2025-06-09
Leonardo Tricarico: «Ursula dovrebbe ascoltare i militari»
Il generale Leonardo Tricarico (Imagoeconomica)
Il generale: «Von der Leyen è solo il terminale delle pressioni dell’industria bellica. L’Europa, così com’è, non è in grado di sostenere guerre ad alta intensità. Devastanti gli attacchi in Siberia, la Russia non è più inviolabile».«L’Orso russo? È un pericolo agitato per altri interessi. Vladimir Putin, anche se avesse intenzione di aggredire un altro Paese europeo, non è in condizioni di farlo, ma mi sento di escludere che i russi abbiano questa volontà di aggressione. È vero; stanno rafforzando i loro confini, ma sono manovre difensive sia sul piano militare sia sul piano politico, destinate all’interno della Russia. Questo non vuole affatto dire che non si deve continuare a sostenere l’Ucraina, ma bisogna essere onesti: stiamo effettivamente dando a Volodymyr Zelensky quello che lui ci chiede?». Chi dà una tale spiegazione di queste ore falsamente convulse è il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, consigliere militare di tre presidenti del Consiglio (Massimo D’Alema, Giuliano Amato e Silvio Berlusconi) e vicecomandante generale delle truppe impegnate nel conflitto balcanico, considerato uno dei massimi esperti europei di strategia militare. Con lui cerchiamo di capire perché sul fronte delle trattative ucraino-russe non si fa un passo avanti. Donald Trump, prendendo atto della situazione, a mezza bocca ha detto, nell’incontro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che affida alla retorica del riarmo buona parte della sua credibilità interna e la speranza di ripresa economica, continuando a ripetere che la Germania avrà il più potente esercito europeo: «Lasciamoli combattere ancora un po’».Generale Tricarico, esiste una soluzione?«Mettiamo le cose in ordine, anche perché ci sono state delle novità a mio modo di vedere sconcertanti. Si è fatta passare l’Ucraina come uno Stato terrorista per aver condotto una brillantissima operazione militare di guerra vera. Sono stati colpiti obbiettivi militari - i bombardieri russi in Siberia - con estrema precisione, senza alcuno spargimento di sangue e men che meno colpendo bersagli con il coinvolgimento di civili, e non si è dato alcun rilievo a questo evento che a mio parere segna una svolta, anche se magari non decisiva, nel conflitto».In che senso segna una svolta?«Beh, ragionando in termini di storia militare è la prima volta che la Russia viene colpita nel suo territorio così in profondità. La Russia ha sempre fatto della sua vastità territoriale l’arma in più: da Napoleone a Hitler tutti hanno perso sconfitti, se così si può dire, dalla steppa. Oggi è successo qualcosa di assolutamente devastante per Vladimir Putin: si è reso conto di tre eventi. Il primo, che la sua rete di intelligence è debole; il secondo, che l’immensità del territorio non è più inviolabile; il terzo, che la guerra con i droni è difficile da vincere. Ma noi italiani, che i droni sono importanti lo sappiamo da tempo, anzi lo sappiamo da prima degli altri».Dunque potremmo essere noi a fornire i droni, o quanto meno «le istruzioni per l’uso»?«Non posso svelare quelli che sono segreti militari, ma so quel che dico perché sui droni ho cominciato a lavorare quando ero al vertice della Difesa area. Sono almeno una trentina d’anni che noi italiani abbiamo studiato fabbricazione, armamento, utilizzo e tattica dei droni. Ci sono tre soli Paesi al mondo che sanno usare al massimo del potenziale i droni e lo dico proprio in termini di classifica: Israele, Italia e Usa».E i russi noni li hanno?«Sì li hanno, ma li usano male e non hanno una tecnologia così avanzata. Anche in Europa ci sono altri Paesi che sanno usare i droni, ad esempio la Gran Bretagna, ma non con un preciso inserimento in una strategia».Perché lei sostiene che non è pensabile che Vladimir Putin voglia invadere altri Paesi?«Beh, potrei rispondere dicendo che se la Russia può subire un attacco come quello preparato e portato a termine con successo in Siberia dagli ucraini, forse non ha troppo agio a sguarnirsi all’interno per aprire un fronte esterno. Ripeto: la certezza su cui la Russia da sempre fonda la sua inviolabilità è venuta meno. E aggiungo che, per come stanno oggi le cose, se Volodymyr Zelensky viene supportato in ciò che chiede e che gli serve e nelle forme che l’Europa e la Nato possono concordare, per Putin non c’è possibilità di progresso militare. Potrà conquistare altre porzioni di territorio ucraino, pagando peraltro un prezzo altissimo, ma non è in condizione oggi di vincere la guerra. Certo, se il sostegno all’Ucraina viene meno allora è un’altra storia. Già oggi non diamo le munizioni che l’Ucraina chiede, già oggi che facciamo tanta retorica sul sostegno a Kiev gli aiuti sono sottodimensionati».Donald Trump potrebbe sfilarsi; e allora che si fa?«Si fa quello che ho detto: si sostiene l’Ucraina tutti insieme al massimo livello possibile. La cosa essenziale è che gli Usa mantengano il supporto di intelligence: quello è fondamentale. Come si è visto, il servizio di intelligence russo ha dei buchi, è vulnerabile. È in quei buchi che pur avendo meno uomini e meno mezzi ci si può inserire per destabilizzare i russi. Ed è per questo che l’apporto dell’intelligence americana è indispensabile e decisivo».Dunque, lei crede nel disimpegno americano e che perciò bisogna fare subito l’esercito europeo?«C’è prima di tutto un nemico che va sconfitto: il pericolo di una retorica bellicistica. Per quanto possa apparire imprevedibile il presidente Donald Trump, mi pare assodato che ci sarà un parziale disimpegno degli Usa, peraltro ampiamente e da tempo annunciato. Ma una volta che l’Europa fosse davvero convinta di un appoggio totale all’Ucraina bisogna fare delle scelte precise sconfiggendo un altro nemico: il protagonismo bellicista di qualcuno dei partner europei. Bisogna creare un organismo di coordinamento dei vari eserciti che, sotto un’unica regia politica, metta in campo le forze disponibili. Il resto sono proclami».Anche i volenterosi? E che ne pensa dell’inviare le truppe in Ucraina?«Serve altro e cercherò di spiegare cosa. L’Europa così com’è non è in grado di programmare e sostenere azioni di guerra ad alta intensità. Le missioni che sono state messe in campo sinora sono modeste: contro gli Huthi, per contrastare l’immigrazione irregolare, la missione Sofia e poco altro. Per fare il salto di qualità serve un percorso - starei per dire - costituente, sapendo che ci deve essere un gruppo di Paesi che detengono la leadership e che si muovono avendo espresso un rappresentante europeo per la Sicurezza e per la Difesa. Questo rappresentante deve garantire una transizione verso l’esercito comune o comunque coordinato, che metta a fuoco una dottrina d’impiego comune della forza a sostegno di principi cardine. Poi ci sono gli Stati maggiori, che si devono incaricare dell’operatività. Quanto a mandare o no le truppe, io so una cosa sola: la guerra o si fa o non si fa. Se si ha paura del nucleare allora è un altro discorso. Ma se si deve aiutare Zelensky va aiutato fino in fondo».Lei parla di principi cardine: tradotto vuol dure decidere quali valori difendere?«Faccio un esempio: l’Europa cosa si propone di fare con uno strumento militare proprio? Il fallimento della Nato come alleanza difensiva sta nel fatto che tutte le operazioni sono state fatte in deroga dell’articolo 5. E dunque devo sapere se come esercito europeo decido di intervenire tutte le volte che si violano dei principi e quali. Ci servono per così dire delle regole d’ingaggio. Possiamo decidere di intervenire ogni volta che l’Occidente è minacciato, ma dobbiamo definire l’Occidente. Ma se così fosse, questo esercito europeo dovrebbe comprendere anche il Giappone, la Gran Bretagna, financo la Turchia, di certo Israele. Alla base dell’azione di difesa ci devono essere dei principi cardine fondanti di cui si dovrà discutere e poi un tassello alla volta creare il disegno strategico e operativo prendendo lo spunto dal Consiglio europeo».Dunque, gli 800 miliari di Ursula von der Leyen sono solo un’idea propagandistica?«Ottocento miliardi per comprare cosa? Per fare che? Questa idea della Germania egemone che senso ha? E poi vogliamo discutere delle enormi difficoltà che Friedrich Merz avrà a ottenere il consenso della popolazione, che è pacifista perché ben ricorda il passato, per il suo piano? Io i giovani tedeschi in armi non ce li vedo. Ho come la sensazione che si sia operato con un eccesso di frenesia e sotto una spinta molto forte dell’industria bellica. Soprattutto in Germania ci puntano. A dimostrare che si risponde a un’esigenza dell’industria bellica sta il fatto che la Von der Leyen non ha ascoltato lo Stato maggiore dei diversi eserciti, che pure hanno un coordinamento continentale dei loro capi, non ha convocato l’Agenzia europea di Difesa. Da ciò si ricava l’impressione che la Von der Leyen sia il terminale delle pressioni dell’industria di settore».A Gaza l’Europa e l’Italia cosa dovrebbero fare?«Premesso che io tendo a stare dalla parte di Israele, non di Benjamin Netanyahu, ma di Israele sì, anche perché è la sola democrazia di quell’area. Su Gaza una riflessione di fondo va fatta. I comportamenti e le reazioni dell’Occidente, ma anche dell’Onu, sono basati su informazioni non corrette, su dati manipolati. Tutto ciò che si si sa viene da Hamas, che sistematicamente mente. Le poche volte che Israele parla e si vanno a verificare le informazioni che dirama, si trovano tutte corrispondenti alla realtà dei fatti. Al massimo Israele tace, omette alcune informazioni, Hamas no: diffonde in maniera artatamente manipolata dati che sono presi senza alcuna verifica e rilanciati. Bisogna partire da qui per osservare cosa capita a Gaza e per poter imbastire la ricerca di una soluzione. Che resta quella dei due popoli e due Stati, facendo pressione su Netanyahu affinché mitighi la reazione, ma facendo egualmente tacere Hamas. Credo che adesso si debba sostenere Israele fornendo ciò che serve - anche se si poteva, forse si doveva, organizzare un intervento preventivo».
Il generale Salvatore Luongo e l'ad del Gruppo FS Stefano Antonio Donnarumma (Arma dei Carabinieri)
L’accordo prevede, in aderenza alle rispettive competenze ed attribuzioni, una collaborazione volta a prevenire e contrastare le infiltrazioni criminali e i reati contro la pubblica amministrazione, le violazioni ambientali, a vigilare sul rispetto della normativa in materia di collocamento della manodopera, previdenza e sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a prevenire rischi, eventi o azioni che possano compromettere l’incolumità delle persone e l’integrità delle infrastrutture.
L’intesa rinnova e rafforza una collaborazione già avviata, con l’obiettivo di diffondere e promuovere la cultura della legalità, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della società e di sviluppare ulteriori sinergie per assicurare la protezione delle risorse e dei servizi pubblici affidati alla gestione del Gruppo FS Italiane, nonché la sicurezza dei trasporti e la gestione delle emergenze.
Nell’ambito del protocollo, il Gruppo FS Italiane potrà promuovere e organizzare, con la collaborazione di rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, incontri, seminari e corsi di formazione a favore dei propri dipendenti.
Il Generale Salvatore Luongo, a margine dell’incontro, ha sottolineato che: «Quella di oggi rappresenta la firma di un protocollo di grande valore, perfettamente in linea con le strategie comuni dell’Arma dei Carabinieri e delle Ferrovie dello Stato Italiane», ricordando poi che tra le due istituzioni «Esiste una lunga tradizione di lavoro congiunto e che entrambe sono presenti in modo capillare su tutto il territorio nazionale, e in parte anche all’estero».
Concludendo, Luongo ha evidenziato che «Innovare questa intesa, fondata sulla condivisione di valori e ideali, significa compiere un ulteriore passo avanti per continuare a operare sempre meglio e con maggior efficienza, ognuno nei rispettivi compiti, grazie a un’integrazione sempre più stretta».
L'Amministratore Delegato del Gruppo FS Italiane, Stefano Antonio Donnarumma, ha dichiarato che «La firma di questo protocollo rappresenta un passo importante per rafforzare il presidio della legalità e la tutela della sicurezza nei nostri cantieri, nelle stazioni e lungo le infrastrutture che gestiamo. Lavorare accanto all’Arma dei Carabinieri significa poter contare su un presidio autorevole ed efficace, a garanzia di trasparenza, correttezza e rispetto delle regole. È un impegno che portiamo avanti con responsabilità, nella consapevolezza che solo attraverso la legalità si costruiscono infrastrutture solide, sicure e capaci di generare valore per l’intero Paese».
Nell’ambito della piena attuazione al protocollo, l’Arma dei Carabinieri opererà anche mediante il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, il Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Sicurezza Energetica, i Reparti territoriali e il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari.
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Donald Trump (Getty Images)
(Ansa)
Matteo Salvini: «Non molliamo, è un comparto che porta 100 milioni di turisti in Italia». Lo ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dal TTG Travel Experience a Rimini.