2021-06-10
L’uomo impreca fin dall’antichità. Ma un tempo non offendeva Dio
Roberto Benigni e Leopoldo Mastelloni (Ansa-Getty Images)
I Greci inveivano contro gli animali, Colombo contro le caravelle, Dante fece bestemmiare le anime all'Inferno. Più di recente, ingiuriare l'Altissimo è costato guai a tanti: da Benigni a Mastelloni, da Ceccherini fino a Lippi.Umberto Silva ha scomodato l'Altissimo per amore, Marcello Lippi per un infortunio sul campo e Dante per le sue anime dannate. Pitagora se la prendeva con il numero quattro, Cristoforo Colombo con le sue caravelle e Roberto Benigni con tutti e dieci i comandamenti. È peccato nominare il nome di Dio invano, ma è lecito avercela con lui. Lo disse papa Francesco durante un'omelia a Santa Marta nel 2017: «Anche arrabbiarsi con Dio è pregare. A Lui piace discutere con noi. A Lui piace, quando tu ti arrabbi e gli dici in faccia quello che senti, perché è Padre». In quell'occasione il Pontefice, citando il vangelo di Marco (3, 22-30), ricordò che Dio perdona tutti anche chi bestemmia ma non chi lo fa contro lo Spirito Santo: «Ma il Signore non è cattivo, lui perdona tutti è chi dice queste cose che è chiuso al perdono. Non vuole essere perdonato». Proprio «questo è il brutto della bestemmia contro lo Spirito Santo, non lasciarsi perdonare». Lo sapevano bene gli antichi greci perché anche se la parola blasfemia viene dal greco bláptein, che significa ingiuriare, e phếmê, fama - loro preferivano inveire contro animali, si sfogavano con un «per la capra» o con un «per tutti i cani», o ancora contro i vegetali con un «per l'aglio». Pitagora lo faceva con i numeri. Quando s'infuriava imprecava: «Per il numero quattro!». Tutti temevano celesti ritorsioni. Al contrario di quel gladiatore bitorzoluto che una mattina del 79 avanti Cristo, come leggenda vuole, causò l'eruzione del Vesuvio. Racconta padre Alfonso Maria Tava, nel suo Come smettere di bestemmiare, pubblicato per il Saggiatore, che il giovanotto si stava allenando al combattimento gladiatorio quando pensò bene di farsi una corsetta sulle pendici del vulcano: «Giunto in cima, affacciatosi al cratere, per scaricare la tensione (e anche per saggiare a mo' di esperimento il meccanismo di funzionamento dell'eco) decise di imprecare con quanto fiato aveva in gola. L'eco riverberò nel cratere e produsse un borbottio che si fece dapprima leggero, poi sempre più aspro fino a esplodere nella celeberrima eruzione narrata da Plinio il Giovane». Anche il grande esploratore ligure Cristoforo Colombo, da poco sbarcato in America, cadde in fallo. Disgustato dagli accostamenti culinari della dieta locale tirò giù le sue caravelle: dalla Nina alla Pinta purtroppo passando per la Santa Maria. Ma, come ricorda padre Tava, i liguri hanno una strana idea della bestemmia, col passare dei secoli si sono convinti che accostando alle divinità un aggettivo come «ladro» o un epiteto come «paperone» queste possano assumere addirittura un'accezione positiva. Basti pensare che in Alta Val Tanaro «le donne anziane sono solite chiamare i loro nipoti con vezzeggiativi quali «parsimoniosetto», «ricchino» o «aviduccio»».Non la pensano così i veneti. La Repubblica di Venezia cercò di estirpare l'uso della bestemmia infliggendo pene durissime quali il taglio della mano, della lingua, o la pubblica gogna. Ma non bastò. Ne era conscio anche il Doge Girolamo Priuli che nei suoi diari scrisse: «Due cose erano in Venezia molto difficili da disfare: la bestemmia usata da ogni grado di persone e li vestimenti alla francese». Cinquecento anni dopo ci ha riprovato il sindaco di Saonara, un paese in provincia di Padova, che nel 2019 con un'ordinanza comunale ha inasprito la sanzione per chi bestemmia «contro le divinità di qualsiasi credo o religione nei luoghi pubblici» con un'ammenda fino a 400 euro, quando nel resto d'Italia è punibile fino ai 309 euro.In Italia il reato di blasfemia è stato depenalizzato più di vent'anni fa, oggi è un illecito amministrativo ma resta sempre vietato imprecare contro divinità di qualsiasi credo così come oltraggiare i defunti. Nel resto del mondo sono 72 le nazioni che ancora puniscono l'apostasia, in Sudan una bestemmia costa quaranta frustate, in Qatar sette anni di carcere, in Algeria dieci, in Egitto sei mesi di confino. In 12 Paesi, per questo reato, si rischia anche la condanna a morte.Nel Cinquecento la pena capitale era prevista anche in Toscana. A farne le spese fu un Antonio Rinaldeschi, che dopo aver perso al gioco fu sorpreso a lanciare letame contro un'immagine sacra. Come i veneti anche i toscani tendono a usare la bestemmia come intercalare al punto tale da elevarla a tradizione. Forse si sentono autorizzati perché anche il sommo poeta Dante ne faceva uso, mettendola in bocca alle sue anime dannate. Scriveva Giovanni Mariotti sul Corriere, in un articolo in difesa di un Totò censurato per blasfemia: «Vengo dalla campagna toscana, dove la bestemmia è stata coltivata come una forma d'arte. Chi bestemmia manifesta, in forma di solito concisa, un'opinione sull'Altissimo o su figure a lui contigue; si muove dunque in un ambito che richiederebbe uno stile nobile e alto, ma è una caratteristica del bestemmiatore sceglierlo basso e volgare: ne deriva un cortocircuito espressivo che rende la bestemmia degna di interesse e, nei casi più felici, di un franco elogio».E, se Curzio Malaparte diceva che «i toscani hanno il cielo negli occhi e l'inferno in bocca», proprio con la scusa del «noi toscani ne tiriamo tremila al giorno», Marcello Lippi all'epoca allenatore della Juve, si vide espellere dal campo, l'attore Massimo Ceccherini cacciare da L'Isola dei Famosi, e Roberto Benigni finire in tribunale. Anche il cantante napoletano Leopoldo Mastelloni dovette vedersela con i magistrati. Era domenica 22 gennaio 1984, sul secondo canale c'era la trasmissione di Gianni Minà Blitz, verso le 17 c'era stato il collegamento con Bussoladomani dal Lido di Camaiore. Dopo aver cantato Mastelloni era stato intervistato da Stella Pende e rispondendo alle sue domande gli scappò una bestemmia. Che l'attore avesse offeso Dio non c'era dubbio, lo aveva fatto davanti a milioni di telespettatori, ma secondo il pretore di Viareggio - fu un avvocato della Versilia il primo a denunciarlo - non ci fu dolo, Mastelloni non intendeva offendere nessuno. La Rai però lo allontanò. Più di recente, nel 2014, anche a Tiberio Timperi è sfuggita una bestemmia a Uno mattina in famiglia, questa volta però mamma Rai dovette sborsare 25.000 euro per negligenza. Nonostante la puntata fosse preregistrata, il servizio pubblico la mandò in onda per ben due volte. Andò meglio a Silvio Berlusconi che nel 2006 finì nell'occhio del ciclone per una barzelletta sulle fattezze di Rosy Bindi che si concludeva con una bestemmia storpiata. Per lui scese in campo l'arcivescovo Rino Fisichella che lo difese perché «le bestemmie vanno contestualizzate». Perdonato, questa volta dal popolo italiano, anche il concorrente Massimo Scattarella, espulso dal Grande fratello per un'imprecazione e riammesso nel programma con un televoto. Non ha chiesto il perdono bensì il permesso lo scrittore e regista Umberto Silva: «Ogni notte prima di addormentarmi dialogo con Dio, conversazione che consiste soprattutto nel chiedergli perdono dei miei peccati. Non è detto che subito li perdoni, è inflessibile su certe cose. La volta che gli chiesi se potevo bestemmiarlo, era per spaventare la mia amata. Costei mi esasperava per via della sua proterva ostinazione a non apprezzare le mie bugie, sicché chiesi a Dio il permesso di bestemmiarlo con forza, in modo tale che la sciocchina capisse quanto ero irritato dal suo comportamento. Così è stato. Al colmo delle sue rimostranze e dei suoi strilli ho sfoderato la terribile bestemmia e lei scioccata ha balbettato: «Ti credo, ti credo». Mentre pacifica dormiva, ringraziai Dio che così mi parlò: «Ora che mi hai fatto complice della tua marachella, giura di non farne più. Non se le merita proprio, è così carina». Giurai, lui finse di credermi; qualche giorno dopo per via di una sciocchezzuola perse le staffe, mi coprì d'insulti e infliggendomi scariche interminabili di diarrea mi mandò all'inferno per tutta la notte». Della punizione divina si convinse anche il regista John Huston, che per girare Moby-Dick fece una fatica tremenda. All'inizio sospettò che il suo aiuto regista stesse tramando contro di lui ma «alla fine capii che era soltanto Dio. Dio aveva ottimi motivi. Achab vedeva nella Balena Bianca un travestimento della divinità, e considerava la divinità una forza malefica. Dio provava piacere a far soffrire gli uomini. Ahab non negava Dio, semplicemente lo considerava un assassino: una concezione assolutamente blasfema. Il film, come il libro, è una bestemmia; penso quindi che possiamo semplicemente dedurre che Dio si stesse difendendo quando ci scagliava contro quei terribili venti e quelle ondate». Dieci anni dopo quell'infausta lavorazione, forse per redimersi, girò La Bibbia.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.