni Ricciardi. Il primo, in qualità di responsabile informazione del Nazareno, ha affermato che «Daniela Santanchè per noi si deve dimettere senza dover aspettare la conclusione dell’iter giudiziario. Ha mentito sapendo di mentire. Ecco perché voteremo a favore della mozione di sfiducia presentata dai 5 stelle». Per Ricciardi, che è vicepresidente dei deputati dem, «al ministro non restano che le immediate dimissioni. È una questione di opportunità politica, di dignità e decoro. Credo sia del tutto evidente che la Santanché non possa più ricoprire l’incarico senza ledere l’immagine del Paese e quella dell’esecutivo».
I 5 stelle tentano però di mantenere il primato dell’intransigenza, attivandosi per una mozione di sfiducia bicamerale, come annuncia il capogruppo a Montecitorio, Francesco Silvestri: «Anche alla Camera il M5s ha presentato una mozione di sfiducia. La Santanchè ha provato a sottrarsi in tutti i modi e così facendo ha mancato di rispetto a un ramo del Parlamento e a una delle istituzioni che dovrebbe essere in grado di rappresentare». Rincara la dose Michele Gubitosa, anch’esso deputato, per il quale «il fatto giudiziario non c’entra nulla ma il ministro ha mentito al Senato e dopo le menzogne riportate abbiamo chiesto le dimissioni. Sui voti di tutta l’opposizione», ha concluso sibillino, «poi ognuno si assume le proprie responsabilità».
Nel mirino di Gubitosa e di tutto il M5s c’è la parte di opposizione che non ha abdicato al garantismo nemmeno per la vicenda del ministro del Turismo, segnatamente Matteo Renzi e Italia viva, che ha ribadito anche ieri la propria linea con Ettore Rosato: «L’approccio che adotta una parte dell’opposizione, affrettandosi a presentare una mozione di sfiducia nei riguardi del ministro, ottiene come sempre il solo obiettivo di cementare ancora di più la maggioranza. Sui temi giudiziari i giornalisti fanno il loro mestiere. Troppe volte però vedo avversari o alleati politici coinvolti in vicende che occupano le prime pagine dei giornali o dei rotocalchi televisivi e poi, dopo un po’, si sgonfiano in un nulla di fatto, che nel frattempo ha comunque provocato una lesione alla credibilità di persone risultate poi estranee». Parole che tengono alta la tensione con Carlo Calenda, che a margine della informativa del ministro era stato tacciato dai renziani di «grillismo» per la richiesta di dimissioni. Monolitici i rossoverdi, che con Angelo Bonelli hanno annunciato un’interrogazione al premier sull’operato del ministro.
Infine, il caso del capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, il quale ha minacciato di querelare Il Foglio per aver ipotizzato che il bersaglio della frecciata della Santanchè sui politici di sinistra che prenotano nei suoi locali (in primis il celebre Twiga) fosse principalmente lui. «È una cosa falsa», ha commentato Boccia, «e mai avvenuta».
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Le critiche al ministro del Turismo compattano la maggioranza, che ipotizza un legame con il caso Delmastro. Il governo infatti lascia trapelare un sospetto: «La magistratura vuole inaugurare la campagna elettorale?». Tommaso Foti: «Circostanze preoccupanti».M5s sulle barricate, il dem Francesco Boccia in imbarazzo minaccia querele. Faida nel Terzo polo.Lo speciale contiene due articoli.Altro che «freddezza», altro che «imbarazzo»: Giorgia Meloni scende in campo in maniera decisa in difesa di Daniela Santanchè e Andrea Delmastro, due esponenti del governo, due figure di primo piano di Fratelli d’Italia, due suoi fedelissimi, finiti nel mirino di alcuni magistrati, smentendo i retroscena interessati che ieri facevano trapelare malumori del presidente del Consiglio nei confronti del ministro del Turismo e del suo modo di difendersi, in Aula al Senato, dalle accuse di media e opposizioni. La Meloni indossa l’elmetto, dopo che ieri il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia Delmastro, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito, l’anarchico detenuto al 41 bis. Il gip di Roma non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura che ora dovrà formulare una richiesta di rinvio a giudizio. Il pensiero del premier è affidato a una nota di «fonti di Palazzo Chigi»: «In un processo di parti», recita il comunicato, «non è consueto che la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice per le indagini preliminari imponga che si avvii il giudizio. In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria. Quando questo interessa due esponenti del governo in carica», aggiunge la nota, «è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Parole durissime, quelle dirette contro i magistrati di Milano (che si occupano del caso Santanchè) e il gip di Roma, che confermano quanto La Verità aveva già ben compreso consultando diverse fonti di centrodestra: la maggioranza andrà avanti compatta, granitica, al fianco di Santanchè e Delmastro, e se ci sarà qualcuno che vorrà lasciarsi andare a critiche e veleni dovrà vedersela direttamente con la Meloni. «Prima il ministro Santanchè», dichiarano il presidente dei senatori e dei deputati di Fdi, Lucio Malan e Tommaso Foti, «che nel giorno della sua informativa in Senato, riceve dai media la notizia di indagini a suo carico; oggi il sottosegretario Delmastro che viene rinviato a giudizio dal gip benchè il pm ne abbia chiesto l’archiviazione. Si tratta di due circostanze a dir poco sospette che rimandano a scenari che ci auguravamo superati». Stupore e sorpresa per la decisione del gip di Roma su Delmastro viene espressa da molti parlamentari di Fdi, mentre la Lega conferma il suo sostegno totale al ministro del Turismo: «La Santanché», sottolinea a Rai 3 il capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, «ha fatto un’informativa che non era tenuta a fare, l’ha fatta su atti che non riguardano la sua attività di ministro. Ha voluto fare chiarezza. Come maggioranza non possiamo che prendere atto della sua scelta e essere soddisfatti di quello che ha detto. Quello che sarà lo dovranno decidere altri organismi non certo il Senato della Repubblica». Va all’attacco la segretaria del Pd, Elly Schlein: «È inaccettabile in un sistema democratico che, anziché rispondere alle gravi accuse nel merito, Palazzo Chigi alimenti un pericoloso scontro tra poteri dello Stato diffondendo una nota con toni intimidatori nei confronti della magistratura. A questo punto è inevitabile che il premier esca dal suo silenzio e si assuma le sue responsabilità». In sintesi, lo scontro tra governo e una parte della magistratura si arroventa: nulla di nuovo, se consideriamo che a moltissimi osservatori il trionfo della Meloni alle scorse elezioni politiche ha ricordato quello di Silvio Berlusconi nel 1994. E sembra di essere tornati davvero a quei tempi: avvisi di garanzia recapitati attraverso le prime pagine dei giornali, inchieste à gogo, media di sinistra che svolgono il compito di amplificatori di inchieste giudiziarie appena nate. Quanto fatto trapelare da Palazzo Chigi fa capire molto bene che la Meloni non ha alcuna intenzione di lasciarsi logorare dal circuito mediatico-giudiziario: il premier conosce bene i meccanismi di questa trappola infernale e sa perfettamente che la questione va affrontata immediatamente e con fermezza. 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In soldoni, è emersa ancora una volta la faglia tra l’ala garantista e quella giustizialista del centrosinistra, con il Pd risucchiato nella competizione forcaiola con il M5s e il Terzo polo ormai ridotto a un saloon di sfondo per la rissa perenne Renzi-Calenda. A guidare l’assalto al ministro è senza dubbio la pattuglia parlamentare grillina, che ieri ha dato vita a Palazzo Madama a un’escalation, prima annunciando in Aula, attraverso il capogruppo Stefano Patuanelli, la presentazione di una mozione di sfiducia, poi facendo partire la gazzarra dai banchi del Senato al grido «dimissioni», e infine convocando una conferenza stampa di Giuseppe Conte, alla presenza di alcuni ex dipendenti delle aziende della Santanchè. Di fronte agli effetti speciali grillini, tanto per cambiare, il Pd di Elly Schlein non ha potuto che andare a rimorchio, stoppando ogni eventuale refolo di garantismo che sarebbe potuto provenire dall’ala riformista ex renziana e ha fatto sapere a breve giro di voler sottoscrivere la mozione. Tanto che ora i dem si sono allineati al fervore pentastellato nel chiedere che il ministro riferisca anche alla Camera e stanno preparando una mozione di sfiducia in quel ramo del Parlamento. Oggi a tentare di recuperare il gap di giustizialismo creatosi ieri col M5s sono stati i dem Sandro Ruotolo e Toni Ricciardi. Il primo, in qualità di responsabile informazione del Nazareno, ha affermato che «Daniela Santanchè per noi si deve dimettere senza dover aspettare la conclusione dell’iter giudiziario. Ha mentito sapendo di mentire. Ecco perché voteremo a favore della mozione di sfiducia presentata dai 5 stelle». Per Ricciardi, che è vicepresidente dei deputati dem, «al ministro non restano che le immediate dimissioni. È una questione di opportunità politica, di dignità e decoro. Credo sia del tutto evidente che la Santanché non possa più ricoprire l’incarico senza ledere l’immagine del Paese e quella dell’esecutivo». I 5 stelle tentano però di mantenere il primato dell’intransigenza, attivandosi per una mozione di sfiducia bicamerale, come annuncia il capogruppo a Montecitorio, Francesco Silvestri: «Anche alla Camera il M5s ha presentato una mozione di sfiducia. La Santanchè ha provato a sottrarsi in tutti i modi e così facendo ha mancato di rispetto a un ramo del Parlamento e a una delle istituzioni che dovrebbe essere in grado di rappresentare». Rincara la dose Michele Gubitosa, anch’esso deputato, per il quale «il fatto giudiziario non c’entra nulla ma il ministro ha mentito al Senato e dopo le menzogne riportate abbiamo chiesto le dimissioni. Sui voti di tutta l’opposizione», ha concluso sibillino, «poi ognuno si assume le proprie responsabilità». Nel mirino di Gubitosa e di tutto il M5s c’è la parte di opposizione che non ha abdicato al garantismo nemmeno per la vicenda del ministro del Turismo, segnatamente Matteo Renzi e Italia viva, che ha ribadito anche ieri la propria linea con Ettore Rosato: «L’approccio che adotta una parte dell’opposizione, affrettandosi a presentare una mozione di sfiducia nei riguardi del ministro, ottiene come sempre il solo obiettivo di cementare ancora di più la maggioranza. Sui temi giudiziari i giornalisti fanno il loro mestiere. Troppe volte però vedo avversari o alleati politici coinvolti in vicende che occupano le prime pagine dei giornali o dei rotocalchi televisivi e poi, dopo un po’, si sgonfiano in un nulla di fatto, che nel frattempo ha comunque provocato una lesione alla credibilità di persone risultate poi estranee». Parole che tengono alta la tensione con Carlo Calenda, che a margine della informativa del ministro era stato tacciato dai renziani di «grillismo» per la richiesta di dimissioni. Monolitici i rossoverdi, che con Angelo Bonelli hanno annunciato un’interrogazione al premier sull’operato del ministro. Infine, il caso del capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, il quale ha minacciato di querelare Il Foglio per aver ipotizzato che il bersaglio della frecciata della Santanchè sui politici di sinistra che prenotano nei suoi locali (in primis il celebre Twiga) fosse principalmente lui. «È una cosa falsa», ha commentato Boccia, «e mai avvenuta».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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