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2023-04-12
Incantesimo di Cingolani sulla Meloni. L’ex ministro corre verso Leonardo
Roberto Cingolani (Ansa)
Un pezzo di Roma ieri ha trascorso ore al telefono. In attesa che Palazzo Chigi, nello specifico Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, trovasse la quadra con i vertici di Lega e Forza Italia. Le nomine delle partecipate pubbliche sono state dunque al centro di messaggi e whatsapp più o meno interessati. È così a ogni partita di giro. Rumor, veline, indiscrezioni, tensioni. La differenza stavolta è che il tavolo di chi decide ha veramente poche seggiole. Per i giornalisti è molto più difficile avere informazioni. Al tempo stesso per i due partiti di maggioranza che affiancano Fratelli d’Italia la partita delle caselle è assai complicata. Infilare nomi in maglie molto strette è assai complicato. D’altra parte il metodo di Palazzo Chigi è attendere quasi l’ultimo per far trapelare il meno possibile. Con tali premesse la riunione di ieri ha sbloccato un po’ di scelte ma non è stata del tutto risolutiva. Confermati Claudio Descalzi, Matteo Del Fante e Stefano Donnarumma che dovrebbe lasciare Terna per Enel. Mancano ancora numerosi tasselli per chiudere gli incarichi di presidenza ed è quasi certo l’ingresso nel perimetro ristretto degli amministratori delegati il curriculum di Giuseppina di Foggia, ad di Nokia Italia. La frizione tra partiti e pezzi di Fdi si è però consumata su Leonardo. Inspiegabilmente. Da un lato, il nome di Lorenzo Mariani, sostenuto sicuramente da Guido Crosetto e da numerosi esponenti di Forza Italia e di Lega. Un figura che negli ultimi 30 anni ha scalato tutti i gradini del gruppo fino a ricoprire il ruolo di vertici di Mbda Italia, il colosso leader della missilistica. Insomma, un manager, non un politico e un nome conosciuto nel comparto della Difesa. Dall’altro lato, un nome che in molti avrebbero voluto cancellare dal taccuino: quello di Roberto Cingolani. Ex ministro del governo Draghi e attuale consigliere del Mase, membro del board del fondo innovazione della Nato, già direttore dell’istituto italiano di tecnologia e per diversi mesi direttore innovazioni della stessa Leonardo. Senza un trackrecord da manager o da esperto di finanza. Insomma, una partita che non si sarebbe nemmeno dovuta giocare. Invece, a quanto risulta, Giorgia Meloni si sarebbe impuntata. E l’ex ministro marcia verso la poltrona di Piazza Monte Grappa. Sarebbero stati proposti altri nomi, interni ed esterni. Ma nulla da fare. Cingolani sembra essere passato direttamente dall’ala protettrice di Mario Draghi a quella della Meloni con un occhio benevolente del Colle. Perché? Quale incantesimo è stato praticato al premier? Da mesi infatti i rumor romani raccontano che Cingolani è stato raccomandato dallo stesso Draghi per un ruolo di peso nella legislatura Meloni. Non potendo essere di nuovo ministro - sarebbe stato complicato spiegarlo agli elettori di Fdi - è stato tracciato un cerchio, preciso come con un compasso, in modo che all’interno finissero incarichi di peso. Perché mai un governo di centrodestra dovrebbe però accettare sollecitazioni da quello precedente a matrice Pd? La risposta potrebbe trovarsi in quella che più volte sulle colonne di questo giornale abbiamo chiamato transizione ordinata. Una sorta di passaggio di consegne tra Draghi e la Meloni che avrebbe consentito soprattutto nelle prime settimane l’avvio di un dialogo con l’Ue o meglio avrebbe impedito che da Bruxelles partissero subito siluri contro Fdi. Un ragionamento simile si può fare anche in queste ore sul tema del Pnrr. Basta vedere i numeri del Def per comprendere che i grandi investimenti ricadono tutti dentro il perimetro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Comprensibile che Palazzo Chigi voglia mettere al vertice delle partecipate tutte figure che consentano non solo di mettere a terra i progetti di competenza già approvati, ma anche di realizzarne di nuovi in sostituzione di quei cantieri che più che mai oggi risultano inutili.
Insomma, una serie di spiegazioni logiche che però non risolvono nello specifico l’interrogativo sull’incantesimo. Perché Cingolani al vertice di Leonardo? Nessuno ha mai obiettato sulle sue capacità di fisico. Non a caso ha svolto un ottimo lavoro a Genova. Passato a Leonardo ha avuto ben pochi mesi per portare avanti nuovi progetti. Tant’è che nessun quadro o dirigente a oggi lo considera interno all’azienda. Da ministro, piaceva all’Ue, ma ha collezionato un po’ troppe gaffe e sul nucleare è stato a dir poco ondivago. In ogni caso è bene ribadire che il dicastero di sua competenza si occupava di energia e non di armi. Il tema infatti è tutto qui. Molti temono che una governance molto debole rappresenti per Leonardo il rischio di essere schiacciata tra un grande progetto della Difesa comune o l’altro. Insomma, temono uno spezzatino dell’azienda. Sarà interessante capire tra le grandi potenze chi lo sostenga. Se, come sembra non sono gli americani, restano forse i francesi. Il che, inutile dirlo, non è un buon segno. Significa che Thales è alle porte di Roma? Che Leonardo scivolerà fuori dal circuito del G7 della Difesa? Chi lo sa... Però barattare pezzi di Pnrr per la storia della vecchia Finmeccanica non è una grande strategia.
Tensioni: metà manager confermati
C’è il rischio che la partita sulle nomine nelle partecipate statali si trascini ancora un po’, ma ieri sera, mentre La Verità andava in stampa, il Consiglio dei ministri ha dato un colpo secco per chiudere la quadra sugli amministratori delegati di Eni, Enel, Leonardo, Poste e Terna. Claudio Descalzi sarà confermato in Eni, così come Matteo Del Fante in Poste, mentre Roberto Cingolani si avvia verso Leonardo per prendere il posto di Alessandro Profumo. In Enel la scelta sarebbe ricaduta su Stefano Donnarumma, che dovrebbe prendere il posto di Francesco Starace. In Terna, invece, dovrebbe arrivare come amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, attuale numero uno di Nokia Italia e considerata molto vicina al presidente del Consiglio.
Sui destini di Enel e Terna, però, l’uso del condizionale è d’obbligo, perché ci sarebbero ancora malumori e questioni da risolvere. La nomina nel colosso dell’energia elettrica è stata una delle più dibattute in queste settimane, tanto da scomodare anche i pareri legali del professor Sabino Cassese e dell’Avvocatura dello Stato. È stata quest’ultima, verbalmente, a dare qualche giorno fa il via libera alla nomina di Donnarumma. Ma a quanto pare Starace non avrebbe intenzione di farsi da parte tanto facilmente. E avrebbe dalla sua anche qualche sponsor politico. Tanto che nella giornata di ieri ha iniziato a circolare l’ipotesi che l’attuale amministratore delegato possa presentarsi con una sua lista appoggiata dai fondi alla prossima assemblea. Sarebbe un unicum nella storia delle nomine nelle partecipate statali. C’è poi da fare attenzione alle date. Innanzitutto, giovedì 13 ci sarà il comitato nomine di Cassa depositi e prestiti. Quindi il 14 aprile vanno presentate le liste di Terna, mentre lunedì 17 è la scadenza per quelle di Enel. A questo punto bisognerà aspettare l’assemblea di Enel, che si svolgerà in concomitanza con quella di Eni il prossimo 10 maggio. Lì bisognerà fare i conti dei voti. Il Mef può contare su un 25% di azioni, una quota che potrebbe non dare rassicurazioni al candidato del governo. A meno che altri azionisti, come Assogestioni, non decidano di convergere su un unico candidato e non su Starace. Tra le novità dell’ultima ora potrebbe arrivare la nomina a presidente di Poste di Paolo Scaroni (prenderebbe il posto di Maria Bianca Farina), attuale presidente del Milan, con un lungo passato nelle aziende statali, da Enel fino a Eni. Ancora incerti i nomi dei presidenti. Ieri per Leonardo sono circolate tramite agenzia indiscrezioni su una possibile nomina di Giuseppe Zafarana, il quale in caso lascerebbe entro poche settimana l’incarico di comandante generale della Gdf. Al suo posto il sottosegretario Alfredo Mantovano avrebbe suggerito il nome del generale Andrea De Gennaro, attuale comandate in seconda. Partite che vanno a incrociarsi e complicarsi.
Già non è stata una giornata semplice quella di ieri per Giorgia Meloni. Di prima mattina in Via XX Settembre sono stati ascoltati i cacciatori di teste scelti dal ministero dell’Economia, Spencer Stuart, Key2People ed Eric Salmon. Lì sono stati limati gli ultimi dubbi tecnici. Poi, nel pomeriggio, si è passati al tavolo politico, non senza qualche fibrillazione dentro la maggioranza. Non a caso, prima dell’inizio del consiglio dei ministri, è stata la Lega a farsi sentire sulle agenzie di stampa. Prima con Matteo Salvini che ha smentito di prima mattina le frizioni. «Chiuderemo in totale serenità». Anche se poi è stato il capogruppo Riccardo Molinari a confermare il malessere. «È chiaro che c’è massimo riserbo sulle scelte, ma è chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito a indicare i nomi a discapito degli altri». In ogni caso ieri a Palazzo Chigi è stato deliberato anche l’avvio della procedura per la nomina di Gabriella Alemanno e di Federico Cornelli a nuovi consiglieri della Consob. La Alemanno, sorella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, storico compagno di partito del premier, è stata direttore generale dell’Agenzia delle entrate sezione Campania. Cornelli, invece, arriva dall’Abi dove ricopriva la carica di responsabile delle relazioni istituzionali in Italia e in Europa. Ritorna in Consob dove era responsabile dell’analisi finanziaria sotto la presidenza di Lamberto Cardia.
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Il premier vuole l’uomo di Mario Draghi, gradito a Colle e Ue, come nuovo ad dell’azienda nonostante il no di Fi, Lega e i dubbi degli addetti ai lavori. Il rischio è che i concorrenti esteri si mangino l’ex Finmeccanica.Fuori Francesco Starace. Proseguono Stefano Donnarumma, Matteo Del Fante e Claudio Descalzi. Federico Cornelli e Gabriella Alemanno in Consob. Critico il salviniano Riccardo Molinari: «Bizzarro se un solo partito indica i nomi».Lo speciale contiene due articoli.Un pezzo di Roma ieri ha trascorso ore al telefono. In attesa che Palazzo Chigi, nello specifico Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, trovasse la quadra con i vertici di Lega e Forza Italia. Le nomine delle partecipate pubbliche sono state dunque al centro di messaggi e whatsapp più o meno interessati. È così a ogni partita di giro. Rumor, veline, indiscrezioni, tensioni. La differenza stavolta è che il tavolo di chi decide ha veramente poche seggiole. Per i giornalisti è molto più difficile avere informazioni. Al tempo stesso per i due partiti di maggioranza che affiancano Fratelli d’Italia la partita delle caselle è assai complicata. Infilare nomi in maglie molto strette è assai complicato. D’altra parte il metodo di Palazzo Chigi è attendere quasi l’ultimo per far trapelare il meno possibile. Con tali premesse la riunione di ieri ha sbloccato un po’ di scelte ma non è stata del tutto risolutiva. Confermati Claudio Descalzi, Matteo Del Fante e Stefano Donnarumma che dovrebbe lasciare Terna per Enel. Mancano ancora numerosi tasselli per chiudere gli incarichi di presidenza ed è quasi certo l’ingresso nel perimetro ristretto degli amministratori delegati il curriculum di Giuseppina di Foggia, ad di Nokia Italia. La frizione tra partiti e pezzi di Fdi si è però consumata su Leonardo. Inspiegabilmente. Da un lato, il nome di Lorenzo Mariani, sostenuto sicuramente da Guido Crosetto e da numerosi esponenti di Forza Italia e di Lega. Un figura che negli ultimi 30 anni ha scalato tutti i gradini del gruppo fino a ricoprire il ruolo di vertici di Mbda Italia, il colosso leader della missilistica. Insomma, un manager, non un politico e un nome conosciuto nel comparto della Difesa. Dall’altro lato, un nome che in molti avrebbero voluto cancellare dal taccuino: quello di Roberto Cingolani. Ex ministro del governo Draghi e attuale consigliere del Mase, membro del board del fondo innovazione della Nato, già direttore dell’istituto italiano di tecnologia e per diversi mesi direttore innovazioni della stessa Leonardo. Senza un trackrecord da manager o da esperto di finanza. Insomma, una partita che non si sarebbe nemmeno dovuta giocare. Invece, a quanto risulta, Giorgia Meloni si sarebbe impuntata. E l’ex ministro marcia verso la poltrona di Piazza Monte Grappa. Sarebbero stati proposti altri nomi, interni ed esterni. Ma nulla da fare. Cingolani sembra essere passato direttamente dall’ala protettrice di Mario Draghi a quella della Meloni con un occhio benevolente del Colle. Perché? Quale incantesimo è stato praticato al premier? Da mesi infatti i rumor romani raccontano che Cingolani è stato raccomandato dallo stesso Draghi per un ruolo di peso nella legislatura Meloni. Non potendo essere di nuovo ministro - sarebbe stato complicato spiegarlo agli elettori di Fdi - è stato tracciato un cerchio, preciso come con un compasso, in modo che all’interno finissero incarichi di peso. Perché mai un governo di centrodestra dovrebbe però accettare sollecitazioni da quello precedente a matrice Pd? La risposta potrebbe trovarsi in quella che più volte sulle colonne di questo giornale abbiamo chiamato transizione ordinata. Una sorta di passaggio di consegne tra Draghi e la Meloni che avrebbe consentito soprattutto nelle prime settimane l’avvio di un dialogo con l’Ue o meglio avrebbe impedito che da Bruxelles partissero subito siluri contro Fdi. Un ragionamento simile si può fare anche in queste ore sul tema del Pnrr. Basta vedere i numeri del Def per comprendere che i grandi investimenti ricadono tutti dentro il perimetro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Comprensibile che Palazzo Chigi voglia mettere al vertice delle partecipate tutte figure che consentano non solo di mettere a terra i progetti di competenza già approvati, ma anche di realizzarne di nuovi in sostituzione di quei cantieri che più che mai oggi risultano inutili. Insomma, una serie di spiegazioni logiche che però non risolvono nello specifico l’interrogativo sull’incantesimo. Perché Cingolani al vertice di Leonardo? Nessuno ha mai obiettato sulle sue capacità di fisico. Non a caso ha svolto un ottimo lavoro a Genova. Passato a Leonardo ha avuto ben pochi mesi per portare avanti nuovi progetti. Tant’è che nessun quadro o dirigente a oggi lo considera interno all’azienda. Da ministro, piaceva all’Ue, ma ha collezionato un po’ troppe gaffe e sul nucleare è stato a dir poco ondivago. In ogni caso è bene ribadire che il dicastero di sua competenza si occupava di energia e non di armi. Il tema infatti è tutto qui. Molti temono che una governance molto debole rappresenti per Leonardo il rischio di essere schiacciata tra un grande progetto della Difesa comune o l’altro. Insomma, temono uno spezzatino dell’azienda. Sarà interessante capire tra le grandi potenze chi lo sostenga. Se, come sembra non sono gli americani, restano forse i francesi. Il che, inutile dirlo, non è un buon segno. Significa che Thales è alle porte di Roma? Che Leonardo scivolerà fuori dal circuito del G7 della Difesa? Chi lo sa... 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In Enel la scelta sarebbe ricaduta su Stefano Donnarumma, che dovrebbe prendere il posto di Francesco Starace. In Terna, invece, dovrebbe arrivare come amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, attuale numero uno di Nokia Italia e considerata molto vicina al presidente del Consiglio. Sui destini di Enel e Terna, però, l’uso del condizionale è d’obbligo, perché ci sarebbero ancora malumori e questioni da risolvere. La nomina nel colosso dell’energia elettrica è stata una delle più dibattute in queste settimane, tanto da scomodare anche i pareri legali del professor Sabino Cassese e dell’Avvocatura dello Stato. È stata quest’ultima, verbalmente, a dare qualche giorno fa il via libera alla nomina di Donnarumma. Ma a quanto pare Starace non avrebbe intenzione di farsi da parte tanto facilmente. E avrebbe dalla sua anche qualche sponsor politico. Tanto che nella giornata di ieri ha iniziato a circolare l’ipotesi che l’attuale amministratore delegato possa presentarsi con una sua lista appoggiata dai fondi alla prossima assemblea. Sarebbe un unicum nella storia delle nomine nelle partecipate statali. C’è poi da fare attenzione alle date. Innanzitutto, giovedì 13 ci sarà il comitato nomine di Cassa depositi e prestiti. Quindi il 14 aprile vanno presentate le liste di Terna, mentre lunedì 17 è la scadenza per quelle di Enel. A questo punto bisognerà aspettare l’assemblea di Enel, che si svolgerà in concomitanza con quella di Eni il prossimo 10 maggio. Lì bisognerà fare i conti dei voti. Il Mef può contare su un 25% di azioni, una quota che potrebbe non dare rassicurazioni al candidato del governo. A meno che altri azionisti, come Assogestioni, non decidano di convergere su un unico candidato e non su Starace. Tra le novità dell’ultima ora potrebbe arrivare la nomina a presidente di Poste di Paolo Scaroni (prenderebbe il posto di Maria Bianca Farina), attuale presidente del Milan, con un lungo passato nelle aziende statali, da Enel fino a Eni. Ancora incerti i nomi dei presidenti. Ieri per Leonardo sono circolate tramite agenzia indiscrezioni su una possibile nomina di Giuseppe Zafarana, il quale in caso lascerebbe entro poche settimana l’incarico di comandante generale della Gdf. Al suo posto il sottosegretario Alfredo Mantovano avrebbe suggerito il nome del generale Andrea De Gennaro, attuale comandate in seconda. Partite che vanno a incrociarsi e complicarsi. Già non è stata una giornata semplice quella di ieri per Giorgia Meloni. Di prima mattina in Via XX Settembre sono stati ascoltati i cacciatori di teste scelti dal ministero dell’Economia, Spencer Stuart, Key2People ed Eric Salmon. Lì sono stati limati gli ultimi dubbi tecnici. Poi, nel pomeriggio, si è passati al tavolo politico, non senza qualche fibrillazione dentro la maggioranza. Non a caso, prima dell’inizio del consiglio dei ministri, è stata la Lega a farsi sentire sulle agenzie di stampa. Prima con Matteo Salvini che ha smentito di prima mattina le frizioni. «Chiuderemo in totale serenità». Anche se poi è stato il capogruppo Riccardo Molinari a confermare il malessere. «È chiaro che c’è massimo riserbo sulle scelte, ma è chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito a indicare i nomi a discapito degli altri». In ogni caso ieri a Palazzo Chigi è stato deliberato anche l’avvio della procedura per la nomina di Gabriella Alemanno e di Federico Cornelli a nuovi consiglieri della Consob. La Alemanno, sorella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, storico compagno di partito del premier, è stata direttore generale dell’Agenzia delle entrate sezione Campania. Cornelli, invece, arriva dall’Abi dove ricopriva la carica di responsabile delle relazioni istituzionali in Italia e in Europa. Ritorna in Consob dove era responsabile dell’analisi finanziaria sotto la presidenza di Lamberto Cardia.
Il meccanismo si applica guardando non a quando è stato pagato il riscatto, ma a quando si maturano i requisiti per l’uscita anticipata: nel 2031 non concorrono 6 mesi tra quelli riscattati; nel 2032 diventano 12; poi 18 nel 2033, 24 nel 2034, fino ad arrivare a 30 mesi nel 2035. La platea indicata è quella del riscatto della «laurea breve», richiamata anche come diplomi universitari della legge 341/1990. La conseguenza pratica è che il riscatto continua a «esistere» come contribuzione accreditata, ma diventa progressivamente molto meno efficace come acceleratore del requisito contributivo. Con una triennale piena (36 mesi) il taglio a regime dal 2035 (30 mesi) lascia, per l’anticipo del diritto, un vantaggio residuo di appena 6 mesi; nel 2031, invece, la sterilizzazione è limitata a 6 mesi e, quindi, restano utilizzabili 30 mesi su 36 per raggiungere prima la soglia. Il punto che rende la stretta economicamente esplosiva è che il costo del riscatto non viene rimodulato. Nel 2025, per il riscatto a costo agevolato, l’Inps indica come base il reddito minimo annuo di 18.555 euro e l’aliquota del 33%, da cui deriva un onere pari a 6.123,15 euro per ogni anno di corso riscattato (per le domande presentate nel 2025).
In altri termini: si continua a pagare secondo i parametri ordinari dell’istituto, ma una fetta crescente di quel «tempo comprato» smette di essere spendibile per andare prima in pensione con l’anticipata. La contestazione più immediata riguarda l’effetto «a scadenza»: chi ha già riscattato oggi, ma maturerà i requisiti dopo il 2030, potrebbe scoprire che una parte dei mesi riscattati non vale più come si aspettava per centrare prima l’uscita dalla vita lavorativa.
La norma, in realtà, è destinata a creare dibattito politico. «Non c’è nessunissima intenzione di alzare l’età pensionabile», ha detto il senatore della Lega. Claudio Borghi, «e meno che mai di scippare il riscatto della laurea. Le voci scritte in legge di bilancio sono semplici clausole di salvaguardia che qualche tecnico troppo zelante ha inserito per compensare un possibile futuro aumento dei pensionamenti anticipati, che la norma incentiva sfruttando la possibilità data dal sistema 64 anni più 25 di contributi inclusa la previdenza complementare. Quello che succederà in futuro verrà monitorato di anno in anno ma posso dire con assoluta certezza che non ci sarà mai alcun aumento delle finestre di uscita o alcuno scippo dei riscatti della laurea a seguito di questa norma». «In assenza di intervento immediato del governo, noi sicuramente presenteremo emendamenti», conclude il leghista. A spazzare via ogni dubbio ci ha pensato il premier, Giorgia Meloni: «Nessuno che abbia riscattato la laurea vedra’ cambiata la sua situazione, la modifica varra’ per il futuro, in questo senso l’emendamento deve essere corretto» a detto in Senato.
Dal canto suo, il segretario del Pd, Elly Schlein, alla Camera, ha subito dichiarato la sua contrarietà all’emendamento. «Ieri (due giorni fa, ndr) avete riscritto la manovra e con una sola mossa fate una stangata sulle pensioni che è un furto sia ai giovani che agli anziani. È una vergogna prendervi i soldi di chi ha già pagato per riscattare la laurea: è un’altra manovra di promesse tradite. Dovevate abolire la Fornero e invece allungate l’età pensionabile a tutti. Non ci provate, non ve lo permetteremo».
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(IStock)
Novità anche per l’attività delle forze dell’ordine. Un emendamento riformulato dal governo prevede che anche gli interventi di soccorso promossi da polizia e carabinieri, a partire dal prossimo anno, andranno «rimborsati» se risulteranno non «giustificati», ovvero se dietro sarà rinvenuta l’ombra del dolo o della colpa grave di chi è stato soccorso. La stretta era stata già prevista nel testo uscito dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre ma era limitata a uomini e mezzi della Guardia di finanza, ora con questa proposta di modifica viene estesa agli interventi effettuati dagli altri due corpi. Dal 2026 la richiesta di aiuto che verrà rivolta a polizia di Stato e Arma dei carabinieri, impegnati nel soccorso alpino e in quello in mare, andrà giustificata e motivata. E se non ci sarà una motivazione adeguata e reale la ricerca, il soccorso e il salvataggio in montagna o in mare diventeranno tutte operazioni a pagamento. Non solo. Il contributo sarà dovuto anche da chi procura, per dolo o colpa grave, un incidente o un evento che richiede l’impiego di uomini e mezzi appartenenti alla polizia di Stato e all’Arma. L’importo sarà stabilito con decreti dal ministro dell’Interno e da quello della Difesa, di concerto con l’Economia. L’emendamento precisa, infine, che «il corrispettivo è dovuto qualora l’evento per il quale è stato effettuato l’intervento sia imputabile a dolo o colpa grave dell’agente».
Nessuna novità, invece, per maggiori fondi, che restano rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura d’infrazione. I sindacati di polizia continuano a martellare l’esecutivo dicendo che «per il governo la sicurezza è uno slogan adatto ai discorsi pubblici ma non è una priorità quando si tratta di mettere in campo risorse concrete». In una lettera inviata da Sap, Coisp-Mosap, Fsp Polizia, Silp-Cgil al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si attacca «l’ipotesi di un innalzamento dell’età pensionabile, inaccettabile per chi ha trascorso una vita professionale tra rischi e responsabilità enormi e si pretende di allungare ulteriormente la carriera dei poliziotti senza alcun confronto con i sindacati». Per i sindacati è anche «grave, lo stanziamento simbolico di appena 20 milioni di euro per la previdenza dedicata. Una cifra che condanna molti a pensioni indegne dopo una vita spesa al servizio dello Stato».
Intanto hanno avuto il via libera in commissione Bilancio una serie di modifiche alla manovra sui temi di interesse comune alla maggioranza e all’opposizione in materia di enti locali e calamità naturali. In totale sono 64 gli emendamenti. Tra questi, la possibilità di assumere a tempo indeterminato il personale in servizio presso gli Uffici speciali per la ricostruzione e che abbia maturato almeno tre anni di servizio. Arriva anche un contributo di 2,5 milioni per il 2026 per il disagio abitativo finalizzato alla ricostruzione per i territori colpiti dai terremoti in Marche e Umbria.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato i maggiori fondi per la sanità. «Sul fronte del personale», ha detto, ci sono degli aumenti importanti e delle assunzioni aggiuntive. Le Regioni possono assumere con il Fondo sanitario nazionale che viene ripartito tra di loro».
Soddisfatto il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani. La manovra, infatti, contiene +7,4 miliardi per il Fondo sanitario nazionale e un ulteriore +0,1% che consente di far scendere il payback a carico delle aziende farmaceutiche. «Il segnale è ampiamente positivo», ha commentato Cattani.
Intanto ieri alla Camera, nel dibattito sulle comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo, c’è stato un botta e risposta tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e Meloni. Tema: le tasse e la manovra. «La pressione fiscale sale perché sale il gettito fiscale certo anche grazie al fatto che oggi lavora un milione di persone in più che pagano le tasse», ha detto il premier. E a fronte del rumoreggiamento dell’Aula, ha incalzato: «Se volete facciamo un simposio ma siccome siamo in Parlamento le cose o si dicono come stanno o si studia».
Ma per Schlein «le tasse aumentano per il drenaggio fiscale». Il premier ha, poi, ribadito che la manovra «è seria» e che «l’Italia ha ampiamente pagato in termini reputazionali, e non solo, le allegre politiche degli anni passati».
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