2021-03-28
Incendi, agricoltura e livello dei mari. Le menzogne verdi per terrorizzarci
L'eco-sinistra lucra voti annunciando l'apocalisse entro il 2030. Falso: ci adatteremo, come sempre, e avremo anche più ciboMIchael ShellenbergerAll'inizio del 2019 Alexandria Ocasio-Cortez, 29 anni, neoeletta al Congresso degli Stati Uniti, è stata intervistata da un corrispondente della rivista Atlantic. AOC - così viene abbreviato il suo nome - ha parlato del Green new deal, un piano per affrontare la povertà e la disuguaglianza sociale, insieme al cambiamento climatico. «Se non ci occupiamo della questione climatica, il mondo finirà tra 12 anni, e il vostro problema principale è come faremo a pagare?». Così AOC respingeva le critiche secondo cui il piano sarebbe troppo costoso. Il giorno successivo, un reporter del sito web di informazione Axios chiamò diversi esperti di clima per raccoglierne le reazioni alla dichiarazione di AOC, ossia che il mondo sarebbe finito nel giro di 12 anni. «Tutte balle, queste scadenze temporali», ha dichiarato Gavin Schmidt, climatologo della Nasa. «Non accade nulla di speciale se si sfora il “bilancio delle emissioni" di diossido di carbonio o se si supera qualsivoglia limite di temperatura; invece i costi delle emissioni aumentano costantemente». Secondo Andrea Dutton, docente di paleoclimatologia all'Università del Wisconsin-Madison: «Per qualche ragione, i media si sono attaccati all'idea dei 12 anni (2030), forse perché hanno pensato che servisse a trasmettere il messaggio della velocità con cui ci stiamo avvicinando a una data limite e, di conseguenza, l'urgenza di agire. Purtroppo, si è arrivati a travisare totalmente quanto diceva il rapporto». Nel rapporto e nel comunicato stampa che l'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) aveva pubblicato nel 2018 c'era scritto, invece, che per avere buone possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale, le emissioni di diossido di carbonio avrebbero dovuto calare del 45 per cento entro il 2030. L'Ipcc non parlava di fine del mondo né di annientamento della civiltà, in caso di aumento delle temperature superiore a 1,5 °C. Anche la reazione della scienza alle affermazioni estreme di Extinction Rebellion era stata negativa. Ken Caldeira della Stanford University, che da anni studia l'atmosfera, tra i primi a lanciare l'allarme sull'acidificazione degli oceani, commentava: «Se è vero che molte specie sono a rischio di estinzione, il cambiamento climatico non farà scomparire il genere umano». Il climatologo del Mit (Massachusetts institute of technology) Kerry Emanuel mi disse invece: «Mi irritano coloro che gridano all'apocalisse. Non credo che sia utile a nessuno parlare del problema come di un'apocalisse». «Possiamo disquisire sulla scelta dei termini, se si tratti di una questione esistenziale o cataclismica», ha detto ad Axios un portavoce di AOC, «vediamo però tantissimi problemi [collegati al cambiamento climatico] che hanno già un impatto sulla vita delle persone». Ma se è davvero così, tale impatto è minimo rispetto alla diminuzione del 92 per cento nel numero decennale delle vittime di disastri naturali rispetto al suo picco, negli anni Venti del Novecento, quando morirono 5,4 milioni di persone a causa di calamità; negli anni Dieci del secolo attuale ci sono state solo 0,4 milioni di vittime. Per di più, tale declino si è avuto in un periodo in cui la popolazione mondiale è quasi quadruplicata. In effetti, negli ultimi decenni sia le società ricche sia quelle povere sono diventate molto meno vulnerabili agli eventi atmosferici estremi. Un corposo studio del 2019 pubblicato sulla rivista Global environmental change ha rilevato che i tassi di mortalità e i danni economici sono diminuiti tra l'80 e il 90 per cento negli ultimi 40 anni, a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Mentre i livelli dei mari sono aumentati globalmente di 0,19 metri tra il 1901 e il 2010, secondo le proiezioni dell'Ipcc tali livelli aumenteranno di 0,66 metri entro il 2100 nello scenario a medio impatto, e di 0,83 metri nello scenario peggiore. Anche se tali valutazioni dovessero dimostrarsi sottostimate, il ritmo lento dell'aumento dei livelli marini darà probabilmente alle società umane tutto il tempo per adattarsi. Esistono validi esempi di adattamento a situazioni di questo genere. I Paesi Bassi, per esempio, sono diventati una nazione ricca nonostante un terzo del territorio sia al di sotto del livello del mare, comprese aree che si estendono ben sette metri sotto al livello del mare, a causa di un graduale abbassamento della terraferma.Oggi, inoltre, la nostra capacità di modificare gli ambienti è di gran lunga superiore rispetto al passato. Attualmente, esperti olandesi stanno già collaborando con il governo del Bangladesh in previsione di un aumento del livello del mare. E gli incendi? Jon Keeley, esperto del Geological survey in California, che da 40 anni si occupa di questo problema, mi ha detto: «Abbiamo passato in rassegna la storia del clima e degli incendi relativa all'intero Stato della California e per buona parte del territorio, in particolare per la metà occidentale dello Stato, non abbiamo riscontrato alcuna relazione diretta tra il clima e l'estensione di terra bruciata in un dato anno». Nel 2017 Keeley e un gruppo di scienziati hanno esaminato 37 regioni diverse negli Stati Uniti, e hanno concluso che «gli esseri umani non soltanto possono influenzare il regime degli incendi, ma la loro presenza può effettivamente annullare o frenare gli effetti del clima». Il gruppo di Keeley ha verificato che gli unici fattori significativi in senso statistico per la frequenza e la gravità degli incendi su base annuale erano la popolazione e la prossimità allo sviluppo. Per quanto riguarda l'Amazzonia, il New York Times ha scritto, correttamente, che «gli incendi [del 2019] non sono stati provocati dal cambiamento climatico». Nei primi mesi del 2020 gli scienziati hanno confutato l'idea che l'aumento dei livelli di diossido di carbonio nell'oceano rendesse i pesci che abitano la barriera corallina indifferenti al pericolo dei predatori. Già tre anni prima, i sette scienziati autori dello studio pubblicato su Nature avevano sollevato dubbi riguardo all'allarme lanciato da una biologa marina su Science nel 2016. Dopo un'attenta indagine, l'università australiana James Cook ha scoperto che la biologa aveva inventato i dati. Passando poi alla produzione alimentare, la Food and agriculture organization delle Nazioni Unite (Fao) afferma che la resa agricola aumenterà in modo significativo anche con un'ampia gamma di scenari relativi al cambiamento climatico. Attualmente si producono derrate sufficienti per dieci miliardi di persone, con un'eccedenza del 25 per cento, e gli esperti ritengono che la produzione aumenterà ancora, nonostante il cambiamento climatico. Secondo la Fao, la produzione alimentare dipenderà più dall'accesso a macchine agricole, irrigazione e fertilizzanti che dal cambiamento climatico, esattamente com'è accaduto nel secolo scorso. In base alle stime della Fao anche gli agricoltori delle regioni attualmente più povere, come l'Africa subsahariana, possono avere un aumento dei raccolti del 40 per cento con le sole migliorie tecnologiche. L'Ipcc ipotizza che entro il 2100 l'economia globale sarà cresciuta da tre a sei volte rispetto a quella attuale, mentre secondo l'economista William Nordhaus, premio Nobel nel 2018, i costi per adattarsi a un forte aumento di temperatura (4 °C) ridurrebbero il prodotto interno lordo solo del 2,9 per cento. C'è qualcosa tra i dati riportati che vi faccia pensare alla fine del mondo?
Margherita Agnelli (Ansa)
L’europarlamentare del Pd Irene Tinagli (Imagoeconomica)
John Elkann (Getty Images)