2024-06-14
Trovata l’intesa sugli aiuti a Zelensky. Ma l’accordo è al massimo ribasso
Volodymyr Zelensky e Giorgia Meloni (Ansa)
Verranno usati i proventi degli asset russi congelati per alimentare un fondo da 50 miliardi di dollari per Kiev. Toni trionfali per un risultato modesto: ogni Paese farà da solo. Però è stato messo un freno alle pretese Usa.Il primo giorno di incontri del G7 doveva portare a un risultato, purchessia, sullo scottante tema degli aiuti all’Ucraina finanziati con gli asset russi sequestrati. E così è stato.Già diverse ore prima della sessione pomeridiana dedicata al capo del governo di Kiev Volodymyr Zelensky, circolava sui grandi media internazionali la notizia dell’accordo raggiunto a livello diplomatico. E non c’era motivo di dubitare che i leader avrebbero fornito il loro avallo nelle ore successive.Ma dietro le quinte della comprensibile soddisfazione di facciata per il risultato comunque conseguito restano pesanti macerie, perché si tratta di un compromesso al massimo ribasso, dopo il quale ci sarebbe stato solo il fallimento delle trattative. La soluzione è stata quella di procedere separatamente, ognuno per sé, pur di arrivare alla somma complessiva di 50 miliardi di dollari da prestare all’Ucraina, sperabilmente entro fine anno. Ogni soggetto (Ue, Giappone, Canada, Usa, Regno Unito) emetterà separatamente debito sui mercati ed erogherà prestiti a Kiev, e i proventi dei fondi russi sequestrati serviranno a rimborsare capitale e interessi agli investitori. Se questi fondi fossero insufficienti, saranno inevitabilmente i bilanci di ciascuno Stato a sopportare i relativi oneri. E per definire questi complessi passaggi legali ci vorranno almeno altri 4/5 mesi. Sperabilmente prima delle elezioni presidenziali Usa. Il G7 pugliese ha posto solo le basi di un intenso lavorio tecnico e diplomatico che è ancora tutto in fieri. A questo proposito, emblematiche le parole di Ursula von der Leyen secondo cui «i ministri finanziari discuteranno dei dettagli per esempio sul “backstop” del prestito», cioè di chi sarà il garante di ultima istanza e di Giorgia Meloni che ha parlato di un «risultato non scontato che ora dovrà essere definito dal punto di vista tecnico», sottolineando: «Non si tratta di una confisca ma di profitti che maturano».Eppure, ad aprile 2022, quando Mario Draghi sembrava aver tirato fuori il coniglio dal cilindro, convincendo il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen a convergere sulla sua proposta di sequestrare le attività finanziarie della Banca centrale russa detenute all’estero (260 miliardi, di cui circa 200 nell’Eurozona), appariva tutto relativamente facile. Ma da allora ogni incontro è sempre terminato con un arretramento rispetto all’obiettivo iniziale. Dopo pochi mesi il tema della confisca, cioè il definitivo esproprio a danno dei russi, è rapidamente sparito dai radar, per lasciare il passo alla discussione sui soli proventi derivanti da quelle attività. Nonostante ciò, ancora mercoledì una lettera firmata da una oltre una decina di parlamentari di vari Stati membri Ue, continuava a chiedere al G7 di abbandonare le mezze misure e procedere comunque con la confisca. Si è arrivati alla vigilia del summit pugliese con autorevoli fonti diplomatiche Ue che hanno liquidato l’ultima proposta americana con un eloquente «potremmo essere stupidi, ma non fino a questo punto». Da Washington si intendeva emettere un prestito, farne pagare gli interessi alla Ue (via proventi dei fondi russi sequestrati) che avrebbe anche assunto la garanzia verso gli investitori, veicolare quei fondi a Kiev attraverso un apposito fondo Usa-Ucraina e, infine, avere le imprese Usa come principali fornitrici degli aiuti. Nemmeno Totò con la fontana di Trevi era stato capace di arrivare a tanto. «Se avessimo proposto la stessa cosa a parti invertite, ci avrebbero preso per pazzi» è stato il commento di un diplomatico Ue.Se gli Usa avessero insistito su tale schema, la Ue avrebbe messo sul tavolo il piano di riserva. Cioè quello di agire separatamente, ciascuno con le proprie responsabilità legali, finanziarie e, soprattutto, politiche. Perché in alcuni casi ci sarà da affrontare anche i rispettivi Parlamenti. Sta di fatto che tale papocchio è stato bloccato e quello che era il piano B è diventata la soluzione finale. Ancorché «provvisoria», come si sono affrettati a precisare anche sul Financial Times.Non è chiaro quale quota dei 50 miliardi di dollari - la cui velocità di assorbimento da parte di Kiev è tutta da valutare - finirà in aiuti militari e quale quota sarà destinata alla ricostruzione.Condizioni essenziale affinché, almeno nei prossimi anni, questo schema funzioni è che le attività russe sequestrate continuino a generare proventi. Fatto che nessuno può garantire. È stato però risolto - non si sa come -l’altro dubbio relativo alla durata del sequestro per tutto il tempo (prevedibilmente lungo) in cui sarà in piedi il prestito. La Russia non rivedrà i propri beni fino a quando non sarà stato rimborsato l’ultimo centesimo dei prestiti emessi dai membri del G7.E questo aspetto apre più di una crepa sul fronte della tenuta dell’euro. Perché proprio mercoledì la Bce ha pubblicato un rapporto in cui mostra il calo, seppure modesto, dell’euro come moneta usata negli scambi internazionali, in combinazione con l’ascesa della valuta cinese. Ma, soprattutto, viene evidenziato e sottolineato anche nei commenti che a fine 2023 le riserve delle altre Banche centrali denominate in euro erano diminuite di press’a poco 100 miliardi. Un calo del 5% circa. Da Francoforte hanno fatto esplicitamente notare che sulle scelte di alcune Banche centrali (Svizzera e Giappone in testa) hanno influito anche le «misure legate alle sanzioni». E, quel che è peggio, questa influenza potrebbe continuare anche in futuro.Di fronte a questo scontro con il principio di realtà, il poco si è rivelato meglio del nulla. Con il significativo pregio di essere riusciti a sbarrare il passo all’imbarazzante piano Usa.
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