2023-07-26
«Firme anticaccia? Anche noi abbiamo la nostra petizione popolare»
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L’eurodeputato di Fratelli d’Italia e presidente dell’Associazione culturale rurale Sergio Berlato: «In pochi mesi abbiamo raggiunto 482.000 firme e contiamo entro la fine di luglio di arrivare alle 500.000 per poter equiparare i cacciatori d’Italia a quelli europei nei diritti e nei doveri».Calendari venatori ancora in divenire o addirittura non emanati, ennesimo tentativo del mondo animale-ambientalista di raccolta firme per abolire la caccia e polemiche sul decreto per la gestione della fauna selvatica: per tutto il mondo venatorio italiano questa è un’estate di profonda incertezza e preoccupazione. Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con chi di caccia non solo se ne intende per passione e per mestiere, ma da anni se ne occupa anche a livello politico: l’eurodeputato di Fratelli d’Italia e presidente dell’Associazione culturale rurale Sergio Berlato.Onorevole, parliamo della sua passione?«Quale delle tante?»La caccia.«Certo. Ma io sono anche pescatore, ho origini agricole, quindi conosco tutto ciò che riguarda la cultura rurale».Diciamo che questo le permette di avere una visione a 360 gradi dell'argomento?«Esatto».Iniziamo dai calendari. A settembre si comincia, ma in molte regioni regna l’incertezza. Perché?«Sulla questione dei calendari venatori noi soffriamo un vulnus iniziale rappresentato dal fatto che l’Ispra, unico organo di consulenza tecnico scientifica previsto dalla legge statale 157/92, ha emanato una guida per la predisposizione dei calendari che si discosta molto da quanto previsto dalla norma per la protezione della fauna selvatica e il prelievo venatorio che stabilisce tempi e modalità per l’esercizio dell’attività».Cosa stabilisce questa guida?«Questa guida è molto restrittiva. Si parte dal presupposto che le regioni nell'emanazione dei loro calendari devono acquisire il previsto parere dell’Ispra, un parere che è obbligatorio ma non vincolante. Purtroppo questa guida viene presa dai giudici dei tribunali amministrativi regionali come vincolante e quindi quando le Regioni si discostano motivatamente dai pareri dell’Ispra, capita spesso che i Tar, accogliendo i ricorsi presentati dalle varie associazioni animale ambientaliste diano per scontato che quei pareri dell’Ispra siano vincolanti e se non vengono rispettati spesso ci sono pronunciamenti che vanno a sospendere o annullare in tutto o in parte il calendario venatorio, quindi abbiamo questa situazione di grande incertezza».Esiste un termine entro cui vanno emanati i calendari?«Certo ed è perentorio. Sempre la legge 157/92 obbligherebbe le Regioni a emanare i propri calendari venatori entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno. Ma spesso le Regioni non rispettano questo termine ed emanano i loro calendari a ridosso della stagione che normalmente inizia i primi di settembre».Questo cosa comporta?«Intanto crea incertezza nel diritto, perché sarebbe giusto che, una volta emanato il calendario, il cacciatore possa decidere in base a quel calendario come e quando andare a caccia. È come se io entrassi in un supermercato per comprare un litro di latte che costa tot, e se lo compro non è giusto che pagando per un litro mi venga consegnata una bottiglia da mezzo litro».In che senso?«Lo spiego con i numeri. Il cacciatore paga tra i 500 e i 600 euro all’anno di licenza, tra tasse di concessione governativa di 173,16 euro e regionale, stabilita da ogni regione, in media 80-90 euro, una quota di accesso agli ambiti territoriali di caccia e una tassa di concessione per gli appostamenti. E paga senza sapere se e quando andrà a caccia. Paga convinto di andare a caccia in un certo modo nel rispetto della legge e magari le regioni fanno un calendario più restrittivo e in più, si aggiunge il fatto che quel calendario, oggetto di ricorso da parte degli anticaccia può essere, com’è successo negli ultimi due anni, decurtato per effetto del pronunciamento dei Tar. Quindi un cacciatore paga per intero e poi si ritrova ad avere due terzi o la metà di quello per cui ha pagato. È una profonda ingiustizia».Quindi lei a fine luglio non sa ancora se a settembre potrà andare a caccia?«Dipende dalla Regione. In alcune sì, in altre no. Molte non hanno ancora emanato il calendario. Il cacciatore Berlato se va a caccia in Puglia, piuttosto che in Veneto o in Emilia Romagna, non sa ancora a fine luglio se e quando andrà a caccia, ma è comunque costretto a rinnovare la licenza prima di saperlo, e questo è un atto di ingiustizia. Noi vorremmo che le Regioni dessero il buon esempio al cittadino. Se il cittadino non rispetta una scadenza viene sanzionato, se le regioni non rispettano questa scadenza non subiscono nessun tipo di sanzione».Il mondo venatorio ora deve fare i conti con l’ennesimo tentativo di raccolta firme degli anticaccia. «Sono due i quesiti referendari che hanno proposto, il primo è l'abolizione dell’articolo 842 del codice civile che consente ai cacciatori l’accesso ai fondi privati purché questi fondi non siano delimitati a norma di legge o in attualità di coltivazione. L’altro quesito prevede l'abrogazione di tutte le parti della legge 157/92 che consentono l’esercizio dell’attività venatoria».Cosa può succedere?«Se passasse il referendum, ammesso che riescano a raccogliere le firme, la caccia in Italia sarebbe chiusa. Completamente chiusa».Voi come Associazione culturale rurale come vi state muovendo?«Abbiamo attivato, anche in risposta a questa iniziativa anticaccia, una petizione popolare per raccogliere le firme e chiedere al Parlamento delle modifiche alla legge 157/92, una legge datata da più di 30 anni e che necessita di opportuni ammodernamenti. Noi vogliamo fare in modo di garantire ai cittadini cacciatori italiani gli stessi diritti e gli stessi doveri degli altri 7,5 milioni di cittadini cacciatori europei».Come sta andando la vostra raccolta firme?«In pochi mesi abbiamo raggiunto 482.000 firme e contiamo entro la fine di luglio di arrivare alle 500.000 per poter equiparare i cacciatori d’Italia a quelli europei nei diritti e nei doveri».Possiamo definirla una sorta di raccolta firme parallela a quella degli anticaccia?«In realtà la nostra petizione ha una duplice valenza: la prima è chiedere le modifiche come spiegato, la seconda è dare una risposta al mondo anticaccia che per l’ennesima volta sta tentando di raccogliere le firme per chiedere l'indizione di un referendum».Sembra di capire che è una delle poche, se non l'unica, iniziativa in risposta agli anticaccia. È così?«Purtroppo sì. Il mondo che rappresenta la caccia sembra narcotizzato, sembra più portato ad aspettare le iniziative degli avversari che non a promuovere iniziative per valorizzare, difendere, far conoscere e far rispettare le nostre attività. Noi abbiamo la necessità di farci conoscere, perché il rispetto viene dalla conoscenza. Molto spesso chi più si accanisce contro le nostre attività meno le conosce, sia nell’opinione pubblica che nelle istituzioni. Il nostro obiettivo è essere propositivi, non giocare in difesa. Giocare in attacco facendo conoscere tutte le attività portatrici della cultura rurale e farle rispettare».Secondo lei come andrà?«Noi come Acr, intanto stiamo controllando che tutte le firme siano raccolte nel rispetto della legge. Perché se i promotori si mettono davanti a una chiesa o un supermercato con il loro banchetto a raccogliere le firme e questo non avviene alla presenza di un ufficiale, chi sta raccogliendo le firme sta commettendo un reato perseguibile penalmente. Monitoriamo e vedremo quante firme avranno raccolto, dopo ci muoveremo di conseguenza. Intanto noi stiamo facendo il nostro dovere con le nostre firme che sono propositive e non abrogative».Per quanto riguarda invece il decreto libera caccia, perché tutte queste polemiche?«Il governo e il Parlamento hanno approvato questa norma che prevede la gestione della fauna selvatica, che non è caccia. Chi polemizza vuol far credere che con il decreto del 13 giugno 2023 si liberalizza la caccia in tutta Italia, anche nelle aree protette, che è assolutamente falso».In cosa consiste invece il decreto?«Il provvedimento attuativo parla di adozione del piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica. Qui la caccia non c’entra nulla, perché questo piano viene attuato dalle Regioni e dalle province autonome utilizzando anche del personale incaricato dagli enti locali, che possono essere cacciatori appositamente formati ma anche addetti di vigilanza appartenenti ai corpi regionali o i carabinieri forestali».Questo provvedimento può risolvere il problema dei cinghiali e salvaguardare allevamenti e agricoltura?«Questo decreto è pensato soprattutto, ma non esclusivamente, per intervenire e contenere la proliferazione incontrollata dei cinghiali che stanno devastando l’ecosistema. L’eccessiva presenza di questi e altri animali sta creando dei seri problemi anche alle culture agricole e quindi alle attività economiche. Questo piano straordinario serve a fare in modo di riuscire a garantire un equilibrio tra le varie specie. Qui non si tratta di sterminare questa specie a vantaggio di un‘altra o dell'attività umana, si tratta di garantire un equilibrio tra le varie specie di fauna selvatica e una compatibilità tra la presenza di fauna selvatica e le attività umane come l’agricoltura, l’allevamento, la pastorizia, tutte attività indispensabili per il nostro territorio».Cosa succede se non si interviene?«Se noi non conteniamo la fauna selvatica i nostri agricoltori sono costretti ad abbandonare i territori e poi non ci sarà più nessuno che garantirà la manutenzione del territorio».Se loro abbandonano il territorio chi farà la manutenzione?«Nessuno. Neanche a pagamento il mondo animale-ambientalista andrebbe a fare quello che adesso gratuitamente fanno i nostri allevatori, pastori e malghesi».Qual è il rischio di lasciare un territorio abbandonato?«Il territorio abbandonato dagli esseri umani può cadere vittima del degrado e il degrado poi produce delle ferite a tutti noi tristemente note come incendi, smottamenti, frane. Abbiamo visto cos’è successo in Emilia Romagna. Quella tragedia è stata giustificata da qualcuno con l’eccessiva precipitazione piovosa, quando in realtà la vera causa di quei disastri è da imputarsi all’incuria e alla mancata manutenzione del territorio».E per quanto riguarda i lupi com'è la situazione?«In generale in Italia abbiamo il problema dei grandi carnivori. In alcune regioni addirittura abbiamo il problema degli orsi, come tristemente ci ricorda l'episodio del Trentino in cui Andrea Papi è rimasto ucciso da uno dei 200 orsi presenti in Trentino. Ricordiamo orsi presenti perché gli amministratori del Trentino, utilizzando delle risorse pubbliche, sono andati a comprarli in Slovenia e li hanno portati in un ambiente fortemente antropizzato. Ma mentre l’orso è un problema circoscritto ad alcune regioni come Trentino e Abruzzo, il lupo è presente in tutto il territorio nazionale».Quanti ce ne sono?«Noi abbiamo in Italia la popolazione più corposa di lupi rispetto a tutto il resto d’Europa. Ne sono stimati circa 6.000 esemplari».Come mai?«Perché il lupo per effetto dell’ideologia animale-ambientalista è diventato come la vacca in India, cioè animale sacro e intoccabile. Ma se non si gestisce poi le conseguenze sono devastanti. Per l'ecosistema e per le attività umane».
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