2019-07-19
In Albania il baluardo della resistenza al regime iraniano è una piccola Teheran
Il Paese delle aquile ha dato una lezione all'Europa accogliendo i profughi e gli ex combattenti contro la dittatura degli ayatollah.Non si erano mai visti tanti americani a Tirana. Erano turisti speciali arrivati nella capitale albanese per l'Ashraf 3. Pochi sanno, infatti, che da circa tre anni 3.000 iraniani dissidenti del regime di Teheran, che si trovavano segregati in un campo dell'Iraq, ad Ashraf (e successivamente a Camp Liberty), sono stati costretti a partire da quel Paese. Ovviamente non potevano rientrare in Iran perché rischiavano il carcere e, in gran parte, anche la vita per la loro attività antiregime. La piccola e povera Albania ha dato una lezione a tutta Europa e ad altri Paesi dell'Occidente accogliendo i profughi, ex combattenti contro il regime dei mullah iraniani, per iniziativa del presidente del tempo, Sarhi Berisha, applauditissimo alla conferenza. Nessuno dei Paesi Ue aveva dichiarato di volerli accogliere, a cominciare dalla Francia, che si dichiara sempre «il Paese dell'accoglienza politica», dove risiede il Consiglio della resistenza iraniana, presieduto da Maryam Rajavi. Gli sforzi del Commissariato dei profughi Onu e di tutte le Nazioni Unite sono stati, alla fine, premiati con il «sì» dell'Albania. La piccola repubblica ha fatto una scelta politica coraggiosa e lungimirante, ottenendo anche qualche vantaggio politico ed economico, favorendo gli Usa (che, come vedremo, sono in debito con gli iraniani di Asharaf) e la Ue (a cui ha tolto la «patata bollente», tenuta da troppo tempo da quel fantasma di Federica Mogherini, la ex alta rappresentante della politica estera, che simpatizzava con i mullah di Teheran). In questo modo gli attuali governanti di Tirana ottengono crediti per ottenere l'adesione dell'Albania nell'Unione europea e probabilmente ci riusciranno, grazie anche al sostegno americano. L'Albania ha accolto uomini e donne in un grande territorio vicino a Tirana, dove vi erano solo sterpaglie e terreni incolti, senza neppure un albero. In un solo anno gli iraniani hanno costruito una città, una piccola Teheran, con case, grandi capannoni, eleganti e funzionali per le mense, le manifestazioni politiche e culturali, piantato migliaia di alberi, con cespugli e prati; hanno costruito monumenti, con un ingresso trionfale, dotato di arco di leoni e il sole, simboli storici dell'Iran. La costruzione che più ha colpito è stato però il Museo o meglio quello che definirei il Museo degli orrori, dove è documentata la tragedia di un popolo che ha subito con la dittatura religiosa di Khomeini e oggi di Khamenei, 120.000 vittime. Si trovano ricostruiti anche gli attacchi, con bombe, missili e soldati, ai campi di Asharaf e Liberty, da parte dei militari irakeni al servizio di Teheran. In grandi foto si vedono i soldati che massacrano con fucili persino i feriti ricoverati negli ambulatori. E poi le celle e le camere di torture dove venivano rinchiusi i dissidenti. E dove ancora oggi vengono imprigionati, torturati e spesso massacrati dai pasdaran gli studenti e gli altri giovani che «osano» criticare il regime.Gli americani, guidati da Rudy Giuliani (ex sindaco di New York e ora nell'entourage di Donald Trump) sono rimasti molto impressionati dalle immagini e dalle ricostruzioni del Museo, anche perché spesso dopo i manichini si trovavano le persone vere, le stesse che avevano subito torture, violenze e sevizie di ogni genere. Un museo che parla da solo, più dell'oceano di parole dei due intensissimi giorni di discorsi di tutti i delegati stranieri e degli iraniani giunti da tutto il mondo. Citiamo solo qualche nome: oltre a Giuliani, hanno preso la parola gli americani: Joe Lieberman, senatore ed ex candidato alla vice presidenza Usa (con Al Gore); il giudice Ted Poe; Lance Goodan, membro del Congresso americano; Tom Ridge, ex ministro della sicurezza Usa; Louis Freeh, ex direttore Fbi; il generale George Casey, ex comandante delle forze multinazionali in Iraq; Marc Ginsberg, ex ambasciatore Usa in Marocco. E poi tanti altri potenti ex di vari Paesi: Michele Alliot-Marie, ex ministro degli Interni e della Giustizia francese, Stephen Harper, ex primo ministro canadese, Bernard Kouchner, ex ministro degli Esteri francese (è stato anche il fondatore di Medici senza frontiere); Ingrid Betancourt, ex candidato alla presidenza della Colombia; John Baird, ex ministro degli Esteri canadese e tanti, tantissimi altri. I discorsi, seguiti a quelli della presidente Maryam Rajavi, sono stati sostanzialmente simili: adesione alla lotta degli iraniani che si propongono di abbattere la dittatura clericale di Teheran, libertà e tutela dei diritti umani per tutti, netta separazione dello Stato dalla religione, modelli di democrazia per la gestione del potere a tutti i livelli della società, parità uomo-donna. In altre parole, è stato ribadito il programma dei dieci punti varato tre anni fa dal Consiglio della Resistenza e ispirato da Massud Rajavi, leader riconosciuto della Resistenza, marito di Maryam ma clandestino da molti anni. Sicuramente da oltre 20 anni, nel mirino dei pasdaran di Teheran. Molti dubitano che Massud sia ancora vivo, anche se nelle manifestazioni viene esaltato come leader. Ha dei grandi meriti questo combattente, non solo perché ha fondato il movimento dei mujaheddin del popolo, ma perché, con la seconda guerra del golfo, ordinò ai combattenti iraniani (che si trovavano ad Ashraf, diventata una grande città) di consegnare tutti gli armamenti agli americani (più di duemila autoblindo e una grande quantità di armi leggere e bombe). «Gli americani non sono nostri nemici», disse allora Massud. «I nostri nemici sono i despoti di Teheran». Da allora gli americani hanno guardato questi dissidenti come potenziali alleati. Come ha ricordato anche Rudy Giuliani, nel suo discorso, «Massud ha detto: “ Non venderò il mio popolo alla tirannia. Khomeini ha ucciso 10 mila persone" e tutti gli altri ayatollah si sono macchiati di crimini orrendi, di delitti contro l'umanità, massacrando 120.000 donne, uomini, anziani, giovani, compresi i 30.000 impiccati nelle carceri nel 1988. Dobbiamo intensificare l'iniziativa contro i tiranni. Barak Obama ha dato molti milioni di dollari agli assassini di Teheran, che hanno cercato di assassinare di recente anche Maryam Rajavi e altri dirigenti iraniani, oltre che me stesso. I killer ci hanno provato più volte. Ora abbiamo una sola alternativa: rovesciare il regime. Il Congresso americano è in gran parte favorevole al cambiamento. E c'è per fortuna un governo in esilio, che ha un programma democratico che condividiamo. Ha fatto bene il presidente Trump nel contestare il programma nucleare iraniano, uscendo da quell'accordo nefasto. Ora dobbiamo andare avanti, sostenendo i mujaheddin».Anche gli altri delegati americani hanno approfondito, sulla stessa linea, la necessità e l'urgenza di una intensa lotta contro i regime dei mullah, a fianco della Resistenza. Solo un generale Usa, James Conway, ha ricordato però che non bastano le manifestazioni, anche grandi e spettacolari, all'estero, non bastano i dieci punti di Maryam Rajavi, non basta il Consiglio nazionale della Resistenza di Parigi, ci vuole una strategia ancorata all'interno del territorio iraniano. «In altre parole», ha insistito, «bisogna convincere almeno dei settori delle forze armate iraniane a non spararvi addosso». Il generale ha ragione: la propaganda, con gli slogan gridati a squarciagola, non basta. Per la verità, da alcuni anni la strategia della Resistenza si è intensificata nel territorio iraniano, dove sono stati creati centinaia di focolai della dissidenza; clandestini, ovviamente, per prevenire la repressione dei servizi di polizia del regime e dei pasdaran. Dai filmati che abbiamo visto questo è in gran parte documentato. È un buon inizio, anzi un nuovo inizio, che supera i facili ottimismi di Asharam 3, se si vuole costruire una Ashram 4, a Teheran, anzi 1000 Asharan in tutto l'Iran.
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