2024-05-30
Intanto Schillaci sigla con Pechino un accordo sulla sanità digitale
Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Dopo le foto di rito a Ginevra, il ministero prova a derubricare: «Nulla di straordinario». Ma è la nuova tappa di un percorso avviato da D’Alema nel 2000 che presta il fianco a rischi sulla condivisione di dati super sensibili.Il Trattato pandemico internazionale rimane lettera morta all’Assemblea mondiale della sanità, dove il nostro ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato che prioritario è «il rispetto della sovranità nazionale». Però a Ginevra si sono sottoscritte intese che fanno preoccupare. «Siglato con il vice ministro cinese Cao Xuetao un accordo di collaborazione sanitaria. Fra i temi di comune interesse: salute digitale, prevenzione e assistenza agli anziani», twittava due giorni fa il ministero della Salute. Alla richiesta di maggiori chiarimenti, veniva spiegato alla Verità che «l’accordo non era nulla di straordinario», la notizia (non un comunicato stampa, due righe su X) era stata data visto che l’incontro era avvenuto, che la foto di Schillaci con Xuetao era stata fatta e due righe di accompagnamento sul piano di azione siglato erano necessarie. «L’accordo segue memorandum d’intesa del 2000 e successivi piani d’azione già sottoscritti che promuovono la collaborazione in materia di salute», era l’ulteriore chiarimento che ci veniva fornito. «Si individuano ambiti di una possibile collaborazione attraverso scambi di esperienze, seminari o incontri accademici, formazione, tirocini. È un piano che non costituisce accordo internazionale e non comporta diritti e obblighi. La collaborazione deve essere nel rispetto delle sovranità e della legislazione dei rispettivi Paesi». Tutto parrebbe molto generico, «per avviare forme di cooperazione», ma non è proprio così. Il primo Memorandum d’intesa bilaterale, sottoscritto con l’omologo cinese il 19 aprile 2000 dall’allora ministro della Salute, Rosy Bindi durante il secondo governo D’Alema, prevedeva lo sviluppo della cooperazione «nel campo della sanità e delle scienze mediche promuovendo mutui scambi di esperienze e programmi su tali temi, identificati come prioritari». Con validità cinque anni, fu seguito da un Piano d’azione per gli anni 2004-2006 e da un Addendum firmato a Pechino il 30 agosto 2004 con il proposito di «rafforzare la cooperazione e la comunicazione tra le parti, sia nel campo delle malattie emergenti e altre importanti malattie infettive, sia nel campo dell’organizzazione e della gestione dei servizi di assistenza». Ci furono poi il Piano d’azione firmato a Roma il 23 giugno 2011, della durata di tre anni, e quello firmato a Pechino il 28 gennaio 2016 dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, assieme al collega cinese Li Bin. Quel documento, per gli anni 2016-2018, aumentava la posta in gioco. Prevedeva lo «sviluppo di sistemi informativi sui servizi sanitari», così pure di «promuovere e facilitare scambi sulle tecnologie sanitarie e sulla ricerca medica congiunta». Con la Cina, si potenziavano scambi, formazione e addestramento nel campo della sanità digitale? Proprio con la nazione che fa un uso massiccio della sorveglianza digitale di massa per controllare le comunicazioni e reprimere il dissenso anche attraverso il monitoraggio della salute dei pazienti da remoto? Un anno dopo, nel 2017, altro tocco di mano per aumentare gli obiettivi della cosiddetta cooperazione. Angelino Alfano, allora ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale nel governo Gentiloni, per conto del ministro della Salute Lorenzin firmava un ulteriore Programma di attuazione. Non c’erano solo attività congiunte di ricerca, sperimentazione e studi piloti, ma si doveva «identificare e mettere in atto un sistema informativo globale, con applicazioni via Internet o autonome, volte a garantire e potenziare il trasferimento tecnologico tra Italia e Cina, nonché la piena attuazione di un sistema di cure primarie su scala nazionale, unitamente a un sistema di riferimento a esso correlato». Altro che accordi generici, il rinnovo di quel Memorandum siglato a Ginevra continua nel solco nello scambio di dati delicatissimi tra Italia e Cina. Guarda caso, l’accordo è avvenuto proprio nello stesso giorno in cui Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, incontrava a Roma Yin Li, segretario del Partito comunista cinese della Municipalità di Pechino. «Al centro del colloquio l’importanza di intensificare la cooperazione industriale e gli investimenti cinesi in Italia», postava sui social il ministro con tanto di radiosa foto. Per capire quanto poco affidabile sia la Cina basta limitarsi agli enunciati dei giorni scorsi, in occasione dell’apertura della settantasettesima Assemblea mondiale della sanità. Cao Xuetao, vicedirettore della Commissione sanitaria nazionale cinese (Nhc), che guida la delegazione, ha dichiarato: «La Cina è impegnata a rafforzare gli scambi e la cooperazione nel settore sanitario con l’Oms e vari Paesi, promuovendo continuamente la costruzione di una comunità sanitaria globale per tutti». In seguito all’epidemia di Covid-19, la Cina avrebbe dimostrato il suo impegno «segnalando tempestivamente informazioni sull’epidemia quasi 3.000 volte alla comunità internazionale» e inoltre «ha condiviso numerosi documenti tecnici sui piani di prevenzione, controllo e trattamento delle epidemie con oltre 160 paesi e più di 10 organizzazioni internazionali e regionali», sono sempre le parole di Cao in conferenza stampa. Tutta questa apertura del governo di Pechino sulla questione pandemica è solo propaganda, in realtà ci sono state massicce campagne di disinformazione e la Cina si è ostinata a nascondere, senza condividere, dati fondamentali sull’origine del Covid. A Ginevra, invece, era pronta a sostenere il Trattato pandemico internazionale.