
Governo riunito per discutere di lodo Conte e riforma dei processi penali. Ma il progetto di legge del Guardasigilli per sveltirli è un palliativo: impegni retorici, coperture vaghe e sanzioni alle toghe lente solo per «dolo o negligenza», difficili da provare.Provaci ancora, Sam. Anzi, Fofò. Dopo la riforma della riforma della prescrizione, Alfonso Bonafede ritenta. Il suo disegno di legge sul processo penale dovrebbe essere presentato nel Consiglio dei ministri di oggi, assieme al lodo Conte bis. Reduce dalla batosta sulla Spazzacorrotti, bocciata prima dall'Avvocatura dello Stato e ieri dalla Consulta, il ministro della Giustizia tenta un'altra mano. Rilancia, mettendo l'intera posta nel piatto. Ma a sfidarlo, ancora una volta, ci sarà il re del bluff, Matteo Renzi, disposto a ogni cosa pur di rianimare la sua boccheggiante Italia viva. Le nuove carte da calare sul tavolo sono stavolta racchiuse nel ddl «per l'efficienza del processo penale». Dieci fitte paginette, 14 articoli e una selva di commi. Varata la nuova e deplorata prescrizione, Bonafede punta ora a sveltire il sistema giudiziario più lento d'Europa a suon di palliativi, destinati comunque a scontentare tutti. A partire dai magistrati, pronti a evocare la lesa maestà. Il disegno di legge prevede illeciti disciplinari per velocizzare i procedimenti. A partire dalle indagini preliminari, che in Italia durano in media ben 323 giorni: quasi quanto serve ai Paesi più virtuosi dell'Ue per concludere un processo. Vengono così definiti nuovi tempi, da far decorrere soltanto al momento dell'iscrizione nel registro degli indagati: sei mesi per i reati lievi, un anno e mezzo per quelli gravi e un anno per gli altri. E sanzioni a chi sgarra. Ma solo «se il fatto è dovuto a dolo o negligenza», tortuosi da provare. I pm dovranno anche selezionare «le notizie di reato da trattare con precedenza». I criteri saranno quelli «di priorità trasparenti e predeterminate». Quali? E decise da chi? Chissà. Dulcis in fundo, niente rinvio a giudizio se «gli elementi acquisiti risultano insoddisfacenti o contraddittori». L'ovvietà sembra scritta dal condottiero francese monsieur de La Palice, che «se non fosse morto sarebbe ancora in vita». Traduzione: i tempi delle indagini, seppur lievemente ridotti, restano cospicui. La discrezionalità rimane intatta. E le misure contro i magistrati lumaca, se mai approvate, sembrano blande e teoriche. Eppure già scatenano adirate proteste. Con il presidente dell'Anm, Luca Poniz, che nega la «correlazione stretta» tra «inefficienza del sistema e responsabilità del magistrato». Per poi concludere: «Messaggio devastante». Veniamo dunque all'appello, diventato il collo di bottiglia della giustizia italiana. In secondo grado, la durata media delle cause è 759 giorni. Il ddl che presenterà Bonafede, per ovviare a quest'estenuante attesa, disporrebbe l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per i reati che prevedono pene pecuniarie, alternative o lavori di pubblica utilità. Annunciate poi inezie come la necessità dell'avvocato di impugnare la sentenza solo «se munito di specifico mandato». O l'obbligo del giudice di comunicare il calendario delle udienze alle parti. Oppure la consegna di consulenze tecniche e perizie «entro un termine congruo». Cioè? Anche questo, si vedrà.Alla fine, le misure più utili alla disperata causa della giustizia italiana sembrano le eterne e sempre incompiute promesse: digitalizzazione, risorse e assunzioni. La bozza dettaglia una serie di «disposizioni» per le notifiche telematiche, simili a quelle già adottate nel civile. E prevede l'assunzione, entro il 2021, di 2.000 amministrativi, con contratto a tempo determinato di due anni. La riforma del processo penale costerebbe, calcola il ddl, più di 158 milioni di euro nel prossimo triennio. Solo nel 2020 servirebbero quasi 40 milioni di euro, destinati a raddoppiare nei dodici mesi seguenti. E le risorse? Non mancano, assicura Bonafede. Basta attingere ai fondi: speciali, di riserva e da ripartire. Ovvero, dal pozzo senza fondo del ministero dell'Economia. Il disegno di legge, assieme al lodo Conte bis sulla prescrizione, adesso sarà esaminato dal governo. Per Bonafede è l'ennesima prova in un percorso che, finora, è stato disseminato da clamorosi inciampi e unanimi critiche. L'avvocato siciliano con studio a Firenze, già scopritore del talentuoso Giuseppi, suo docente all'università, non smette di incassare sventole da magistrati, giuristi e alleati. In queste settimane, nessuno gli ha negato un manrovescio. Piuttosto doloroso, dicono, è stato quello di Matteo Renzi, ancora più incattivito dopo la bocciatura del lodo Annibali, che chiedeva il rinvio di un anno della prescrizione giallorossa. Il leader di Italia viva ha così cominciato a chiamare il ministro «Fofò dj», nome d'arte del giovane Alfonso nelle estati passate alla consolle dei locali in voga della sua Mazara del Vallo. Gli consiglia, sperando che la spietatezza faccia lievitare i disperanti sondaggi, di tornare all'antica passione per le discoteche. Bonafede invece non molla. Continua a rimescolare norme e codici, riforme e controriforme, dritte presidenziali e disegni di legge. Sperando di azzeccare almeno l'ultimo e disperato remix.
Emanuele Fiano (Ansa)
L’ex deputato pd chiede di boicottare un editore ospite alla fiera patrocinata da Gualtieri e «reo» di avere un catalogo di destra.
Per architettare una censura coi fiocchi bisogna avere un prodotto «nero» ed etichettarlo con la dicitura «neofascista» o «neonazista». Se poi scegli un ebreo (si può dire in questo contesto oppure è peccato?) che è stato pure censurato come testimonial, hai fatto bingo. La questione è questa: l’ex parlamentare Pd, Emanuele Fiano, che già era passato alla cronaca come bersaglio dei pro Pal colpevoli di non averlo fatto parlare all’Università Ca’ Foscari di Venezia e contro il quale qualche idiota aveva mimato la P38, sta premendo per censurare una casa editrice colpevole di pubblicare dei libri pericolosi perché di destra. Anzi, di estrema destra.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.






