2018-07-02
«Io, solo contro tutti». Il sindaco montanaro alla guerra dell’acqua
Luca Boschetti, primo cittadino di Cercivento: «Aspettano tutti che cada, ma io non mollo. La gente è con me». Ha già avuto quattro infarti.«Non mi arrenderò mai. Qua scriviamo la storia». Il sindaco combatte da solo. È con l'acqua alla gola. Ma «quell'acqua che tenue tra i sassi fluì», cantata dal Carducci, è il suo Piave. Testardo come un mulo degli alpini. Continua a pedalare, in fuga solitaria: ma com'è dura la salita. E qui, in terra di Carnia, di salite se ne intendono. A Ovest svetta il Zoncolan, la vetta ciclistica più dura d'Europa: in cima non c'è il santuario ma sui pedali c'è chi vede comunque la Madonna. A nord invece quel confine austriaco lungo il quale un secolo fa i ragazzi del '99 non fecero passare lo straniero. Qui lo straniero si chiama Cafc, Consorzio acquedotto Friuli centrale. Colosso pubblico che oggi gestisce le risorse idriche di tutti i 217 Comuni della regione, tranne uno. Tutti hanno consegnato le chiavi dei rubinetti comunali e gettato la spugna, dopo averla imbevuta delle preziose acque di montagna. Manca soltanto lui. L'ultimo bastione di resistenza idrica risponde agli ordini di Luca Boschetti, 46 anni. «L'ho promesso alla mia gente: dovranno passare sul mio corpo». Sotto la scorza montanara c'è un padre di famiglia che parla schietto ma non s'accalora. Pacifico come le montagne che lo hanno cresciuto, non si schioda. Il suo battaglione di fanti sono i 648 abitanti di Cercivento, provincia di Udine. Divisi tra Cercivento di Sotto e Cercivento di Sopra, ma uniti al grido di: «L'acqua è mia e la gestisco io». Boschetti, perché la bolletta di una famiglia da voi costa 45 euro all'anno, e nel paese accanto, Paluzza, sale a 235? «Più o meno è sempre la stessa acqua. Però noi spendiamo poco per la manutenzione della rete e abbiamo poche perdite nella tubatura. In passato come Comune ci siamo pure indebitati per mettere a posto l'acquedotto. Ma ora i risultati si vedono, no?».E perché se ti sposti di due chilometri la bolletta aumenta di cinque volte? «Perché nei paesi intorno l'acqua è gestita da una grossa società che con le bollette macina milioni di utili. Ma non si possono fare utili sull'acqua che ti arriva in casa. Stiamo combattendo da quindici anni per non cederla. Abbiamo paura dei rincari. Io me le faccio dare le bollette dagli altri Comuni, me le vado a spulciare, mi preoccupano le voci misteriose. Sa che qua intorno pagano 2,5 euro a persona per «garanzia perdita occulta»? Due euro e mezzo! Noi negli anni abbiamo rimesso tutto a nuovo, e ora qualcuno ci vuole guadagnare sopra?».Eppure siete circondati. Prima la bocciatura del Tribunale superiore delle acque e poi del comitato competente. Depone le armi?«No, vado in Cassazione. Da noi non c'è mai stato un disservizio, mai rubinetti senz'acqua. In municipio ho tre dipendenti che chiamo per nome. Quando c'è una perdita, col mio amico tecnico andiamo a riparare il tubo, sabato e domenica compresi. È la nostra acqua, che sgorga dalla nostra terra. Il nostro petrolio. Chi meglio di noi può proteggerlo? Se tutti ci danno torto è perché hanno un pregiudizio nei confronti dei Comuni. Se avessimo ragione in tribunale, si creerebbe un precedente. E altri paesi ci imiterebbero». Ma l'acqua è di tutti, no? «Però la sorgente è nostra, sa? E i nostri tubi vanno che è una meraviglia. Se dobbiamo condividere l'acqua non c'è problema. Ma perché dobbiamo fare un favore agli altri e per giunta pagare di più?». Sembra una guerra tra monti e valli…«Lo è. Noi già paghiamo tutto più caro quassù: la merce la portano i corrieri dalla città, che arrivano un giorno sì e uno no. La politica ci snobba, perché in montagna di voti da spremere ce ne sono pochi. Ci dicono che siamo una zona svantaggiata rispetto alla pianura? Bene, almeno sulla nostra acqua vorremmo un piccolo vantaggio sulle tariffe. Se mi aumentano le bollette, mi si svuota il paese».Vi state spopolando?«Il rischio c'è. Grazie a Dio i cerciventani resistono. Adesso vantiamo addirittura un saldo positivo. Se difendi il tuo paese la gente non ti abbandona. L'anno scorso sono nati sette bambini. Sette! Ogni nato è una festa, prendo carta e penna e gli scrivo: “Benvenuto a Cercivento"». Però gli altri sindaci hanno mollato il colpo.«Che delusione. Non gli ho tolto il saluto: sono loro che l'han tolto a me. Quando ti intestardisci su una battaglia, cominciano a giudicarti per il colore politico e si tirano fuori. Sono iscritto alla Lega da poco, ma sempre stato apolitico, io. Mi sento come l'ultima mela rimasta sull'albero: aspettano tutti che cada. Ma non mollo». Ma tempo fa ci stava rimettendo la pelle: quattro infarti al miocardio in un colpo solo. «Mi spiace solo non poter correre nelle valli come prima. Facevo anche dieci chilometri al giorno, ho una bella falcata. Meno male che quella sera a casa con me c'era Edoardo». E chi è Edoardo?«Mio padre. Classe 1934. Quando ha visto che stavo male, ha chiamato il 112 e mi ha caricato sull'ambulanza. Di corsa fino a Tolmezzo, in codice rosso. Mi operano d'urgenza. Se non era per lui, mica sarei qua a raccontarlo. Ogni giorno si faceva 80 chilometri in auto per venirmi a trovare in ospedale. È un alpino di ferro, come tutti noi. Ma quand'ero in terapia intensiva, gli ho visto scendere una lacrima. È stato il momento più duro». La cocciutaggine l'ha ereditata da lui? «E forse anche dal collegio dai frati e dalla brigata alpina Julia. E anche dalla mamma. Che è invece è nata nel 1938». Una ragazzina. «Vivono qui a cento metri da casa mia. Avere ancora i genitori è una fortuna per cui ringrazio il cielo. Ogni mattina facciamo colazione insieme. Poi mio padre si mette in cammino verso l'unico bar del paese, prende un caffè, compila la schedina del Superenalotto, si legge il giornale e poi se ne va a zappare l'orto e a far legna». A 84 anni? «Qua la legna si taglia adesso per il prossimo inverno. L'altro giorno ha trascinato anche me e mi sono arreso per primo. «Papà, e basta: sono stanco». Era stanco pure lui, ma faceva finta di no. Da giovane con quel legno ha costruito, con tutto il paese, il monumento ai “fusilâz di Çurçuvint"». I fucilati di Cercivento, che nel 1916 disobbedirono all'ordine di farsi macellare dalle mitragliatrici austriache. Siete gli unici al mondo con un monumento ai disertori. «Non sono disertori, ma alpini. Li hanno fucilati e condannati al disonore per l'eternità. Da anni lottiamo con i discendenti per riabilitare quei soldati. Il 4 novembre faccio due tappe: una corona di fiori ai caduti, e un'altra ai quattro fucilati di Cercivento. E speriamo che un giorno vengano qui anche le istituzioni a partire dal presidente della Repubblica». Una contrada di ribelli. «A 20 chilometri da qui ci sono le trincee della Prima guerra mondiale. Vederle con i propri occhi è un'altra storia. Capire come sono state realizzate, scavate nel freddo, a mazza e picco. I nostri nonni hanno difeso la patria a denti stretti. Le nostre battaglie, di cui quella per l'acqua è l'ultima, vogliono essere anche un ringraziamento per chi in passato si è sacrificato per questa terra». Eppure siete soli a combattere.«Sì, ma sa una cosa? A Cercivento siamo abituati a fare da noi. Abbiamo vissuto fior di invasioni. Abbiamo visto scorrazzare in paese austroungarici, fascisti, tedeschi, cosacchi. I peggiori sono stati i partigiani: quelli portavano via il pane e scappavano in montagna. O almeno così mi raccontano gli anziani in piazza. Dopo la guerra abbiamo reagito a modo nostro: alle elezioni del '46, quelle del voto femminile, siamo stati l'unico paese con una lista elettorale di sole donne». Anche la natura vi ha tradito spesso…«Sapesse le alluvioni e i terremoti. Quello del 1976 me lo ricorderò sempre. Avevo cinque anni. La casa che trema, mia madre che mi prende in braccio e corre fuori. Le notti a dormire in auto. Il paese era in ginocchio, ci fu molta solidarietà, ci siamo rimboccati le maniche e siamo ripartiti. Senza lamentarci troppo». I cittadini l'hanno mai contestata? «Siamo riottosi, è vero, ma ci conosciamo tutti e alla fine c'è un forte senso di rispetto per l'autorità. Il giorno dopo la mia elezione ho incontrato Antonio, un signore di novant'anni che mi ha sempre chiamato per nome: “Buondì Tunin". E lui, “buongiorno siur Sindic!". Per lui ora sono l'istituzione». Non è facile insegnare ai figli questa miscela di indipendenza e disciplina. «Io con il mio, che ora ha 17 anni, ci sto provando. Era più facile quando c'era la leva obbligatoria, che a me ha insegnato tantissimo. Lui studia da meccanico, e lo lascio fare». Meglio avvocato o medico? «Per carità. Lasciamo che i figli seguano le loro aspirazioni. Così mi hanno cresciuto i miei genitori, e così vorrei fare con lui. Lavoro in Comune dalla mattina alla sera mica per i 648 euro di busta paga da sindaco. Poter girare a testa alta tra la tua gente ti ripaga da tutte le fatiche. Spero che mio figlio da grande resti in paese. Nel giro di due chilometri voglio fargli trovare tutto». Di solito i montanari amano l'isolamento. Lei ha l'ossessione di attirare gente quassù. «Abbiamo appena celebrato la festa di San Giovanni, grande successo. Poi le sagre gastronomiche, i nostri tortelloni cjarsions (con ricotta affumicata e burro fuso). Va benone anche la mia iniziativa “Bibbia a cielo aperto". Abbiamo tappezzato le case storiche con mosaici coi passi del libro e affrescato la canonica con opere d'arte meravigliose. E adesso vengono da tutta Italia a vedere Cercivento, il paese dei mosaici». Ma il municipio non dovrebbe essere laico? «Ma io lo faccio per il turismo. Questo posto continuerà a esistere se non si nasconde al mondo. Io penso che la bellezza chiama bellezza. Quando vedi il bello attorno a te, le cose funzionano meglio». Da piccolo sognava la città?«Mai. Ero il classico ragazzino che passava le giornate a dare calci al pallone in cortile, e tornava a casa con le ginocchia sbucciate. Quando studiavo da geometra a Udine, attendevo il sabato per tornare tra i miei monti. Quando la mattina apro la finestra e vedo i miei boschi, e quel capriolo che mi viene a rosicchiare la pianta di fagioli in giardino, non vorrei essere in nessun altro posto. In pianura ci sono i comfort, ma in montagna c'è la felicità. Ma voi siete gente di città: non potete capire».
Jose Mourinho (Getty Images)