2024-03-11
«In Cina inizia l’anno del Drago. E l’Europa dovrebbe temerlo»
Gianclaudio Torlizzi (Imagoeconomica)
L’esperto Gianclaudio Torlizzi: «Sbagliato sottovalutare i simboli. Xi sta convertendo l’economia dall’edilizia all’energia e bloccherà l’export di materie prime. Subiremo uno choc inflazionistico».Gianclaudio Torlizzi è uno dei maggiori esperti in Italia di materie prime. Negli anni ha fondato la sua società di consulenza, T-Commodity, ha scritto testi sull’argomento, è membro del Comitato Scientifico del Policy observatory della Luiss (si formulano proposte sui processi decisionali) ed attualmente è consigliere del ministro della Difesa Guido Crosetto. Spesso twitta. Messaggi spot, il social ha questo scopo, che danno però spunti di riflessione. Come il cinguettio con il quale metteva in guardia dai rischi che l’anno del Drago in Cina avrebbe potuto comportare per l’Occidente. La contrapposizione Cina-Occidente rientra tra i temi che più ci appassionano. Come non approfondire. Torlizzi, corriamo il rischio di essere fagocitati dal Drago?«Nel mio messaggio volevo mettere in guardia rispetto alla scarsa comprensione di simboli e tradizioni che in Cina hanno un grande significato».Il Drago cosa simboleggia?«Secondo lo zodiaco cinese sono 12 gli animali che ruotano e questo è l’anno del drago, appunto, un essere soprannaturale che rappresenta onore, successo, fortuna ed è anche collegato a uno dei cinque elementi: legno, acqua, terra, metallo e fuoco. A ciascuno di questi elementi è associata una personalità. Questo quindi non è solo l’anno del drago, ma è l’anno del drago nel legno. E non è finita. C’è una terza combinazione metafisica: per le regole del Feng shui (filosofia orientale) nel 2024 parte anche il ventennio del fuoco. Insomma, secondo l’astrologia cinese stiamo vivendo l’anno del drago di legno che prende fuoco».Tutto ciò per l’Occidente cosa potrebbe significare? «Dal punto di vista del governo di Pechino vuol dire economia in grande espansione con strategie e decisioni dettate spesso da impulsività e volatilità». Scendendo dalle stelle abbiamo riscontri pratici rispetto a quello che ci dice l’astrologia orientale?«Noi stiamo assistendo, non da adesso, al passaggio del sistema economico cinese da un modello strettamente legato ad edilizia e costruzioni a uno che punta tutto sull’energia. Pechino diventerà il primo produttore mondiale di energia nucleare. A Pechino non manca nulla (materie prime, know how sufficiente e regolamentazione flessibile) per diventare leader di settori ad alto valore aggiunto come quello delle auto elettriche. E soprattutto Pechino continuerà a spingere tutto ciò che è legato all’energia (anche attraverso il massiccio uso del carbone) con grandi investimenti. Del resto, il passaggio dall’edilizia all’energia garantisce al presidente Xi Jinping di avere maggiore controllo sugli imprenditori che inevitabilmente beneficeranno di questa strategia. Con l’edilizia, in alcuni casi erano diventati troppo autonomi». A proposito dei massicci investimenti del governo cinese, sembra che l’Europa si sia improvvisamente svegliata e che da luglio possano partire i dazi sulle auto elettriche cinesi che ricevono forti sovvenzioni pubbliche. Troppo tardi?«Meglio tardi che mai, poi però bisogna essere pronti a subire le ritorsioni. Loro hanno le materie prime e non hanno grandi problemi a bloccare o limitare le esportazioni di metalli per noi fondamentali. È già successo con gallio e germanio che sono indispensabili per il comparto della difesa». Il Drago sta già fagocitando l’Europa?«La Commissione Ue non ha voluto adattare le politiche climatiche al contesto di caos nel quale ci troviamo. Le politiche climatiche sono state impostate senza avere contezza quello che stava succedendo nella filiera mineraria. Chi governa l’Europa non ha considerato che non esiste elettrificazione senza un uso massiccio di minerali ed ha indicato obiettivi di decarbonizzazione irraggiungibili. Dopo anni si sono resi conto, appunto, che in mancanza di materie prime quei target diventano irrealistici». Come si spiega errori così grossolani di valutazione?«La realtà è che l’Europa non è altro che una piattaforma dove le lobby più efficienti riescono a imporre le loro politiche che ovviamente tengono conto degli interessi delle singole categorie e non di quelli degli europei».Resta la sponda degli Stati Uniti che sono in lotta con la Cina. «Anche su questo versante la vedo nera. Sia che torni Trump sia che resti Biden, l’America amplificherà le sue politiche protezionistiche proprio in contrapposizione a Pechino. Bruxelles se non cambia completamente registro resterà schiacciata».Cosa vuol dire cambiare registro?«Vuol dire rendersi conto che se non hai le materie prime parti sconfitto. E quindi bisogna mettere in atto politiche e strategie che aumentino produzione e capacità di approvvigionamento minerario o almeno comportino una minore dipendenza dalla Cina». Vede consapevolezza di questo a Bruxelles? Le prossime elezioni possono rappresentare un punto di svolta?«Il mio timore è che non sia sufficiente il voto, che non bastino gli errori commessi da questi commissari, purtroppo temo sia necessario un grande choc per far capire che a Bruxelles bisogna completamente cambiare approccio. Siamo ancora alla guerriglia tra i Paesi. Tavoli su tavoli per parlare delle materie prime critiche, ma pochissime decisioni concrete. Eppure una politica seria sulle commodity richiede anni prima di arrivare a dei risultati». Quando parla di choc a cosa fa riferimento?«Il 2025 rischia di essere l’anno di un grande choc inflazionistico per l’Europa a causa della combinazione di tre fattori: nuovo ciclo rialzista sui prezzi delle materie prime, dazi contro la Cina da parte degli Stati Uniti e blocco totale del canale di Suez».Nuovi aumenti dei prezzi?«Certo, oggi l’inflazione è in calo per la drastica riduzione degli ordini. Il manifatturiero è bloccato. Una situazione che non potrà andare avanti per molto tempo. Ci sono poi dei grandi driver di consumo di metalli, pensi solo all’intelligenza artificiale che richiederà entro il 2030 circa 2 milioni di tonnellate di rame all’anno». Lei ritiene che gli attacchi degli Huthi modificheranno le rotte del commercio internazionale?«La crisi del Mar Rosso è destinata a perdurare per molto tempo: quando hai degli attacchi asimmetrici condotti con droni a basso costo è molto complicato contrastarli e quindi a cascata saremo costretti a modificare completamente le catene di approvvigionamento con il periplo dell’Africa che diventerà un rotta sempre più frequentata».Siamo destinati a schiantarci contro un nuovo choc inflazionistico o possiamo fare ancora qualcosa?«Credo sia impossibile invertire in un anno questa tendenza. L’Europa dovrebbe investire massicciamente in semiconduttori, ma le strategie al momento sono lasciate ai singoli Paesi che non hanno ovviamente queste capacità di spesa. La verità è che la Bce dovrebbe aggiornare la sua missione, l’emissione di bond non basta, servono ingenti finanziamenti nei settori davvero strategici. Il prossimo choc inflazionistico rischia di mandare l’Europa gambe all’aria». L’Africa può essere una soluzione?«Certo, ma è necessario un coordinamento per cercare in Africa quei minerali di cui stiamo parlando. Faccio riferimento a un approccio costruttivo e non certo di conquista, oggi però mi sembra che non si vada in questa direzione. Per capirci, è quello che l’Italia in qualche maniera sta provando a fare con il piano Mattei». L’Italia appunto. Si è parlato di un secondo produttore d’auto elettriche cinese. Le sembra una buona idea?«A me non sembra sia una buona idea in generale inseguire le case automobilistiche europee nella follia dell’auto elettrica per tutti. Credo sia uno sbaglio e uno spreco di soldi e visto che le disponibilità che abbiamo non sono certo infinite farei una selezione». Perché boccia l’auto elettrica?«Per motivi pratici: non credo che le auto elettriche abbiano quelle prospettive di mercato che venivano pronosticate e indicate come realistiche. Non lo dico io, ma basta leggere i numeri per rendersene conto ed è sufficiente guardare le scelte delle varie multinazionali che stanno riducendo la realizzazione dei nuovi modelli. A prescindere dal fatto che la nuova casa produttrice sia cinese o che sia possibile l’arrivo di Tesla, il punto è che rischiamo di trovarci con due Stellantis da sovvenzionare. Il discorso è sempre lo stesso, in mancanza di materie prime l’investimento massivo nell’elettrico è insostenibile».Dove dovremmo quindi spostare i nostri investimenti?«Sul nucleare e sulla creazione di filiere di pmi da impiegare nei settori strategici come difesa, energia e manifattura ad alto valore aggiunto. Credo gli impianti di terza generazione siano già sicuri e affidabili e possano rappresentare una svolta per produrre energia pulita e per esempio risolvere la questione dell’Ilva. Se poi prevale la logica Nimby (Not In My Back Yard, «Non nel mio cortile») si può pensare ad accordi con i Paesi del fronte Adriatico, dall’Albania fino alla Slovenia». Vede un cambio di passo politico in questa direzione?«Non con la risolutezza che sarebbe necessaria».Quindi? «Temo che in Europa dovremo passare per una crisi importante prima di svegliarci davvero».
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