Siamo ai massimi da 37 anni. Rimodulare i fondi del Recovery non è ideologia ma puro buonsenso: i cantieri avviati un anno fa non possono avanzare. E le risorse stanziate vanno convertite per l’emergenza energetica.
Siamo ai massimi da 37 anni. Rimodulare i fondi del Recovery non è ideologia ma puro buonsenso: i cantieri avviati un anno fa non possono avanzare. E le risorse stanziate vanno convertite per l’emergenza energetica.Altro che fenomeno passeggero o fiammata transitoria: la corsa dell’inflazione sembra non fermarsi più. Ieri l’Istat ha diffuso dati preliminari secondo cui, ad agosto, i prezzi si sono impennati dell’8,4% su base annuale e dello 0,8% su base mensile. L’Istituto fa notare che siamo a livelli record in un arco temporale di ben 37 anni. Ancora peggiori i dati del cosiddetto «carrello della spesa» (+9,7%): in questo caso, per trovare qualcosa di simile, bisogna risalire al giugno 1984. A guidare la curva in salita è il comparto alimentari/cura della casa/cura della persona (+9,7% dal precedente +9,1%), mentre si registra un leggero rallentamento della crescita dei prezzi dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (+7,8% contro il precedente +8,7%).Osserva l’Istat: «Sono l’energia elettrica e il gas mercato libero che producono l’accelerazione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (in parte mitigata dal rallentamento di quelli dei carburanti) e che, insieme con gli alimentari lavorati e i beni durevoli, spingono l’inflazione a un livello (+8,4%) che non si registrava da dicembre 1985 (quando fu pari a +8,8%)». Una situazione di questo tipo genera almeno due considerazioni. La prima ha a che fare con la valanga di previsioni clamorosamente sbagliate venute nei mesi scorsi da autorità e cosiddetti «esperti». Ecco Christine Lagarde, guida della Bce, in una dichiarazione del 20 gennaio 2022. Titolo della Stampa: «Inflazione. Lagarde, nel 2022 si stabilizzerà e calerà. Non agiremo come la Fed». E nel corpo dell’articolo: «Pensiamo che nell’anno 2022 (l’inflazione, ndr) si stabilizzerà e calerà. Calerà meno di quanto noi e tutti gli economisti avevano previsto, ma calerà». Concetto ribadito il 21 gennaio dalla stessa Lagarde: «Nonostante l’inflazione sia arrivata al 5%, non ci aspettiamo una dinamica durevole che porti la crescita dei prezzi fuori controllo, e non penso che raggiungeremo mai i livelli degli Stati Uniti». La governatrice Bce era fissata con l’idea della transitorietà dei rincari: pure in una sua conversazione tv di qualche mese prima nel programma Che tempo che fa, a fine novembre 2021, aveva detto: «La corsa dell’inflazione scomparirà, è un fenomeno temporaneo causato dal Covid». E per mesi, per tantissimi, il mantra era proprio l’«inflazione fenomeno passeggero». Tra i sostenitori della tesi c’era Paul Krugman: secondo il Nobel, una delle cause della fiammata era legata all’abitudine, presa durante la pandemia, di spendere più in prodotti e meno in servizi (esempio: mi compro una cyclette anziché abbonarmi a una palestra), e un’altra causa più «macro» andava ricondotta alla crisi dei commerci mondiali. Ma - secondo Krugman - tutto sarebbe passato. Ecco il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire (11 febbraio 2022): «Per la fine del 2022 dovremmo avere un’inflazione più bassa di quella attuale». Qualche mese prima (ottobre 2021) si era iscritto a questa stessa scuola di pensiero l’ex ministro Domenico Siniscalco, in un intervento su Repubblica dal titolo: «L’inflazione non ci minaccia». Ecco il passaggio chiave: «Vi è (…) motivo di ritenere che questo shock, in pieno svolgimento, sia intenso ma temporaneo».Tornando all’oggi, la seconda considerazione riguarda il «che fare» dal punto di vista politico, a partire dal Pnrr: già discutibile di per sé (nel suo approccio dirigista e nel suo essere centrato sul green e sul digitale), ma ora appartenente letteralmente a un altro mondo rispetto a quello con cui dobbiamo fare i conti adesso. Già parve degna di miglior causa, la scorsa primavera, l’ostinazione di Mario Draghi all’Europarlamento, quando sembrò fare del Recovery plan un feticcio, un’icona intoccabile, qualcosa di indiscutibile: «Prima di parlare di modifiche del Pnrr, facciamolo funzionare. Non è vecchio, non è per niente vecchio». Ipse dixit. Fu decisamente più avveduto il ministro Roberto Cingolani quando, con apprezzabile onestà intellettuale, fece notare che l’aumento del costo dell’energia (tra il 2022 e il 2023) avrebbe potuto superare l’importo del Pnrr. Occorrerebbe con serietà ripartire proprio da quella giusta preoccupazione. E invece? Ancora ieri, per il Pd, Enzo Amendola è parso tetragono: «La destra continua a voler rinegoziare il Pnrr. Una follia che metterebbe a rischio risorse e mesi di negoziati in Europa. Le nostre posizioni sono diametralmente opposte». Peccato che però un approccio del genere rischi di avere una conseguenza oggettiva: costringere le imprese all’alternativa tra chiudere o lavorare in perdita. È forse realistico procedere così, come se nulla fosse? Davvero il Pd sceglie questa strada? C’è anche un aspetto tecnico: i costi e i perimetri dei cantieri sono stati studiati con un’inflazione che era al 2%. Come sono sostenibili adesso?Parrebbe più serio (e questo sarà compito del centrodestra) provare a costruire un consenso - anche in Ue - sulla necessaria riconversione di parte consistente del Pnrr verso l’emergenza energetica: sarebbe paradossale se risorse ingentissime (come già accade) finissero investite, Comune per Comune, per costruire rotonde, oppure campi da tennis, da padel, da calcetto, mentre vaste aree del mondo industriale e produttivo stanno per saltare.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





