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2023-04-12
Incantesimo di Cingolani sulla Meloni. L’ex ministro corre verso Leonardo
Roberto Cingolani (Ansa)
Un pezzo di Roma ieri ha trascorso ore al telefono. In attesa che Palazzo Chigi, nello specifico Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, trovasse la quadra con i vertici di Lega e Forza Italia. Le nomine delle partecipate pubbliche sono state dunque al centro di messaggi e whatsapp più o meno interessati. È così a ogni partita di giro. Rumor, veline, indiscrezioni, tensioni. La differenza stavolta è che il tavolo di chi decide ha veramente poche seggiole. Per i giornalisti è molto più difficile avere informazioni. Al tempo stesso per i due partiti di maggioranza che affiancano Fratelli d’Italia la partita delle caselle è assai complicata. Infilare nomi in maglie molto strette è assai complicato. D’altra parte il metodo di Palazzo Chigi è attendere quasi l’ultimo per far trapelare il meno possibile. Con tali premesse la riunione di ieri ha sbloccato un po’ di scelte ma non è stata del tutto risolutiva. Confermati Claudio Descalzi, Matteo Del Fante e Stefano Donnarumma che dovrebbe lasciare Terna per Enel. Mancano ancora numerosi tasselli per chiudere gli incarichi di presidenza ed è quasi certo l’ingresso nel perimetro ristretto degli amministratori delegati il curriculum di Giuseppina di Foggia, ad di Nokia Italia. La frizione tra partiti e pezzi di Fdi si è però consumata su Leonardo. Inspiegabilmente. Da un lato, il nome di Lorenzo Mariani, sostenuto sicuramente da Guido Crosetto e da numerosi esponenti di Forza Italia e di Lega. Un figura che negli ultimi 30 anni ha scalato tutti i gradini del gruppo fino a ricoprire il ruolo di vertici di Mbda Italia, il colosso leader della missilistica. Insomma, un manager, non un politico e un nome conosciuto nel comparto della Difesa. Dall’altro lato, un nome che in molti avrebbero voluto cancellare dal taccuino: quello di Roberto Cingolani. Ex ministro del governo Draghi e attuale consigliere del Mase, membro del board del fondo innovazione della Nato, già direttore dell’istituto italiano di tecnologia e per diversi mesi direttore innovazioni della stessa Leonardo. Senza un trackrecord da manager o da esperto di finanza. Insomma, una partita che non si sarebbe nemmeno dovuta giocare. Invece, a quanto risulta, Giorgia Meloni si sarebbe impuntata. E l’ex ministro marcia verso la poltrona di Piazza Monte Grappa. Sarebbero stati proposti altri nomi, interni ed esterni. Ma nulla da fare. Cingolani sembra essere passato direttamente dall’ala protettrice di Mario Draghi a quella della Meloni con un occhio benevolente del Colle. Perché? Quale incantesimo è stato praticato al premier? Da mesi infatti i rumor romani raccontano che Cingolani è stato raccomandato dallo stesso Draghi per un ruolo di peso nella legislatura Meloni. Non potendo essere di nuovo ministro - sarebbe stato complicato spiegarlo agli elettori di Fdi - è stato tracciato un cerchio, preciso come con un compasso, in modo che all’interno finissero incarichi di peso. Perché mai un governo di centrodestra dovrebbe però accettare sollecitazioni da quello precedente a matrice Pd? La risposta potrebbe trovarsi in quella che più volte sulle colonne di questo giornale abbiamo chiamato transizione ordinata. Una sorta di passaggio di consegne tra Draghi e la Meloni che avrebbe consentito soprattutto nelle prime settimane l’avvio di un dialogo con l’Ue o meglio avrebbe impedito che da Bruxelles partissero subito siluri contro Fdi. Un ragionamento simile si può fare anche in queste ore sul tema del Pnrr. Basta vedere i numeri del Def per comprendere che i grandi investimenti ricadono tutti dentro il perimetro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Comprensibile che Palazzo Chigi voglia mettere al vertice delle partecipate tutte figure che consentano non solo di mettere a terra i progetti di competenza già approvati, ma anche di realizzarne di nuovi in sostituzione di quei cantieri che più che mai oggi risultano inutili.
Insomma, una serie di spiegazioni logiche che però non risolvono nello specifico l’interrogativo sull’incantesimo. Perché Cingolani al vertice di Leonardo? Nessuno ha mai obiettato sulle sue capacità di fisico. Non a caso ha svolto un ottimo lavoro a Genova. Passato a Leonardo ha avuto ben pochi mesi per portare avanti nuovi progetti. Tant’è che nessun quadro o dirigente a oggi lo considera interno all’azienda. Da ministro, piaceva all’Ue, ma ha collezionato un po’ troppe gaffe e sul nucleare è stato a dir poco ondivago. In ogni caso è bene ribadire che il dicastero di sua competenza si occupava di energia e non di armi. Il tema infatti è tutto qui. Molti temono che una governance molto debole rappresenti per Leonardo il rischio di essere schiacciata tra un grande progetto della Difesa comune o l’altro. Insomma, temono uno spezzatino dell’azienda. Sarà interessante capire tra le grandi potenze chi lo sostenga. Se, come sembra non sono gli americani, restano forse i francesi. Il che, inutile dirlo, non è un buon segno. Significa che Thales è alle porte di Roma? Che Leonardo scivolerà fuori dal circuito del G7 della Difesa? Chi lo sa... Però barattare pezzi di Pnrr per la storia della vecchia Finmeccanica non è una grande strategia.
Tensioni: metà manager confermati
C’è il rischio che la partita sulle nomine nelle partecipate statali si trascini ancora un po’, ma ieri sera, mentre La Verità andava in stampa, il Consiglio dei ministri ha dato un colpo secco per chiudere la quadra sugli amministratori delegati di Eni, Enel, Leonardo, Poste e Terna. Claudio Descalzi sarà confermato in Eni, così come Matteo Del Fante in Poste, mentre Roberto Cingolani si avvia verso Leonardo per prendere il posto di Alessandro Profumo. In Enel la scelta sarebbe ricaduta su Stefano Donnarumma, che dovrebbe prendere il posto di Francesco Starace. In Terna, invece, dovrebbe arrivare come amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, attuale numero uno di Nokia Italia e considerata molto vicina al presidente del Consiglio.
Sui destini di Enel e Terna, però, l’uso del condizionale è d’obbligo, perché ci sarebbero ancora malumori e questioni da risolvere. La nomina nel colosso dell’energia elettrica è stata una delle più dibattute in queste settimane, tanto da scomodare anche i pareri legali del professor Sabino Cassese e dell’Avvocatura dello Stato. È stata quest’ultima, verbalmente, a dare qualche giorno fa il via libera alla nomina di Donnarumma. Ma a quanto pare Starace non avrebbe intenzione di farsi da parte tanto facilmente. E avrebbe dalla sua anche qualche sponsor politico. Tanto che nella giornata di ieri ha iniziato a circolare l’ipotesi che l’attuale amministratore delegato possa presentarsi con una sua lista appoggiata dai fondi alla prossima assemblea. Sarebbe un unicum nella storia delle nomine nelle partecipate statali. C’è poi da fare attenzione alle date. Innanzitutto, giovedì 13 ci sarà il comitato nomine di Cassa depositi e prestiti. Quindi il 14 aprile vanno presentate le liste di Terna, mentre lunedì 17 è la scadenza per quelle di Enel. A questo punto bisognerà aspettare l’assemblea di Enel, che si svolgerà in concomitanza con quella di Eni il prossimo 10 maggio. Lì bisognerà fare i conti dei voti. Il Mef può contare su un 25% di azioni, una quota che potrebbe non dare rassicurazioni al candidato del governo. A meno che altri azionisti, come Assogestioni, non decidano di convergere su un unico candidato e non su Starace. Tra le novità dell’ultima ora potrebbe arrivare la nomina a presidente di Poste di Paolo Scaroni (prenderebbe il posto di Maria Bianca Farina), attuale presidente del Milan, con un lungo passato nelle aziende statali, da Enel fino a Eni. Ancora incerti i nomi dei presidenti. Ieri per Leonardo sono circolate tramite agenzia indiscrezioni su una possibile nomina di Giuseppe Zafarana, il quale in caso lascerebbe entro poche settimana l’incarico di comandante generale della Gdf. Al suo posto il sottosegretario Alfredo Mantovano avrebbe suggerito il nome del generale Andrea De Gennaro, attuale comandate in seconda. Partite che vanno a incrociarsi e complicarsi.
Già non è stata una giornata semplice quella di ieri per Giorgia Meloni. Di prima mattina in Via XX Settembre sono stati ascoltati i cacciatori di teste scelti dal ministero dell’Economia, Spencer Stuart, Key2People ed Eric Salmon. Lì sono stati limati gli ultimi dubbi tecnici. Poi, nel pomeriggio, si è passati al tavolo politico, non senza qualche fibrillazione dentro la maggioranza. Non a caso, prima dell’inizio del consiglio dei ministri, è stata la Lega a farsi sentire sulle agenzie di stampa. Prima con Matteo Salvini che ha smentito di prima mattina le frizioni. «Chiuderemo in totale serenità». Anche se poi è stato il capogruppo Riccardo Molinari a confermare il malessere. «È chiaro che c’è massimo riserbo sulle scelte, ma è chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito a indicare i nomi a discapito degli altri». In ogni caso ieri a Palazzo Chigi è stato deliberato anche l’avvio della procedura per la nomina di Gabriella Alemanno e di Federico Cornelli a nuovi consiglieri della Consob. La Alemanno, sorella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, storico compagno di partito del premier, è stata direttore generale dell’Agenzia delle entrate sezione Campania. Cornelli, invece, arriva dall’Abi dove ricopriva la carica di responsabile delle relazioni istituzionali in Italia e in Europa. Ritorna in Consob dove era responsabile dell’analisi finanziaria sotto la presidenza di Lamberto Cardia.
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Il premier vuole l’uomo di Mario Draghi, gradito a Colle e Ue, come nuovo ad dell’azienda nonostante il no di Fi, Lega e i dubbi degli addetti ai lavori. Il rischio è che i concorrenti esteri si mangino l’ex Finmeccanica.Fuori Francesco Starace. Proseguono Stefano Donnarumma, Matteo Del Fante e Claudio Descalzi. Federico Cornelli e Gabriella Alemanno in Consob. Critico il salviniano Riccardo Molinari: «Bizzarro se un solo partito indica i nomi».Lo speciale contiene due articoli.Un pezzo di Roma ieri ha trascorso ore al telefono. In attesa che Palazzo Chigi, nello specifico Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, trovasse la quadra con i vertici di Lega e Forza Italia. Le nomine delle partecipate pubbliche sono state dunque al centro di messaggi e whatsapp più o meno interessati. È così a ogni partita di giro. Rumor, veline, indiscrezioni, tensioni. La differenza stavolta è che il tavolo di chi decide ha veramente poche seggiole. Per i giornalisti è molto più difficile avere informazioni. Al tempo stesso per i due partiti di maggioranza che affiancano Fratelli d’Italia la partita delle caselle è assai complicata. Infilare nomi in maglie molto strette è assai complicato. D’altra parte il metodo di Palazzo Chigi è attendere quasi l’ultimo per far trapelare il meno possibile. Con tali premesse la riunione di ieri ha sbloccato un po’ di scelte ma non è stata del tutto risolutiva. Confermati Claudio Descalzi, Matteo Del Fante e Stefano Donnarumma che dovrebbe lasciare Terna per Enel. Mancano ancora numerosi tasselli per chiudere gli incarichi di presidenza ed è quasi certo l’ingresso nel perimetro ristretto degli amministratori delegati il curriculum di Giuseppina di Foggia, ad di Nokia Italia. La frizione tra partiti e pezzi di Fdi si è però consumata su Leonardo. Inspiegabilmente. Da un lato, il nome di Lorenzo Mariani, sostenuto sicuramente da Guido Crosetto e da numerosi esponenti di Forza Italia e di Lega. Un figura che negli ultimi 30 anni ha scalato tutti i gradini del gruppo fino a ricoprire il ruolo di vertici di Mbda Italia, il colosso leader della missilistica. Insomma, un manager, non un politico e un nome conosciuto nel comparto della Difesa. Dall’altro lato, un nome che in molti avrebbero voluto cancellare dal taccuino: quello di Roberto Cingolani. Ex ministro del governo Draghi e attuale consigliere del Mase, membro del board del fondo innovazione della Nato, già direttore dell’istituto italiano di tecnologia e per diversi mesi direttore innovazioni della stessa Leonardo. Senza un trackrecord da manager o da esperto di finanza. Insomma, una partita che non si sarebbe nemmeno dovuta giocare. Invece, a quanto risulta, Giorgia Meloni si sarebbe impuntata. E l’ex ministro marcia verso la poltrona di Piazza Monte Grappa. Sarebbero stati proposti altri nomi, interni ed esterni. Ma nulla da fare. Cingolani sembra essere passato direttamente dall’ala protettrice di Mario Draghi a quella della Meloni con un occhio benevolente del Colle. Perché? Quale incantesimo è stato praticato al premier? Da mesi infatti i rumor romani raccontano che Cingolani è stato raccomandato dallo stesso Draghi per un ruolo di peso nella legislatura Meloni. Non potendo essere di nuovo ministro - sarebbe stato complicato spiegarlo agli elettori di Fdi - è stato tracciato un cerchio, preciso come con un compasso, in modo che all’interno finissero incarichi di peso. Perché mai un governo di centrodestra dovrebbe però accettare sollecitazioni da quello precedente a matrice Pd? La risposta potrebbe trovarsi in quella che più volte sulle colonne di questo giornale abbiamo chiamato transizione ordinata. Una sorta di passaggio di consegne tra Draghi e la Meloni che avrebbe consentito soprattutto nelle prime settimane l’avvio di un dialogo con l’Ue o meglio avrebbe impedito che da Bruxelles partissero subito siluri contro Fdi. Un ragionamento simile si può fare anche in queste ore sul tema del Pnrr. Basta vedere i numeri del Def per comprendere che i grandi investimenti ricadono tutti dentro il perimetro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Comprensibile che Palazzo Chigi voglia mettere al vertice delle partecipate tutte figure che consentano non solo di mettere a terra i progetti di competenza già approvati, ma anche di realizzarne di nuovi in sostituzione di quei cantieri che più che mai oggi risultano inutili. Insomma, una serie di spiegazioni logiche che però non risolvono nello specifico l’interrogativo sull’incantesimo. Perché Cingolani al vertice di Leonardo? Nessuno ha mai obiettato sulle sue capacità di fisico. Non a caso ha svolto un ottimo lavoro a Genova. Passato a Leonardo ha avuto ben pochi mesi per portare avanti nuovi progetti. Tant’è che nessun quadro o dirigente a oggi lo considera interno all’azienda. Da ministro, piaceva all’Ue, ma ha collezionato un po’ troppe gaffe e sul nucleare è stato a dir poco ondivago. In ogni caso è bene ribadire che il dicastero di sua competenza si occupava di energia e non di armi. Il tema infatti è tutto qui. Molti temono che una governance molto debole rappresenti per Leonardo il rischio di essere schiacciata tra un grande progetto della Difesa comune o l’altro. Insomma, temono uno spezzatino dell’azienda. Sarà interessante capire tra le grandi potenze chi lo sostenga. Se, come sembra non sono gli americani, restano forse i francesi. Il che, inutile dirlo, non è un buon segno. Significa che Thales è alle porte di Roma? Che Leonardo scivolerà fuori dal circuito del G7 della Difesa? Chi lo sa... 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In Enel la scelta sarebbe ricaduta su Stefano Donnarumma, che dovrebbe prendere il posto di Francesco Starace. In Terna, invece, dovrebbe arrivare come amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, attuale numero uno di Nokia Italia e considerata molto vicina al presidente del Consiglio. Sui destini di Enel e Terna, però, l’uso del condizionale è d’obbligo, perché ci sarebbero ancora malumori e questioni da risolvere. La nomina nel colosso dell’energia elettrica è stata una delle più dibattute in queste settimane, tanto da scomodare anche i pareri legali del professor Sabino Cassese e dell’Avvocatura dello Stato. È stata quest’ultima, verbalmente, a dare qualche giorno fa il via libera alla nomina di Donnarumma. Ma a quanto pare Starace non avrebbe intenzione di farsi da parte tanto facilmente. E avrebbe dalla sua anche qualche sponsor politico. Tanto che nella giornata di ieri ha iniziato a circolare l’ipotesi che l’attuale amministratore delegato possa presentarsi con una sua lista appoggiata dai fondi alla prossima assemblea. Sarebbe un unicum nella storia delle nomine nelle partecipate statali. C’è poi da fare attenzione alle date. Innanzitutto, giovedì 13 ci sarà il comitato nomine di Cassa depositi e prestiti. Quindi il 14 aprile vanno presentate le liste di Terna, mentre lunedì 17 è la scadenza per quelle di Enel. A questo punto bisognerà aspettare l’assemblea di Enel, che si svolgerà in concomitanza con quella di Eni il prossimo 10 maggio. Lì bisognerà fare i conti dei voti. Il Mef può contare su un 25% di azioni, una quota che potrebbe non dare rassicurazioni al candidato del governo. A meno che altri azionisti, come Assogestioni, non decidano di convergere su un unico candidato e non su Starace. Tra le novità dell’ultima ora potrebbe arrivare la nomina a presidente di Poste di Paolo Scaroni (prenderebbe il posto di Maria Bianca Farina), attuale presidente del Milan, con un lungo passato nelle aziende statali, da Enel fino a Eni. Ancora incerti i nomi dei presidenti. Ieri per Leonardo sono circolate tramite agenzia indiscrezioni su una possibile nomina di Giuseppe Zafarana, il quale in caso lascerebbe entro poche settimana l’incarico di comandante generale della Gdf. Al suo posto il sottosegretario Alfredo Mantovano avrebbe suggerito il nome del generale Andrea De Gennaro, attuale comandate in seconda. Partite che vanno a incrociarsi e complicarsi. Già non è stata una giornata semplice quella di ieri per Giorgia Meloni. Di prima mattina in Via XX Settembre sono stati ascoltati i cacciatori di teste scelti dal ministero dell’Economia, Spencer Stuart, Key2People ed Eric Salmon. Lì sono stati limati gli ultimi dubbi tecnici. Poi, nel pomeriggio, si è passati al tavolo politico, non senza qualche fibrillazione dentro la maggioranza. Non a caso, prima dell’inizio del consiglio dei ministri, è stata la Lega a farsi sentire sulle agenzie di stampa. Prima con Matteo Salvini che ha smentito di prima mattina le frizioni. «Chiuderemo in totale serenità». Anche se poi è stato il capogruppo Riccardo Molinari a confermare il malessere. «È chiaro che c’è massimo riserbo sulle scelte, ma è chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito a indicare i nomi a discapito degli altri». In ogni caso ieri a Palazzo Chigi è stato deliberato anche l’avvio della procedura per la nomina di Gabriella Alemanno e di Federico Cornelli a nuovi consiglieri della Consob. La Alemanno, sorella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, storico compagno di partito del premier, è stata direttore generale dell’Agenzia delle entrate sezione Campania. Cornelli, invece, arriva dall’Abi dove ricopriva la carica di responsabile delle relazioni istituzionali in Italia e in Europa. Ritorna in Consob dove era responsabile dell’analisi finanziaria sotto la presidenza di Lamberto Cardia.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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