2022-07-20
Incontro fra Erdogan e Putin sul grano: «Decisioni positive»
Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin (Ansa)
Lo zar: «Non tutto è risolto ma ci sono progressi». L’Ue vuole allentare le sanzioni alle banche russe legate all’alimentare.La crisi alimentare innescata dall’invasione russa dell’Ucraina continua a preoccupare. Non a caso, proprio alla questione del grano è stato principalmente dedicato il bilaterale tenutosi ieri a Teheran tra il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e l’omologo russo, Vladimir Putin. Ricordiamo che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, la Turchia sta da tempo cercando di finalizzare a Istanbul un’intesa volta a facilitare lo sblocco dei porti ucraini e a creare un corridoio di passaggio nel Mar Nero. Secondo quanto riferito dai media turchi, sembra che, all’inizio del faccia a faccia, il sultano abbia detto al capo del Cremlino: «L’approccio della delegazione russa negli ultimi incontri di Istanbul è stato molto positivo. Il risultato che otterremo avrà un impatto positivo per il mondo intero». Putin, dal canto suo, avrebbe ringraziato Ankara: «Non tutti i problemi sull’esportazione di grano ucraino sono stati risolti, ma ci sono progressi ed è già buono». Sempre ieri, alcune ore prima del faccia a faccia, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva detto che i colloqui sul tema dovrebbero riprendere a breve. È in questo contesto complessivo che l’Unione europea sarebbe intenzionata ad allentare oggi alcune sanzioni comminate a Mosca, con l’obiettivo di sbloccare risorse appartenenti a banche russe che potrebbero essere utilizzate per favorire la circolazione di prodotti agricoli e fertilizzanti: a renderlo noto è stata ieri l’agenzia di stampa Reuters, che ha visionato la bozza di un documento. In particolare, gli istituti bancari russi interessati dal provvedimento sarebbero Sovcombank, Novikombank, Otkritie fc bank, Veb, Promsvyazbank e Rossiya bank. Sempre secondo Reuters, questa mossa è arrivata anche a seguito dell’allarme lanciato da vari Paesi africani. Non dimentichiamo infatti che gli impatti più perniciosi della crisi alimentare riguarderanno prevedibilmente aree come il Medio Oriente e il continente africano. Un problema non di poco conto. D’altronde, il nodo alimentare non è soltanto di tipo umanitario, ma anche geopolitico. Sì, perché la crisi alimentare potrebbe determinare degli effetti destabilizzanti su regioni delicate come il Sahel che, ricordiamolo, è un importante crocevia per i flussi migratori diretti verso l’Europa occidentale. Prendiamo come esempio il Mali: si tratta di un Paese che riscontra già una significativa insicurezza alimentare. Un fattore, questo, a cui va sommata la presenza del terrorismo jihadista, oltre a una crescente influenza politica e militare di Mosca sul governo di Bamako. Va da sé che, in questa situazione, i russi potrebbero sfruttare l’instabilità locale per usare i flussi migratori come strumento di pressione politica sull’Unione europea (secondo un copione che, mutatis mutandis, abbiano già visto attuato lo scorso autunno alla frontiera polacca). Tutto questo, senza poi dimenticare che, attraverso i mercenari del Wagner group, la longa manus di Mosca si estende anche sulla parte orientale della Libia. Insomma, l’Unione europea teme evidentemente che la crisi alimentare possa destabilizzare il continente africano, innescando così poderosi e sempre più ingovernabili flussi migratori diretti verso il proprio fronte meridionale. È anche per contrastare questa minaccia che la Nato dovrebbe aumentare l’attenzione sul proprio fianco Sud, mettendo nel mirino la crescente influenza sino-russa sul bacino del Mediterraneo. A lanciare l’allarme in riferimento alla crisi alimentare è stato di recente anche il ministro dell’Economia senegalese, Amadou Hott, che, dal summit G20 dei leader finanziari a Bali, ha dichiarato che la carenza di cibo potrebbe fare più vittime della pandemia di Covid-19. È in questo contesto che, lo scorso marzo, Cina e Algeria hanno siglato un accordo dal valore di 7 miliardi di dollari nel settore dei fertilizzanti. Tutto questo mentre, appena pochi giorni fa, il Marocco ha fornito al Ruanda 15.000 tonnellate di fosfato di ammonio in sostegno dell’agricoltura locale. D’altronde, la carenza di fertilizzanti, dovuta alla crisi ucraina, sta rendendo sempre più prezioso questo tipo di prodotti, anche dal punto di vista geopolitico. In tal senso, se l’anno scorso molti Paesi hanno fatto ricorso alla cosiddetta «diplomazia vaccinale», oggi si intravvedono già segnali di una «diplomazia dei fertilizzanti». Le tensioni tuttavia non mancano. Lunedì, l’amministratrice dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, Samantha Power, ha infatti accusato Pechino di non fare abbastanza in termini di esportazione di cibo e fertilizzanti per alleviare i problemi che affliggono aree come il Corno d’Africa. Il problema dell’instabilità, del resto, riguarda anche gli Stati Uniti: non dimentichiamo che pesanti impatti potrebbero registrarsi pure in America Latina, rafforzando così i già considerevoli flussi migratori che, da ormai un anno e mezzo, stanno investendo la frontiera meridionale con il Messico.
Fabrizio Pregliasco (Imagoeconomica)
Beppe Sala (Imagoeconomica)
Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini (Imagoeconomica)
Nino Cartabellotta (Imagoeconomica)