- Il ministro dell’Economia rivendica la norma che aumenta al 26% l’aliquota, mentre per il leader della Lega è una «tassa sciocca, da eliminare». E Tajani: «Decide la politica, non i grand commis del Mef». Nuovo fronte sui fondi alle metro di Roma e Milano.
- Rincari sul diesel, le associazioni di categoria invitano a investire i proventi per rinnovare il settore.
Lo speciale contiene due articoli.
La manovra agita la maggioranza. L’aumento della tassa per gli affitti brevi e il contributo chiesto alle banche hanno scatenato un dibattito serrato tra Forza Italia e la Lega. Una situazione paradossale con il vicepremier, Antonio Tajani, che appena resa nota la norma sulle case, è trasecolato dicendo di non esserne stato informato. Si tratta peraltro di una misura che dovrebbe portare un gettito di appena 100 milioni, ma a quanto pare, vista la ferma posizione del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ne ha rivendicato la paternità, contiene qualcosa in più della ricerca di far cassa. Una impuntatura che ha portato il titolare del Tesoro a scontrarsi anche con il suo stesso partito a cominciare dal vicepremier Matteo Salvini, oltre ad aprire un fronte polemico con Forza Italia. I toni sono già molto accesi e propria la ferma posizione di Giorgetti lascia intendere che non sarà facile smontare la norma durante il passaggio parlamentare. Per il ministro la revisione finale degli appartamenti turistici è un freno ai rincari del mercato delle locazioni nelle città.
Ricapitoliamo ad uso dei più distratti, di cosa stiamo parlando. Nella legge di Bilancio, bollinata dalla Ragioneria generale dello Stato, quindi il testo ufficiale che ora deve passare all’esame del Parlamento, il ministero dell’Economia ha inserito una norma che aumenta la cosiddetta cedolare secca sulle abitazioni locate ad uso turistico per un periodo inferiore a 30 giorni (e solo per la prima) dal 21 al 26% se il proprietario si serve di un intermediario o delle piattaforme online tipo Airbnb o Booking. L’aliquota rimane al 21% solo se non c’è il meccanismo dell’intermediazione e il proprietario si muove per conto proprio. Una situazione che come ha riconosciuto la stessa Ragioneria, riguarda appena il 10% della platea. Chi vuole affittare sa bene che deve servirsi dei portali online.
Tanto è bastato per mandare su tutte le furie Forza Italia che si è sempre eretta a garante della proprietà immobiliare contro qualsiasi tentativo di aumentare le imposte considerando anche che sul mattone già gravano svariate imposte. Tajani non ha intenzione di lasciar correre: «Decide la politica, non i grand commis del Mef», ha detto attaccando i tecnici del ministero, «qualcuno che ha voglia di punire e reintegrare le imposte». Poi ha annunciato la presentazione, in Senato, di un emendamento soppressivo.
Sulla stessa linea è il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, nella posizione scomoda di trovarsi in contrasto con il suo ministro all’Economia. «È una tassa sciocca con gettito minimo, che lede l’iniziativa privata e proprietà privata. È inavvertitamente per distrazione entrata in manovra, per cui il suo destino è di venire cancellata con il voto in Parlamento». La sorte quindi della cedolare secca sugli affitti turistici resta in bilico.
Se sulla casa Tajani e Salvini vanno a braccetto, le loro strade si dividono sul contributo chiesto alle banche. Ieri il ministro dei Trasporti è tornato ad incalzarle: «Più si lamentano più presentiamo emendamenti per aumentare il prelievo. Ogni lamentela porterà a un 1% di Irap in più e con quei soldi faccio 6 piani casa».
Tajani, dal canto suo, ha cercato di smorzare i toni polemici: «Non bisogna spaventare i mercati e per questo io sono sempre molto prudente quando si parla di banche e assicurazioni non perché sia amico delle banche ma perché bisogna stare attenti». Un invito alla concretezza mandato al collega della maggioranza, ad allargare lo sguardo allo scenario internazionale. Tajani ha poi rimarcato che al momento della definizione della manovra «noi non sapevamo della tassa sugli extra profitti e anche della novità dei dividendi». Il vicepremier ha anche sottolineato che «tante altre cose non vanno bene perché non c’è una visione abbastanza liberale» ed è quindi necessario un contributo di Forza Italia «perché ci possano essere delle scelte che incoraggino gli investimenti e non li facciano fuggire». Una impostazione di economia liberale che il vicepremier rivendica alla legge di Bilancio.
La novità sui dividendi alla quale Tajani allude, ha scatenato la reazione anche del mondo finanziario. Per questo il vicepremier annuncia cambiamenti in Parlamento. La manovra ha riscritto una regola introdotta da Giulio Tremonti nel 2003. La legge di Bilancio prevede che le holding con partecipazioni sotto il 10% in una società non debbano più pagare l’1,2% delle cedole ricevute dalle controllate, come prevede la normativa attuale, ma debbano versare il 24%. L’ultimo fronte è poi sui tagli alle linee della metropolitana di Roma e Milano. Con Tajani che invita Salvini ad occuparsi dei «tagli alla Metro C di Roma» e la Lega che replica: «Non c’è nessun taglio ma un buon uso delle risorse». Mentre il ministero dei Trasporti chiarisce che «per raggiungere obiettivi contabili, la Ragioneria ha disposto unilateralmente dei definanziamenti provvisori, che prescindono da valutazioni di merito. Il Mit ha già dimostrato massima attenzione sulle metropolitane milanesi ed è già al lavoro con gli uffici del Mef per scongiurare qualunque ipotesi di definanziamento della M4 di Milano».
I rincari sul diesel portano 2 miliardi. «Usateli per aiutare i biocarburanti»
Con la manovra finanziaria 2026 il gasolio costerà di più. Con buona pace dell’autotrasporto che vedrà aumentare i costi innescando probabilmente nuove proteste. Tutto nasce, come spesso accade quando ci sono inasprimenti fiscali, dalla Commissione Ue. Ha chiesto di tagliare i Sad, i cosiddetti «sussidi ambientalmente dannosi». Tradotto: basta coccolare il diesel, visto l’alto tasso di CO2 che contiene. Così da gennaio l’accisa sulla benzina scenderà di 4,05 centesimi al litro, mentre quella sul gasolio salirà esattamente dello stesso importo, portando entrambe le aliquote a 67,26 centesimi al litro. Un perfetto pareggio fiscale che, come tutti i pareggi, lascia qualcuno scontento: a cominciare dal vasto mondo del trasporto su gomma che tradizionalmente viaggia diesel.
Ma ecco il colpo di scena: questa partita da due miliardi di euro in cinque anni, nata come semplice riallineamento contabile, potrebbe diventare un gruzzoletto verde. Lo suggerisce l’Unem - Unione energie per la mobilità -, che invece di protestare (cosa rara nel mondo quando si deve trattare con il fisco) propone di trasformare la tassa in investimento.
«In un contesto in cui le nuove regole europee comporteranno un aumento dei costi lungo tutta la filiera » ha spiegato Gianni Murano, presidente Unem « riteniamo fondamentale utilizzare queste maggiori entrate per sostenere la diffusione dei carburanti rinnovabili con interventi sulla fiscalità che valorizzino la bassa o nulla impronta carbonica dei biocarburanti, nonché per stimolare gli investimenti necessari a sostenerne l’incremento previsto per i prossimi anni».
In parole semplici; se proprio dobbiamo pagare di più per il gasolio, almeno che quei soldi servano a costruire il futuro - non solo a tappare le solite buche del bilancio pubblico. Murano propone dunque un riciclo virtuoso delle tasse: i soldi presi al diesel per finanziare biocarburanti, e magari un domani anche carburanti sintetici. Un po’ come usare le multe per eccesso di velocità per costruire piste ciclabili.
Una proposta che rappresenta una svolta: in Italia, dove ogni aumento di accise è storicamente «temporaneo», l’idea di destinarne i proventi a un progetto preciso suona quasi rivoluzionaria. Ma l’Unem sembra voler rompere la tradizione, suggerendo che la transizione energetica non si fa solo con gli slogan, ma anche con un po’ di contabilità creativa.
Nel frattempo, mentre a Roma si discute di tasse verdi e biocarburanti del futuro, nei distributori italiani si vive un presente piuttosto movimentato. A settembre, secondo i dati dell’Unem, le vendite complessive di prodotti petroliferi sono cresciute dello 0,4%, pari a 17 mila tonnellate in più rispetto a un anno fa. Merito anche di un giorno lavorativo in più e di un clima da settembre estivo che ha spinto tutti a rimettersi in moto.
La benzina ha registrato un balzo dell’8,7% (+63.000 tonnellate), il gasolio motori un +3,4% (+66.000 tonnellate), e persino il jet fuel continua a volare alto con un +1,9%, toccando un record per il mese. Anche il Gpl autotrazione segna un +4,6%, e il canale combustione cresce di un solido +13,2%.
Segnali di vivacità arrivano pure dai lubrificanti, al quarto mese consecutivo in positivo: +0,8% complessivo, spinti dal comparto autotrazione (+7,3%) che compensa la debolezza industriale (-5,6%). Insomma, il motore dell’Italia continua a girare, anche se un po’ tossisce e consuma più del previsto. E mentre i carburanti «fossili» resistono, i biocarburanti bussano alla porta, sperando che qualcuno - magari il fisco - apra il portafoglio.
Per ora, l’unico dato certo è che, nel Paese dove «l’accisa sulla guerra d’Etiopia» è ancora nei listini, ogni aumento ha vita eterna. Ma chissà, forse stavolta l’Italia scoprirà che perfino una tassa può essere rinnovabile.


