2022-09-19
Inquinati dai rifiuti dell’energia «green»
Pannelli solari e pale eoliche vanno periodicamente sostituiti. Ma non si sa come smaltirli correttamente: nessuno ci ha pensato. Un nuovo business per le mafie?L’ecologista pugliese Enzo Cripezzi: «Manca perfino un’anagrafe pubblica degli insediamenti e dei progetti in corso».L’ingegnere ambientale Giovanni Brussato: «Pechino è già leader nella produzione e imporrà le sue nuove tecnologie di recupero a tutto il mondo».Lo speciale contiene tre articoli.Fotovoltaico ed eolico dovrebbero diventare le principali fonti di energia di qui al 2030, per sostituire del tutto le fonti fossili nel 2050, secondo la tabella di marcia fissata dai Paesi europei. L’obiettivo di questa operazione, che sta drenando finanziamenti per miliardi e rivoluzionando l’intero sistema economico mondiale, è di consegnare alle future generazioni un pianeta più pulito. Nella corsa a sfruttare vento e sole, però, non ci si è posto il problema dei rifiuti creati da queste fonti green e del loro smaltimento e riciclo. Che fine faranno i pannelli solari quando dovranno essere sostituiti? Gli impianti di fotovoltaico ed eolico danno il massimo per circa 20 anni, poi diventano sempre meno performanti e vanno avvicendati. Dove gettarli? Come smaltirli? Senza affrontare il tema, i nostri figli erediteranno un pianeta pulito solo a parole.Secondo il rapporto statistico del Gestore servizi energetici (Gse), a fine 2021 risultavano attivi 1.016.000 impianti fotovoltaici, 80.000 in più rispetto al 2020. Al momento, nel nostro Paese, come in molti altri in Europa, i pannelli solari vengono smaltiti come i Raee, cioè i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Vengono considerati alla stregua di frigoriferi, lavatrici, computer. Ma gli impianti per lo smaltimento dei Raee sono intasati già ora. E di impianti fotovoltaici da rottamare per il momento ce ne sono pochi: ma in Italia le prime installazioni sono di circa 15 anni fa, quindi la sostituzione non è lontana. Vetro e alluminio si possono recuperare, ma per gli altri metalli (argento, tellurio, cadmio, rame, soprattutto silicio) che si fa? Se non vengono correttamente smaltiti, vanno dispersi nell’ambiente. Il cadmio è uno dei metalli più pericolosi e tossici. Il silicio non può essere riutilizzato perché non ha standard di purezza. L’Italia ha recepito la direttiva europea 2008/98, che ritiene il produttore responsabile dello smaltimento dei pannelli fotovoltaici. Il costo del trattamento dei rifiuti è inserito nel prezzo iniziale dell’impianto. La direttiva europea 2012/12 prevede invece diversi scenari. chi paga? un rebusPer i pannelli prodotti prima dell’aprile 2014, la spesa è teoricamente a carico del proprietario. Per i pannelli prodotti dopo, il costo è completamente a carico del produttore. Inoltre gli impianti domestici fino a 10 chilowatt devono essere consegnati nei centri di raccolta Raee mentre quelli industriali superiori a tale potenza elettrica devono essere sempre gestiti dai centri di raccolta Raee, e i costi e le responsabilità di smaltimento possono essere variabili tra proprietari e produttori.Un percorso macchinoso che rischia di favorire l’abbandono delle strutture, come è accaduto a tante opere diventate cattedrali nel deserto. Un caso è quello segnalato dalla trasmissione Fuori dal coro. A Bussana, frazione di Sanremo, una decina di anni fa è stato allestito, con finanziamenti pubblici, un parcheggio coperto da pannelli solari. L’obiettivo era dare corrente elettrica alla pista ciclabile. L’impianto ha funzionato un paio d’anni e poi è andato in disuso senza motivi. Nel frattempo la società di gestione è fallita, ne è arrivata un’altra ma non si sa quali progetti abbia per il futuro della struttura che si sta deteriorando. Uno studio dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili ha stimato che al 2050 i pannelli solari (circa 4 miliardi nel mondo) produrranno rifiuti per 78 milioni di tonnellate. Il problema è rappresentato dal riciclo. I pannelli non sono stati pensati perché le materie prime all’interno possano essere estratte e poi riusate, quindi è probabile che in gran parte saranno triturati. Questo contamina i materiali, rendendone difficile il recupero.residui sepoltiIl problema dello smaltimento riguarda anche gli impianti eolici. Secondo uno studio di Associazione nazionale energia dal vento, Elettricità futura e Assocompositi, nel prossimo decennio si dovranno smaltire tra le 30.000 e le 40.000 tonnellate di pale eoliche. I primi impianti, installati alla fine degli anni Novanta, cominciano a mostrare i segni del tempo e dovranno essere sostituiti da nuovi più potenti. Siccome lo smontaggio è costoso, le pale dismesse spesso vengono interrate e le torri si lasciano inutilizzate nelle campagne, mentre i basamenti di cemento armato vengono ricoperti di terra. Le pale sono fatte di un mix di materiali per i quali in Italia non esiste altra destinazione se non la discarica a causa, dice l’Anev, della «mancanza di una filiera consolidata» sia nella valorizzazione sia nel riutilizzo delle materie potenzialmente recuperabili. metalli tossiciInoltre da una pala usata non si può ricavare materiale per una nuova. Wind Europe sostiene che «le proprietà meccaniche dei materiali compositi riciclati non ne consentono il riuso», almeno nel breve periodo. L’opzione degli inceneritori è altamente inquinante. Uno studio dell’Agenzia europea per l’ambiente rileva che le fibre di carbonio possono rilasciare sostanze tossiche simili all’amianto che i filtri non sono in grado di trattenere. L’unica possibilità per il riciclo dei materiali delle pale sono i forni dei cementifici, ma in Europa esiste un solo impianto che ha questa tecnologia ed è in Germania. Le turbine contengono anche terre rare che potrebbero essere interessanti per altri usi, ma il riciclo dei materiali dei magneti contenuti negli impianti è ancora oggetto di studi. Al momento la soluzione di questi problemi è rinviata. Se ne dovranno occupare le nuove generazioni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/inquinamento-energia-green-2658298589.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-governo-ha-allentato-troppo-i-controlli" data-post-id="2658298589" data-published-at="1663536277" data-use-pagination="False"> «Il governo ha allentato troppo i controlli» Gli ultimi 11 progetti di impianti eolici (otto in Puglia e tre in Basilicata), per una potenza totale di 452 megawatt, hanno avuto il via libera dal Consiglio dei ministri un mese fa. Si aggiungono ad altri 14 impianti autorizzati da dicembre in poi, sempre tra il Foggiano e il Potentino. In Puglia si produce il 25% dell’energia eolica nazionale. La Regione, terra di sole e vento, conta il maggior numero di impianti, circa 1.200 secondo Terna, ed è la seconda dopo la Lombardia per potenza installata di impianti a energia rinnovabile. Il business è destinato a moltiplicarsi. Il decreto Semplificazioni bis ha lasciato alle Regioni competenza sulle valutazioni di impatto ambientale per impianti inferiori a 30 megawatt e per il fotovoltaico a 10 megawatt. Tutti preoccupati di rimuovere gli intralci e i veti ambientali, ma nessuno ha ancora sollevato il tema dello smaltimento e del riciclaggio degli impianti quando andranno in pensione. «Manca perfino un’anagrafe pubblica degli insediamenti e dei progetti con georeferenziazione che faccia il punto sulla situazione aggiornata», fa notare il responsabile della Lipu di Puglia e Basilicata, Enzo Cripezzi, che da tempo segue il tema della speculazione territoriale delle rinnovabili. «Atla Impianti ha realizzato sul sito del Gse una mappa degli impianti ma non delle singole torri con le pale che costituiscono l’impianto. Un impianto può comprendere più torri». Che fine fanno le strutture quando invecchiano e devono essere sostituite? «Bella domanda. Al momento nessuno si è posto il problema. Gli insediamenti eolici e fotovoltaici sono relativamente recenti rispetto al loro “fine vita”». Ma qualcuno comincerà a non funzionare al meglio delle sue capacità? «Sono piccoli numeri per ora. Il problema viene risolto smontando la vecchia torre, lasciando il basamento inutilizzato e installandone un’altra di nuova tecnologia poco distante con nuove fondazioni in cemento armato. La base di cemento non sempre si può riutilizzare perché non è calibrata per nuovi impianti, magari più grandi». Quando l’impianto è smontato come vengono trattati i singoli pezzi? «La base di cemento armato è ricoperta di terra e le pale prendono vie che nessuno ha finora tracciato. Siccome al momento sono pochi numeri, è probabile che siano stoccate in magazzini o magari destinate all’estero come tanti altri rifiuti. Attorno all’eolico e al fotovoltaico ci sono interessi giganteschi e una miriade di aziende che si contendono il mercato. Si sono affacciate anche imprese straniere, tedesche, danesi, olandesi». E che fanno gli stranieri? «Per scavalcare i vincoli ambientali piazzano anche macchine classificate come mini eolico per le quali non è necessaria la valutazione di impatto ambientale, ma solo una dichiarazione di inizio attività. Molti sono impianti rigenerati. In fase di autorizzazione dell’installazione, sia per l’eolico sia per il fotovoltaico, si prevede la fideiussione con istituto bancario che dovrebbe garantire la sola rimozione dell’impianto a fine vita o in caso di guasto. Ma siamo sicuri che le fideiussioni sono sufficienti a coprire i costi della rimozione e il ripristino dei luoghi? Nei contratti non ho mai visto comparire la parola smaltimento». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/inquinamento-energia-green-2658298589.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-cina-dominera-anche-nel-riciclo-dei-vecchi-impianti" data-post-id="2658298589" data-published-at="1663536277" data-use-pagination="False"> «La Cina dominerà anche nel riciclo dei vecchi impianti» Giovanni Brussato, ingegnere minerario, è uno dei maggiori studiosi delle fonti alternative a cui ha dedicato un libro: Energia verde? Prepariamoci a scavare. I costi ambientali e sociali delle energie green (Montaonda editore). Quale è la vita media di un impianto fotovoltaico? «Per gli attuali impianti circa 20-25 anni, ma i sostenitori di queste fonti ritengono che i nuovi modelli possono durare più a lungo». Considerando che questa tecnologia ha circa una ventina d’anni di storia, gli impianti si avvicinano alla pensione? «Sì, sta già accadendo in Cina, che ha il massimo impiego di queste fonti rinnovabili. Dispone di 328 gigawatt di potenza eolica e 306 gigawatt di fotovoltaico installati a inizio 2000. Uno degli obiettivi di Pechino è aumentare in misura consistente la sua capacità per raggiungere la neutralità carbonica in breve. Siccome gli impianti hanno una ventina di anni, sta cominciando il processo di dismissione che crescerà progressivamente. Entro il 2025 dovranno ritirare 1,2 gigawatt di turbine eoliche ed entro il 2040 280 gigawatt di impianti eolici e 250 di fotovoltaico». Quanti sono i pannelli solari in via di dismissione? «Secondo il Dipartimento dell’energia Usa, per produrre un gigawatt sono necessari 3 milioni di pannelli solari. Quindi abbiamo 750 milioni di impianti fotovoltaici da pensionare entro il 2040». E in Europa? «Germania e Paesi del Nord hanno la maggiore potenza prodotta, ma a livelli nettamente inferiori a quelli cinesi. In Italia le prime installazioni risalgono al 2008, quando arrivarono i primi grossi incentivi per le rinnovabili. Le dismissioni di grandi numeri si avranno a partire dal 2025- 2030». A che punto siamo con la tecnologia per il trattamento di questo tipo di rifiuti? «Questi pannelli non sono progettati per essere riciclati. In Cina stanno cominciando adesso a ipotizzarne il riuso. In gran parte d’Europa, Italia compresa, vanno trattati come i Raee». Quindi smaltiti come i frigoriferi? «Non c’è una filiera e non è stata nemmeno pensata, anche perché non c’è ancora un flusso rilevante di pannelli». Vuol dire che finiremo per dipendere da Pechino, oltre che per la produzione, anche per la dismissione degli impianti? «Temo proprio di sì». Come dovrebbero essere trattati correttamente? «Sul riciclo del resto, un’organizzazione europea, la Pv Cycle, sta studiando il problema. I pannelli contengono metalli che si possono recuperare, come alluminio, rame, argento, piombo e stagno. Ma il processo pirometallurgico per estrarli comporta una forte emissione di anidride carbonica oltre a potenziali altre emissioni pericolose. Se non correttamente smaltiti invece, i metalli possono contaminare il suolo e le falde acquifere. Se bruciati, le fibre di vetro rilasciano sostanze tossiche oltre a una grande quantità di CO2. Nel caso degli impianti sui palazzi, se non c’è la sostituzione con nuovi modelli e il ritiro dei vecchi, c’è il rischio che rimangano abbandonati». Che fine fanno gli impianti eolici non più performanti? «Per una turbina eolica, il problema principale è nelle pale. Spesso si risolve interrandole». Un cimitero dell’eolico? «È così. Talvolta, siccome è costoso smontarle, le turbine vengono lasciate nelle campagne. Le pale sono composte da fibre di vetro trattate con resine termoplastiche. L’acciaio contenuto in un impianto può essere riciclato, ma non per fare un’altra turbina. Il basamento in calcestruzzo armato è lasciato sul posto perché costa troppo rimuoverlo. Servirebbe un monitoraggio sull’efficienza degli impianti, ma ancora nessuno si è posto il problema». Non ci sono solo i rifiuti di eolico e fotovoltaico da smaltire. Le batterie delle auto elettriche si sa che fine fanno? «Il problema è più complesso. Oggi esse hanno un alto contenuto di nichel, manganese e cobalto, che sono diventati molto costosi. I produttori si stanno orientando versi materiali meno impegnativi e più facili da reperire. Cambiando la chimica della batteria, bisogna cambiare anche la tecnologia di smaltimento. Quella attuale, peraltro ancora allo studio, tra dieci anni rischia di essere superata. Anche nel riciclo, si rischia di sviluppare un sistema di estrazione dei materiali contenuti in una batteria che non sono così utili per produrre nuove batterie, perché se ne useranno altri». Riciclare una batteria produce rifiuti? «Queste batterie attualmente non sono progettate per essere riciclate e i componenti sono tenuti assieme da colle che rendono difficile l’estrazione. Tutto questo obbliga a bruciare le batterie agli ioni di litio ad altissime temperature per recuperare rame, cobalto e nichel. Gli impianti richiedono grossi investimenti economici e devono trattare le emissioni tossiche. C’è anche il processo di lisciviazione chimica praticata in Cina che avviene usando reagenti chimici, acidi aggressivi. Questo processo richiede meno energia e capitali inferiori, ma ci si trova a maneggiare rifiuti tossici come gli acidi che vanno smaltiti. Dove sono eliminati è ignoto. Non esiste ancora in Europa un protocollo sulle tecnologie e su come riciclare. Al momento la Cina tende a importare le batterie esauste da altri Paesi». Ci sono già impianti di riciclo e smaltimento di batterie in Italia e in Europa? «Nel settore fotovoltaico attualmente non esiste una filiera dedicata al riciclo perché il flusso di rifiuti non ha ancora dimensioni che la giustifichino, lo stesso si può dire per le batterie delle auto elettriche. Quanto alle turbine, a parte le pale e le fondazioni, si tratta di rifiuti speciali, i cui metalli sicuramente sono riciclabili ma di cui comunque manca la filiera del trattamento, riciclo e, se possibile, riuso in termini economicamente sostenibili».