A luglio 2020 stanziati 1,5 miliardi per raddoppiare i letti d'emergenza. L'obiettivo resta lontano: nel 2021 non sono più aumentati. L'illusione che bastassero Pfizer & C. ora rischia di portarci a nuove chiusure, che scattano proprio sulle percentuali di occupazione.
A luglio 2020 stanziati 1,5 miliardi per raddoppiare i letti d'emergenza. L'obiettivo resta lontano: nel 2021 non sono più aumentati. L'illusione che bastassero Pfizer & C. ora rischia di portarci a nuove chiusure, che scattano proprio sulle percentuali di occupazione.Se c'è una lezione che i nostri governanti dovrebbero aver appreso dalla pandemia, è che l'urto del Covid si misura essenzialmente in termini di impatto sul sistema sanitario nazionale. Le drammatiche scene della prima ondata, con gli ospedali al collasso e i sanitari costretti a fare i salti mortali per curare i pazienti che affollavano i nosocomi, hanno fin da subito reso chiaro che il nostro sistema sanitario è arrivato impreparato all'appuntamento con il coronavirus. Complici anche i tagli lineari alla sanità messi in atto dai governi precedenti in nome dell'austerity dettata da Bruxelles.Alla vigilia della pandemia, secondo una rilevazione di Quotidiano Sanità e Anaoo Assomed, la dotazione di posti in terapia intensiva in Italia era pari a 5.404 posti letto, di cui circa 5.200 del settore pubblico. Nel picco raggiunto ai primi di aprile del 2020 l'area critica ha raggiunto un livello di saturazione pari al 75%, con un numero di ricoverati pari a poco più di 4.000 unità. Non va dimenticato che le terapie intensive servono ad accogliere soggetti colpiti da una pluralità di patologie e traumi, e che quindi occorre sempre lasciarne una quota considerevole (dal 50% al 70%) a disposizione di tutti gli altri pazienti «non Covid». Nel decreto Rilancio approvato a luglio del 2020, si prevedeva, proprio in previsione di future ondate, il potenziamento del numero dei posti letto. Attraverso uno stanziamento di 1.467 milioni di euro, l'esecutivo e il ministero della Salute si prefiggevano come obiettivo il raggiungimento di 11.091 posti letto di terapia intensiva, ovvero +115% rispetto alla disponibilità pre emergenza. Nel dettaglio, si disponeva l'aumento strutturale di 3.500 posti in terapia intensiva, per un totale di 8.679, pari a un incremento del 70% rispetto all'inizio della pandemia. Una cifra alla quale il decreto aggiungeva ulteriori 2.112 posti letto di semi intensiva (ovvero il 50% dei 4.225 nuovi posti letto di semi intensiva) immediatamente convertibili in intensiva, più 300 posti letto suddivisi in quattro strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno. Totale, per l'appunto, 11.091 posti letto.La fotografia scattata da Agenas al 5 novembre 2021 è impietosa. Oggi in Italia sono disponibili 9.070 posti letto in terapia intensiva, cui vanno sommati 533 posti letto attivabili, per un totale di 9.603 unità. Vale a dire il 13% in meno rispetto all'obiettivo fissato dall'esecutivo la scorsa estate. Ma l'aspetto forse più sconcertante è rappresentato dal fatto che il numero totale di intensive disponibili risulta pressoché immutato rispetto alla dotazione durante la seconda e la terza ondata (il 31 dicembre 2020 i posti letto erano in numero uguale), e appena 1.900 in più rispetto a fine ottobre 2020.Non mancavano soldi e volontà, dunque cosa può essere andato storto in questi mesi? Senza dubbio, a giocare un peso importante nella vicenda è stato il martellante messaggio mediatico che per mesi ha dipinto il vaccino come la soluzione a tutti i mali. Compresa, ovviamente, la probabilità di finire in reparto oppure, peggio, in terapia intensiva. Probabilità, beninteso, assai più bassa rispetto a chi non ha ricevuto il siero, ma in ogni caso tutt'altro che inesistente. Secondo l'ultimo rapporto sull'andamento nazionale del Covid-19 diramato dall'Istituto superiore di sanità il 27 ottobre scorso, infatti, nei 30 giorni precedenti alla pubblicazione sono stati ricoverati in area critica ben 128 vaccinati con ciclo completo. C'è di più perché, come i nostri lettori avranno avuto modo di leggere su queste stesse pagine, a parità di percentuale di individui vaccinati con ciclo completo, gli over 80 rappresentano una quota sempre maggiore degli occupanti della terapia intensiva (dal 50% dei primi di settembre al 68% di fine ottobre).A puntare il faro contro l'inerzia nella realizzazione del piano di espansione delle terapie intensive ci ha pensato, nel giugno scorso, la Corte dei conti. Nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021, nonostante gli interventi programmati dalle Regioni siano stati approvati dal ministero della Salute, a fine aprile 2021 risultava una «attuazione ancora parziale». In particolare, denunciano i revisori, il «potenziamento strutturale delle dotazioni di terapia intensiva risultava compiuto solo al 25,7%», seppure «con differenze particolarmente pronunciate tra Regioni».Non si tratta solo di una questione sanitaria. La normativa attuale lega la determinazione dei colori delle zone, e le relative restrizioni, alla percentuale di occupazione dei reparti ordinari e di terapia intensiva. Si va in zona gialla già con il 10% di posti letto occupati, se l'incidenza dei contagi supera i 50 ogni 100.000 abitanti e i ricoveri superano il 15% della capienza dei reparti ordinari, in arancione con le terapie intensive al 20% e l'area medica al 30%, e in rossa con le intensive al 30% e i reparti ordinari al 40%. Un'eventualità tutt'altro che remota, come dimostra l'impennata di casi e ospedalizzazioni che quest'estate ha portato diverse Regioni a rischiare la zona gialla e la Sicilia a finirci. Stessa situazione nella quale ci troviamo oggi, con Marche (10%), Friuli (9%) e Umbria (8%) a un passo dal primo gradino delle restrizioni.Banalmente, aumentando il numero di terapie intensive come previsto dallo stesso ministero della Salute, oggi non ci troveremmo già alle soglie della stagione autunnale con il rischio di finire con l'acqua alla gola. E se il ministro Roberto Speranza avesse vigilato sull'attuazione sul piano di espansione della rete ospedaliera da lui stesso proposto, milioni di italiani non rischierebbero nuovamente di vedere limitata la propria libertà.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






