
Il vescovo di Langres, esponente della conferenza episcopale, ha indicato le nuove direttive. Per adeguarsi alle unioni omosex, nei documenti basta «padre» e «madre».A oltre 50 anni dal 1968 e a quasi mezzo secolo dalla fine dell'ultimo Concilio ecumenico (1965), la comunità cattolica occidentale è ancora alle prese con il periodico e diuturno «aggiornamento pastorale». Mentre in Germania sono i vescovi stessi a fagocitare i prodromi per una chiesa nazionale tedesca, quindi etnicamente fondata, e mentre i teologi progressisti di Concilium parlano apertamente di un «Gesù queer», in Francia alcune autorità ecclesiastiche vogliono delle modifiche perfino nei certificati di battesimo. Rendendoli assai più gender neutral di quanto non fossero finora.È quanto il teologo e giornalista Claude Barthe rivela e dimostra sul periodico Res novae di dicembre. «In effetti», scrive don Barthe, «monsignor de Metz-Noblat, vescovo di Langres, e presidente del Consiglio per le questioni canoniche della Conferenza episcopale francese, con la lettera del 13 dicembre […] ha appena indirizzato ai vescovi un nuovo formulario per gli atti di battesimo». La notizia sarebbe poco meno che anodina se la ratio legis della nuova disposizione non fosse una sorta di adeguamento dell'amministrazione ecclesiale su quella civile francese, che da tempo ormai - in nome delle diversità e della lotta all'omofobia - ha rimpiazzato nei documenti i termini tradizionali di padre e madre con il più vago genitori o titolari della genitorialità (o della parentalità).Nella lettera del presule Joseph de Metz-Noblat ai vescovi gallici, con cui si accompagna il nuovo formulario del battesimo la questione, pur con ostentata delicatezza, è infatti messa nero su bianco. Così, considerando «la situazione sempre più complessa delle famiglie in Francia» - modo pudico per parlare dei matrimoni gay legalizzati nel 2013 (con adozione di minori) - e il fatto che giustamente «i bambini non sono responsabili della situazione dei genitori», urge cambiare linguaggio, per evitare ipotetiche discriminazioni e ricorsi. «Facendo una semplice costatazione della situazione familiare, senza portare un giudizio morale».In pratica se nei tradizionali formulari del battezzando Pierre, vi erano indicati i nomi del padre Jean e della madre Marie (oltre che del padrino e della madrina), ora il testo indica laconicamente di riportare «il nome dei genitori o degli altri titolari dell'autorità parentale».Piccoli dettagli? A prima vista, forse sì. Ma sono cambiamenti che iscrivono le nuove discutibili concezioni della famiglia nella durata e nei costumi. Non si dica allora che la questione dei matrimoni gay riguarda solo i gay e che quindi i non gay debbano restare muti e indifferenti alle evoluzioni (involuzioni) del diritto. Ora, quasi per una improvvida nemesi storica, sembra che per dialogare con il mondo e non essergli pregiudizialmente ostile, la Chiesa e il cattolico debbano accettare tutto, senza alcuna eccezione. Ma accettando tutto ciò che esiste e fa tendenza, proprio perché esiste e fa tendenza, quale contributo si dà al senso critico e alla riflessione politica e morale? Zero assoluto.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





