Secondo un report di Cribis, nel 2024 si è registrato un aumento del 12.5% delle liquidazioni giudiziali .
Secondo un report di Cribis, nel 2024 si è registrato un aumento del 12.5% delle liquidazioni giudiziali .«La pandemia per le imprese italiane è come se non fosse mai finita». Una constatazione, prima che una denuncia, che arriva da Letterio Stracuzzi, presidente di Protezione sociale italiana, l’ente del terzo settore che si occupa dei problemi legati al sovraindebitamento. Ad esser presi in considerazione, sono i dati diffusi dal report di Cribis, Fallimenti delle imprese (società del gruppo Crif specializzata nel fornire informazioni, soluzioni e consulenza alle imprese). Le liquidazioni giudiziali registrate nel secondo trimestre del 2024 in Italia sono 2.292, un valore in crescita (+12,5%) rispetto allo stesso periodo del 2023. Le motivazioni di queste chiusure sono diverse naturalmente, alcune strutturali e dovute ad un sistema italiano che fatica a premiare la libera impresa. In moltissimi casi però alla base ci sono ancora gli effetti delle restrizioni legate alla pandemia del Covid. Oggi, anche chi ha resistito in quei duri mesi, fatica a riprendersi. E c’è chi getta la spugna. «Le imprese continuano a morire» prosegue Stracuzzi. «Sappiamo tutti che la diffusione della pandemia di Covid-19 e le misure restrittive adottate dai Paesi dell’Unione europea per contenere l’emergenza sanitaria hanno influito negativamente sul nostro tessuto imprenditoriale. Ma quello che in pochi sanno è che, ancora oggi, molte imprese non solo subiscono gli strascichi di quei provvedimenti ma, altre, stanno fallendo nel 2024».Tornando ai dati di Cribis, lo studio evidenzia che i settori con il maggior numero di società in liquidazione giudiziale, sono: il Commercio con 779 liquidazioni giudiziali, seguito dai Servizi (508), dall’Edilizia (415) e dall’Industria (392). Per quanto riguarda le regioni, quelle che hanno registrato il maggior numero di liquidazioni giudiziali nel primo trimestre del 2024 sono la Lombardia (500), Lazio (263) e Veneto (208), mentre le aree geografiche con il minor numero di imprese in liquidazione sono Trentino-Alto Adige (16), Basilicata (9), Molise (17) e Valle d’Aosta (1).«In questi ultimi anni», sottolinea il presidente di Protezione sociale italiana, «sono tantissimi gli imprenditori che si sono rivolti ai nostri organismi della crisi. Ogni settimana, ancora oggi, riceviamo richieste di aiuto. Nel 2023, gli Organismi di composizione della crisi hanno ricevuto un totale di 7.748 domande alle quali si aggiungono 2.648 domande pervenute negli anni precedenti. Di queste, però, solamente il 64% è stata assegnata a un procedimento del codice della crisi. Di esempi ne potrei fare moltissimi da Nord a Sud del Paese».Uno di loro si trovava in una situazione di indebitamento con banche, Agenzia delle entrate e Comune di Milano per una somma di 646.000 euro. Decidendo di rivolgersi a Protezione sociale italiana e al suo Organismo di composizione della crisi meneghino ha beneficiato della procedura di composizione della crisi disciplinata dal nuovo Codice della Crisi (ex Legge 3) e dell’insolvenza e risolvere la propria situazione. «Gli è stato proposto di risolvere la propria situazione di indebitamento offrendo ai creditori la somma mensile di 640 euro per la durata di 36 mesi». Succede anche a chi offre servizi pubblici per le famiglie. Come alla titolare di un asilo privato in provincia di Pavia. Un’imprenditrice che a causa del Covid per cercare di resistere si è indebitata di 442.000 euro. Adesso si trova con una rata mensile di 330 euro da pagare per i prossimi 36 mesi e solo allora potrà dirsi di essersi liberata. «Abbiamo fatto un calcolo: negli ultimi tre anni registriamo un aumento del 90 per cento di nuovi casi. Un numero spaventoso che dà il senso della situazione storica che stiamo vivendo. Dietro quelle cifre, ci sono storie di imprese e famiglie in sofferenza. L’augurio», conclude il presidente di Protezione sociale italiana, «è che non si ripetano gli stessi errori e chi possa mettere la parola fine alle vecchie e nuove pandemie».Gli italiani ancora pagano economicamente la crisi innescata dalle chiusure imposte dal governo Conte. Restrizioni prolungate e a singhiozzo, che non hanno fatto altro che prolungare l’agonia per moltissime aziende.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.






