2019-02-03
Imprese e banche cambiano pelle. Visco e Boccia restano in affanno
Il governo dei «barbari» spinge verso nuove forme di rappresentanza per aziende e mondo del credito Confindustria e Bankitalia soffrono. Si spiegano anche così i continui attacchi rivolti all'esecutivo.I «barbari» a palazzo stanno scardinando le vecchie rappresentanze, prive delle classiche sponde istituzionali. Anche per questo si moltiplicano le schermaglie con Confindustria e Bankitalia: segnali di debolezza di queste ultime, le cui leadership appaiono in affanno. E la cui capacità di parlare a nome delle imprese e di interloquire con gli istituti di credito viene sfidata da nuove forme di rappresentanza. Ecco quali. Il termine barbari deriva dal greco «Oi Barbàroi». Letteralmente coloro che dicono «ba» «ba» «ba». In pratica, quelli che parlano una lingua nuova e incomprensibile. In questo senso l'attuale è un vero governo di barbari che, più o meno inconsapevolmente, si sta abbattendo sui vecchi strumenti istituzionali di rappresentanza e concertazione, con il risultato di lasciare schiere di mandarini, industriali, manager pubblici senza bussola. Alcune delle vecchie lobby si sono già attrezzate e cercano vie di dialogo, altre stanno sbattendo contro un muro. Due esempi su tutti vengono dai sindacati e da Confindustria. Ma lo stesso discorso si estende al mondo della banche e delle Authority di controllo, Bankitalia e Consob. L'elezione di Maurizio Landini ai vertici della Cgil e la palese rivendicazione della necessità di aprire tavoli di trattativa come negli anni Ottanta indicano l'incapacità del sindacato di riposizionarsi nel mondo del lavoro. Il modello di concertazione che dura mesi e mesi, come per Ilva o Alitalia, è finito. Non solo perché con Luigi Di Maio e con altri ministri, compreso Matteo Salvini , non si riesce a organizzare incontri vecchio tipo (decine di persone, tecnici dei ministeri e rappresentanti delle associazioni di categoria attorno a un solo tavolo) ma anche perché l'Italia ha digerito una volta per tutte il modello. I lavoratori chiedono stipendi più alti e non generica tutela. Troppo comodo pensare che la globalizzazione e internet siano disruptive (rompano i vecchi schemi) nei comparti del commercio, dell'editoria o della logistica. Vale per tutti.Le filiere produttive sono corte, a volte azzerate. Le risposte alle necessità vanno trovate in poco tempo. Di fronte alla velocità della comunicazione e alle scelte rapide, Landini perde evidentemente la bussola. Stesso discorso per Vincenzo Boccia numero uno di Confindustria. Invitato dal numero uno di banca Intesa, Carlo Messina (il quale sa bene essere banchiere di sistema e cambiare linguaggio in base all'interlocutore di governo), Boccia ha indirettamente elogiato il modello sindacale della Cgil invece di provare a immaginare nuovi schemi di stimolo tra imprese e sistema bancario. D'altronde il mondo che rappresenta il modello Boccia è in estinzione, e fatica a giustificare la propria esistenza, se non attraverso una schema rigido che si appropri del potere decisionale nel mondo del lavoro. Un po' come i sindacati, soprattutto di sinistra, stanno facendo con le pensioni. Per fortuna il mondo produttivo, anche quello che non apprezza le idee del governo, comincia a sfilarsi dal procedimento di imbalsamazione. Non a caso il numero uno di Assolombarda, Carlo Bonomi, ha incontrato il premier, Giuseppe Conte, per chiedere Olimpiadi invernali e infrastrutture. Secondo uno schema molto diverso dagli appelli ondivaghi del suo capo Boccia. Il numero uno di Assolombarda ha chiesto autonomia per Milano. Non trattative, ma mano libera su decisioni di natura pubblica. Basta passare attraverso la capofila dell'associazione. Non serve più nulla, anzi è solo una perdita di tempo. Stesso discorso - anche se con parametri completamente diversi - si può fare per il settore dell'agroalimentare. Negli ultimi mesi Confindustria ha scoperto che il mondo della produzione e della trasformazione ha un nuovo player. Si chiama «Filiera Italia» ed è presieduta da Luigi Scordamaglia, già numero uno di Federalimentare. Non si può continuare a chiedere cambiamenti ed evoluzione alla politica senza essere in grado di affrontarli come mondo produttivo. Non si può dire a parole di tutelare il made in Italy e poi svicolare di fronte a obblighi rigidi sull'etichettatura, solo perché nel mondo associativo produttori e trasformatori siedono a tavoli diversi. «Filiera Italia» sta raccogliendo le istanze dirette delle aziende e ha fatto quella cosa che i rappresentanti degli imprenditori predicano da anni senza mai attuarla: abbattere le distanze della filiera. Di fronte a una tale mossa Confindustria vorrebbe alzare ancora di più i toni contro il governo nella speranza che i gialloblù cadano. Ma al tempo stesso teme che, se non cadono, prima o poi tirino fuori dal cassetto una legge già pronta. Si tratta del decreto che imporrebbe a tutte le partecipate pubbliche di uscire da Viale dell'Astronomia. Boccia sa che sarebbe non tanto la sua fine ma la fine di qualunque suo successore. Così, tra la paura del morire e l'incertezza del vivere, Confindustria si raggrinzisce e non cerca un nuovo vocabolario. È probabile che così perda altri pezzi.Non solo la Lombardia o l'agroalimentare, ma anche altre filiere. Così come perderà altri storici interlocutori. Perché il cambio di passo vale anche per il mondo delle banche e della vigilanza. Il caos attorno alla nomina in Consob non è solo un tema di nomi, ma anche una diatriba attorno al futuro stesso dell'Ente. I leghisti lo vogliono trasferire di peso a Milano. Vogliono che sia un'entità «anglosassone» che controlli e stimoli le quotazioni. Roma teme che ciò possa accadere. Storici rapporti e canali di comunicazione si interromperebbero. Anche in Bankitalia si cerca evidentemente una nuova bussola. Si vuole capire quale sarà il ruolo di palazzo Koch all'indomani dell'unione bancaria europea. Ieri Ignazio Visco è tornato a parlare di bail in. Dicendo che per le banche piccole le norme europee non sono ottimali: «Va ripensato tutto». Già, se lo schema di vigilanza passa a Francoforte, Bankitalia si troverà a controllare il 7/8% degli sportelli italiani. Una limitazione che fino a poco tempo fa poteva anche essere accettabile ai piani alti del palazzo, purché al governo ci fossero interlocutori disposti a tenere sempre lucidato il piedistallo del governatore. Adesso che il dialogo sembra essere solo nella direzione del Colle, Bankitalia scopre che qualcosa è non va. Se il bail in verrà rimesso in discussione, Bankitalia non perderà la propria importanza. Visco sa che bisogna cambiare pelle ancora prima di cambiare vocabolario. D'altronde, nessuno rimpiangerà la vecchia Bankitalia, la stessa che ha assistito al crollo delle Venete di Etruria e di Mps. Così come nessuno rimpiangerà i vecchi sindacati (che ci hanno rovinati con le pensioni baby) o la vecchia Confindustria.