2025-06-09
Ricolfi: «L’Italia è il prototipo di democrazia limitata. L’Ue? Un’oligarchia»
Luca Ricolfi (Getty Images)
Il sociologo: «Il woke è in ritirata negli Usa. Non da noi, dove giudici, Colle e istituzioni estere inibiscono la sovranità popolare».«Le autorità europee hanno una concezione oligarchica della democrazia. E l’Italia è il prototipo della “democrazia limitata”, dove la sovranità popolare è messa a repentaglio dalla magistratura e da poteri sovranazionali».Luca Ricolfi, sociologo e presidente della Fondazione David Hume, mette a fuoco con lucidità scientifica le tendenze dei nostri tempi. Prima tra tutte, la religione del «follemente corretto», per richiamarsi al titolo del suo ultimo libro. «Mi colpisce la cieca difesa dei migranti anche quando delinquono ripetutamente, e spesso con la cultura woke superiamo il confine del ridicolo».Professor Ricolfi, cosa dice il termometro del «follemente corretto»? È in crisi, o sta resistendo alla gestione trumpiana?«Negli Stati Uniti è in ritirata, anche se va detto che in realtà era entrato in crisi già nel primo semestre del 2023. La vittoria di Trump ha solo accelerato il processo, e soprattutto gli ha dato un contenuto economico: nei prossimi tre anni le lobby woke, in particolare università e mondo Lgbtqia+, non avranno più tanti soldi pubblici e privati come prima».E in Europa?«In Europa è diverso. Qui la vittoria di Trump, paradossalmente, sta aiutando i difensori del follemente corretto, perché il personaggio è così sgradevole e sopra le righe da suscitare sentimenti di rigetto anche a destra. La cultura europea, anche quando assume tratti conservatori, tradizionalisti, o decisamente reazionari, è troppo raffinata per accettare la rozzezza di tante iniziative di Trump (a partire dall’umiliazione degli stranieri espulsi). Molti critici del follemente corretto sono indotti a pensare: se l’alternativa al follemente corretto è la volgarità di Trump, allora teniamoci il follemente corretto. In questo senso, almeno in Europa, Trump è il migliore alleato della cultura woke».Torniamo al punto: cosa c’è di folle nel politicamente corretto? «Ogni gesto della cultura woke va contro il senso comune, e in alcuni casi non esita a oltrepassare il confine del ridicolo. Va contro il senso comune che una donna sia costretta a gareggiare con persone di sesso maschile, che i maschi bianchi siano penalizzati nel reclutamento universitario, che il genere possa essere deciso arbitrariamente e cambiato più volte, che gli immigrati che violano la legge non possano essere espulsi. Sconfina ampiamente nel ridicolo il fatto che, in una pubblicazione scientifica, non si possa dire che l’evoluzione è “cieca”, o parlare dell’elefante-nano. O che siano considerate sessiste parole come “jack maschio” e “jack femmina”. O che ai piloti di aereo sia vietato il saluto tradizionale “Signore e signori benvenuti a bordo” perché qualcuno potrebbe sentirsi escluso in quanto “non binario”, o queer, o in transizione da un genere all’altro».Quale episodio da questo punto di vista l’ha colpita di più nelle ultime settimane?«Su un piano politico, soprattutto la cieca difesa degli immigrati anche quando delinquono ripetutamente. Ma è sul piano culturale e del linguaggio che intercetto i segni più inquietanti: due soprattutto. La scomparsa dei maschi bianchi eterosessuali dalla pubblicità e dalle serie tv, con la corrispondente iper-rappresentazione di donne, persone di colore, coppie gay e coppie lesbiche, minoranze sessuali in genere. Ma soprattutto un altro fenomeno, di cui sono stato spesso testimone: i bambini che, reduci da scuola, correggono il linguaggio dei genitori, perché gli insegnanti li hanno educati a stigmatizzare l’uso di determinate parole, considerate scorrette, offensive o improprie».Lei sottolinea che la cultura woke ha inciso negli equilibri sociali, portando all’ascesa di una nuova élite. Quale?«Sì, nel mio libro osservo che la religione woke ha accentuato il senso di superiorità morale e intellettuale dei ceti istruiti, a scapito dei ceti popolari, ma soprattutto ha fatto prosperare tre nuovi ceti privilegiati (e parassitari), che chiamo le Vestali della neolingua, le Lobby del Bene e le Guardie rosse della diversity».Quindi la vittoria di Trump è una reazione al follemente corretto? «Sì, e lo era stata già nel 2016. Solo che, nel corso del suo primo mandato, Trump era stato costretto a giocare sulla difensiva, perché sia prima sia dopo la sua elezione, troppi eventi avevano gettato benzina sul fuoco dell’incendio woke: nel 2014 l’uccisione dell’afroamericano Michael Brown, nel 2016 lo scandalo sessuale che travolse il capo della rete Fox Roger Ailes (una specie di prova generale del successivo scandalo Weinstein), poi l’esplosione del Me too, e infine la nascita del movimento Black lives matter in seguito all’uccisone del nero George Floyd da parte della polizia».Cosa pensa della lettera dell’amministrazione Trump all’università di Harvard, con cui si annuncia il taglio delle sovvenzioni? Sui giornali si è parlato di inaccettabile intimidazione.«Alcuni aspetti della lettera sono condivisibili, altri no, ma il punto è che quasi nessun giornale ha avuto l’onestà intellettuale di spiegare ai suoi lettori che l’iniziativa di Trump veniva dopo anni e anni di prevaricazioni, discriminazioni e umiliazioni che l’élite woke che controlla le università aveva inflitto a chi la pensava diversamente: sospensioni, licenziamenti, deplatforming, disinvitation, delazioni sono state il pane quotidiano della vita universitaria dall’inizio degli anni Dieci». In Europa l’establishment dichiara fuori legge alcuni partiti di destra, considerati quasi «radioattivi», come abbiamo visto in Germania e Francia. È una politica destinata a fallire?«Aggiungerei la Romania e, per il passato, l’Austria di Haider. Non so se destinata a fallire, ma certo rivelatrice della concezione oligarchica che della democrazia hanno le autorità europee».Viviamo insomma in una «democrazia limitata», benedetta da Bruxelles e Macron? Possiamo definirla ancora democrazia, o è qualcosa di diverso, nel momento in cui vasti settori dell’elettorato vengono relegati ai margini della vita civile?«Forse dovremmo abituarci all’idea che esistono vari tipi di democrazia, e che come esistono le democrazie illiberali, in cui i cosiddetti contropoteri sono troppo deboli, stanno nascendo le democrazie limitate, in cui sono troppo forti. L’Italia è il prototipo perfetto, perché dal 1992 (Mani pulite) la sovranità popolare, fondata sui partiti e le libere elezioni, è sistematicamente messa a repentaglio dalla magistratura, con l’aiuto della cosiddetta “stampa libera”, delle istituzioni sovranazionali, per non parlare del protagonismo della presidenza della Repubblica».Perché proprio la sinistra si è fatta paladina del follemente corretto?«Perché ne rafforza il sentimento di superiorità morale, particolarmente forte nei Paesi che hanno avuto il nazismo o il fascismo».Questo comporta l’oblìo sui problemi sociali, lavoro, salute, pensioni, dovuto a mancanza di idee concrete?«Difendere le minoranze sessuali e gli immigrati ha costi macroeconomici modesti. Affrontare i grandi problemi sociali (sanità, salari, asili nido) ha costi stratosferici, dell’ordine di parecchie decine di miliardi l’anno. Di qui due alternative: occuparsi di diritti civili, o essere costretti a minacciare patrimoniali e stangate fiscali». E i sindacati? Sono gli unici a portare avanti le lotte per i diritti sociali?«In un certo senso sì, ma il dramma è che il sindacato più potente, la Cgil, lo fa diffondendo informazioni palesemente false, come il presunto aumento della precarietà».Come qualifica l’ascesa delle destre in Europa contrarie all’establishment europeo?«In questi anni gli studiosi di politica sono stati intellettualmente pigri, si sono rifugiati in termini fuorvianti, come sovranista, populista, nazionalista (o addirittura neonazista), nessuno dei quali coglie il nucleo profondo delle nuove forze politiche. Che a me pare stia, oltreché nell’anti-interventismo, nella convinzione che il progresso non sia tale, e che per molti versi il presente - e a maggior ragione il futuro che ci attende - sia peggiore del passato».Dunque?«Dovessi coniare un termine, le nuove forze politiche le chiamerei “indietriste”, nel senso in cui lo era Pier Paolo Pasolini, e lo sono oggi filosofi come i francesi Jean Claude Michéa e Serge Latouche, o lo sloveno Slavoj Zizek (e in passato l’italiano Costanzo Preve). Tutti di sinistra, e lontanissimi da nostalgie neonaziste. È curioso: culturalmente, l’indietrismo è soprattutto di sinistra, ma a livello politico le sue espressioni sono quasi sempre di destra (con l’unica importante eccezione della Bsw di Sahra Wagenknecht). È per questo che gli studiosi non si raccapezzano, e inventano etichette improbabili».Dica la verità: esistono anticorpi al politicamente corretto?«Gli unici veri anticorpi sono il senso comune e il sense of humour. Ma entrambi, temo, sono in via di estinzione».
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