2024-12-05
Tutte le inchieste flop della Procura di Torino
La sede della Procura di Torino (iStock). Nel riquadro Stefano Esposito (Ansa)
Quella che ha coinvolto per sette anni l’ex senatore dem Stefano Esposito è solo l’ultima delle cantonate dei pm: l’elenco è lungo. E cambiando Regione non va meglio, tra vite rovinate, perdite di tempo e di denaro. E poi ci si chiede perché Giovanni Toti ha patteggiato.«E poi qualcuno si domanda perché l’ex presidente della Liguria, Giovanni Toti, alla fine ha patteggiato...». Amara constatazione, quella dell’ex senatore pd Stefano Esposito. Ve lo ricordate il film horror di Danny Boyle 28 giorni dopo? La pellicola del terrore, con protagonista involontario Esposito ha una durata leggermente superiore: 2.589 giorni dopo. Ci sono voluti, infatti, sette anni perché venisse chiuso, in quanto «il fatto non sussiste», il procedimento nato nel 2017 a Torino con un avviso di garanzia per corruzione, turbativa d’asta e traffico di influenze. Sette anni senza un rinvio a giudizio, senza mai un interrogatorio. Fino all’archiviazione disposta dai giudici di Roma, diventati competenti dal momento che a Torino erano state usate intercettazioni illecite, perché effettuate senza l’autorizzazione del Senato, mentre Esposito era parlamentare (dopo un suo esposto, seguito all’annullamento del rinvio a giudizio e pure della relativa richiesta, il pm Gianfranco Colace e il gup Lucia Minutella sono finiti sotto procedimento disciplinare del Csm).È dai tempi del famigerato caso di Enzo Tortora che il leitmotiv intonato davanti ai microfoni dai responsabili delle inchieste che «fanno rumore» (perché il circo mediatico-giudiziario è perennemente in tournée) è questo: le prove sono come le stelle di Negroni, milioni di milioni, e, ça va sans dire, sono «schiaccianti». Salvo, poi, scoprire che così non è. Il caso Tortora, scoppiato nel 1983 (41 anni passati invano), sappiamo come finì. E conosciamo anche la fine cui andarono incontro i magistrati che, a diverso titolo, si macchiarono di quello scempio: hanno fatto tutti brillanti carriere.Del resto, abbiamo avuto il recente caso di due pm milanesi, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, processati e condannati per rifiuto di atti d’ufficio. Ovvero per aver «deliberatamente taciuto l’esistenza di risultanze investigative in palese e oggettivo conflitto» con la loro ipotesi accusatoria, nel processo su una presunta maxi corruzione internazionale di Eni Nigeria, finito con l’assoluzione di tutti gli imputati. I due magistrati continuano, tuttavia, a svolgere normalmente il loro lavoro, trattandosi di sentenza di primo grado (per il loro legale, Massimo Dinoia, «il tribunale di Brescia non è riuscito a giustificare giuridicamente la condanna», vedremo in appello).Ma se il garantismo va esercitato nei loro confronti, non si potrebbe estendere l’applicazione di tale sacrosanto principio a tutti i cittadini, politici, parlamentari e non, senza confinarli nel limbo di una giustizia dai tempi biblici, per inchieste con presupposti farlocchi? Esposito ha scoperto «per caso» di essere indagato nel 2017, ma era intercettato dal 2015, per più di 500 volte (al suo presunto corruttore, l’imprenditore Giulio Muttoni, prosciolto anche lui, è andata peggio: è stato «ascoltato» complessivamente, in questa indagine e in quelle collegate, 32.000 volte). E sempre «per caso» Esposito ha scoperto di non esserlo più, indagato, già dal giugno scorso ma nessuno gliel’ha detto, non sussistendo l’obbligo di comunicarlo agli interessati.A ben guardare, siamo tra i racconti di Franz Kafka e il teatro dell’assurdo di Eugène Ionesco. Una trama picconata dai pm di Roma Rosalia Affinito e Gennaro Varone, che sono voluti entrare nel merito del lavoro svolto dal collega di Torino, compilando virtualmente una lista di quello che nel suo operato lasciava, come dire, a desiderare: indagine iniziata sulla base di un «labile spunto investigativo». Ipotesi accusatoria «irragionevole». Congetture «non confermate». «Deduzioni» senza fondamento giuridico. Mancanza di «riscontri concreti». Risultanze «logicamente inconciliabili».Tanto da far sospettare che a Torino si siano mossi sulla base di un pregiudizio? Un teorema? Un sospetto? Ma già Giovanni Falcone ammoniva, quando fu incredibilmente «processato» dal Csm perché Leoluca Orlando sosteneva avesse chiuso in un cassetto i fascicoli sui rapporti tra mafia e politica: «Il sospetto non è l’anticamera della verità (frase attribuita al gesuita padre Ennio Pintacuda, sodale di Orlando), ma del khomeinismo». E guai a sollevare dubbi sulla bontà dell’azione dei magistrati, soprattutto se a farlo sono giornalisti non spiaggiati sulle posizioni delle Procure. Così quando Ermes Antonucci del Foglio ha messo in fila le inchieste «bolle di sapone» di Colace, l’ultracasta ha fatto muro, con tanto di comunicato dell’Anm, il sindacato delle toghe, di Torino: «Un attacco che supera il diritto di critica».Con un veloce amarcord: due ex sindaci, Piero Fassino e Chiara Appendino, e l’ex governatore Sergio Chiamparino indagati per inquinamento ambientale? Prosciolti («Prove insufficienti») dopo quattro anni. Irregolarità di un ex sindaco e un ex assessore alla cultura nella gestione del Salone del libro? Prosciolti dopo cinque anni. Accusa di falso elettorale al deputato leghista Riccardo Molinari? Prosciolto nel novembre 2023. Accusa di associazione mafiosa e corruzione nei confronti di noto imprenditore? Archiviata a inizio 2024.Esposito può rivendicare di aver tenuto botta, «dal punto di vista della forza emotiva che da quello economico», e di essere quindi non un sopravvissuto, ma un super-vissuto come Vasco Rossi. Perché c’è anche tale aspetto da considerare: quale dispendio nervoso e quante spese legali vanno sostenute, prima di veder riconosciuta la propria innocenza? Lo sa bene il patron della Pirelli, Marco Tronchetti Provera. Viene condannato per ricettazione (accusato di aver ricevuto, quando era al vertice di Telecom, un cd rom con dati «rubati» su un concorrente in Brasile). Rinuncia alla prescrizione e va in appello. Assolto. La Procura di Milano ricorre. La Cassazione: appello bis. Assolto. Finita? Macché. La Procura: nuovo ricorso in Cassazione. Nuovo appello. Assolto di nuovo. La Procura impugna, ancora! A quel punto la Cassazione, stremata, fischia il game over. Anni trascorsi dal fatto: 17. Processi per lo stesso fatto: sette. Costi per Tronchetti Provera: s’immagina salati. Costi per i contribuenti: pure, visto l’accanimento giudiziario nel tempo.Capite ora la provocazione, che non è tale, di Esposito: «E poi ci si domanda perché Toti ha patteggiato?». Essì. Alla fine, lo tsunami al pesto, lo sturm und drang scatenato dalla Procura di Genova è evaporato in una condanna a due anni e 3 mesi, 1.620 ore di servizi sociali. Perché è facile sostenere, giudicando da fuori: «Se uno è innocente, non patteggia, il tempo è galantuomo». Giusto. Ma facendo gli scongiuri. Perché il tempo ci deve trovare vivi, in salute e non falliti economicamente.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)