2019-10-30
Insulti come bombe. Trump vuole battere i nemici jihadisti anche con le parole
Il presidente non ha dato del «cane» al capo dell'Isis per errore. Ha scelto di rompere i rapporti con tutti gli estremismi islamici.La scomparsa di Abu Bakr al Baghdadi, pochi giorni fa, ha portato con sé alcune polemiche che hanno trovato il loro bersaglio nello stesso Donald Trump. Nonostante l'evento sia stato ben accolto dalla totalità del mondo politico statunitense, il presidente americano è stato infatti accusato di aver usato parole troppo forti, nel momento in cui ha riportato il resoconto della morte del califfo, nel corso di una conferenza stampa, tenuta la scorsa domenica alla Casa Bianca. In particolare, è stato sottolineato che Trump avrebbe indugiato su elementi macabri, enfatizzando la paura di Baghdadi durante il raid e accostando la sua morte a quella di un cane: elemento che, secondo alcuni commentatori, rischierebbe di offendere la sensibilità di una parte del mondo musulmano. Di contro, il discorso di Trump è stato spesso paragonato - in negativo - a quello pronunciato da Barack Obama quando, nel 2011, annunciò l'uccisione di Osama bin Laden. Un racconto, quello di Obama, che secondo i critici dell'attuale presidente si sarebbe rivelato molto più algido e compassato, lontano dalle intemperanze verbali del creso newyorchese. Sennonché, a ben vedere, la situazione appare forse più complessa di come è stata presentata nelle ultime ore. E questo per una serie di ragioni.In primo luogo, bisogna considerare che - con ogni probabilità - l'enfasi posta da Trump nel suo discorso fosse dovuta alla volontà di sottrarre il califfo da ogni possibile crisma di martirio ed eroicità: un atto quindi primariamente simbolico, diretto contro quel jihadismo che - da al Qaeda all'Isis - ha sempre trovato parte cospicua della sua forza proprio nel simbolismo e nella propaganda mediatica. In secondo luogo, è possibile che le due scelte comunicative divergenti siano in realtà il prodotto di due linee politiche fondamentalmente antitetiche. Cerchiamo di entrare nel dettaglio. Nel corso del suo primo mandato, Obama era convinto che, per disinnescare il jihadismo, fosse necessario istituzionalizzare l'islam politico, favorendo il suo accesso al governo nei Paesi mediorientali attraverso processi democratici. Non va trascurato, in quest'ottica, il ruolo di sostegno che giocò la Casa Bianca (proprio nel 2011) a favore delle primavere arabe e - conseguentemente - di organizzazioni islamiste, come i Fratelli musulmani in Egitto. In questo senso, Obama era restio a parlare di «terrorismo islamico», perché temeva che una simile espressione potesse mettere a repentaglio questo processo di «democratizzazione». Ecco dunque spiegata la sua sobrietà nel discorso sulla morte di Osama bin Laden. Sobrietà che non impedì comunque a Obama di utilizzare quel risultato a più riprese come un trofeo nel corso della campagna elettorale per la rielezione nel 2012 contro il repubblicano, Mitt Romney.Trump questa linea non l'ha mai condivisa. È dai tempi della strage di San Bernardino che il magnate newyorchese si è detto fermamente contrario all'islam politico. E, in questo senso, ha non a caso intrecciato relazioni molto strette con Paesi che hanno garantito di aiutarlo in questa battaglia: dall'Arabia Saudita all'Egitto del generale al Sisi. Del resto, lo scorso aprile, Washington ha fatto sapere di essere intenzionata a inserire i Fratelli musulmani nella lista delle organizzazioni terroristiche. È dunque chiaro che proprio da questa linea dura sorga il discorso (altrettanto duro) di Trump sulla morte di Baghdadi. L'attuale inquilino della Casa Bianca non ha fatto altro che confermare a livello mediatico la sua consueta prospettiva sull'islamismo (e non sull'islam): una prospettiva che - va detto - affonda le sue radici nel sostanziale fallimento in cui le primavere arabe sono (non da oggi) naufragate. Fallimento che lo stesso Obama negli ultimi anni della sua presidenza fu costretto più o meno tacitamente a riconoscere. Tra l'altro, se volessimo entrare nella questione della narrazione offensiva, non bisognerebbe allora trascurare che all'epoca dell'uccisione di bin Laden venne riportato come nel suo nascondiglio di Abbottabad (in Pakistan) fosse stato reperito del materiale pornografico: materiale che non è tuttavia ancora stato reso pubblico.Ciononostante il tema dell'eccessiva enfasi non è l'unico oggetto di critica di queste ore. Qualcuno si è infatti addirittura spinto a mettere in dubbio che il califfo sia morto, citando incongruenze e pezzi mancanti nella ricostruzione della Casa Bianca. Ora, che il quadro non sia esattamente chiaro è senza dubbio vero e vedremo, nei prossimi giorni, se il governo americano fornirà delle evidenze più consistenti a suffragio della sua versione. Ciò detto, non va però dimenticato che neanche Obama è stato esattamente cristallino di fronte alla stampa e all'opinione pubblica sulla morte del leader di al Qaeda: le foto del cadavere dello sceicco non furono infatti diffuse, con la motivazione che avrebbero potuto aizzare un sentimento antiamericano in Medio Oriente. Una scelta di natura politica. Esattamente come quella di Trump.