2020-07-29
Niente tamponi ai migranti. I sindaci: «blocco navale»
Il sindaco di Porto Empedocle: «Nel 1997 Prodi fermò gli scafi, dobbiamo imitarlo». L'assessore regionale: «Non riusciamo a fare l'esame a tutti quelli che arrivano. Il rapporto virus-immigrazione è sottovalutato» «Nel 1997, quando c'era Romano Prodi presidente del Consiglio, mi ricordo che si disposero i blocchi navali. Perché non si dispongono controlli analoghi adesso nel Canale di Sicilia?». Il ragionamento non fa una piega, e qualcuno, dal governo, dovrebbe dare una risposta a Ida Carmina, sindaco di Porto Empedocle. È stata lei, ieri, a invocare i blocchi navali, esasperata da settimane e settimane di sbarchi che hanno duramente provato il suo territorio. «Così non si può continuare», ha detto la Carmina all'Adnkronos. «La gente pensa che sia colpa nostra, noi subiamo tutti i giorni». L'attacco al governo è pesante: «Ci stanno mettendo in grandissima difficoltà», dice il sindaco, «mi fa male il cuore. Io ho fatto una ordinanza per evitare che ci fossero altri sbarchi e invece Porto Empedocle continua essere utilizzata come sede privilegiata di tutti gli sbarchi per scelta governativa. Questo è motivo di grande sofferenza per la città e compromette le prospettive per il futuro. Non si considerano adeguatamente le ricadute in termini di sofferenza della popolazione. Poi la gente se la prende con me e solo con me quando scappano i migranti. Uno mi ha gridato: “Se domani mio figlio si ammala, ti vengo a prendere a casa"».A parlare così, giova ricordarlo, non è una esponente della Lega o di Fratelli d'Italia. La Carmina è un sindaco a 5 stelle, e viene considerata vicina a Luigi Di Maio. Dunque non la si può accusare di voler soffiare sul fuoco per chissà quali secondi fini politici. La signora sta semplicemente dando sfogo al malcontento suo e dei suoi cittadini. E non è di certo l'unica. A Lampedusa, nei giorni scorsi, gli abitanti furibondi hanno cercato di bloccare il porto. Che la situazione sia esplosiva il governatore siculo, Nello Musumeci, lo ripete da mesi, cioè da quando gli sbarchi sono ripresi a ritmo folle. La sua Regione, finora, si è sottoposta a uno sforzo non indifferente. Non solo a livello di accoglienza, ospitando i nuovi arrivati nei centri (che è sempre più difficile controllare, visto il numero di fughe in massa), ma pure a livello strettamente sanitario. Oggi Musumeci sarà audito alla Commissione Schengen e riferirà alcuni dati impressionanti. Finora la sanità siciliana ha realizzato oltre 6.000 test sierologici e tamponi. Un'enormità. E adesso il rischio è che il numero di stranieri in ingresso sia superiore alle forze disponibili. Lo ha detto chiaramente l'assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza al Giornale di Sicilia: «Impossibile fare il tampone a tutti i migranti che sbarcano». Lo stesso concetto Razza lo ripete alla Verità, e spiega molto bene quale sia il problema. «Se noi come Regione facciamo i tamponi», dice, «ci deve essere qualcuno che identifica i migranti in arrivo. Ogni persona può fare dieci tamponi ogni giorno, ma questo processo parte soltanto quando il migrante è stato identificato e fotosegnalato». Il guaio è che il personale è limitato e gli stranieri che entrano solo tantissimi. Ieri, di nuovo, a Lampedusa sono arrivati altri settanta tunisini, fra cui un disabile. In totale, nel 2020, sono giunte in Italia 12.533 persone: l'anno scorso erano 3.599. Questo affollamento ha delle conseguenze: «Se i migranti si ammassano e devono essere trasferiti altrove prima di essere identificati, i tamponi non si riescono a fare», dice Razza. Non fa una piega: se qualcuno sbarca a Lampedusa, non viene sottoposto a tampone e viene poi trasferito in altre località sparse per la Penisola, ha la seria possibilità di spargere il contagio. Basta la minima disattenzione per creare guai.Lo dimostra quanto avvenuto in questi giorni a Palermo. Una donna somala incinta, arrivata proprio a Lampedusa, è stata sottoposta a test sierologico, e poi trasferita all'ospedale Civico palermitano. Le donna è rimasta per tre giorni in ostetricia senza che nessuno le facesse il tampone, mettendo così in pericolo tutto il reparto. Il punto è che il tampone andava fatto al momento dello sbarco, o comunque prima che fosse trasferita da Lampedusa a Palermo. Ma se il sistema sanitario regionale è già sotto pressione, e non c'è personale sufficiente per le identificazioni, fare gli esami a tutti diventa complicato, anzi impossibile.«Abbiamo chiesto che siano create delle aree filtro», continua Razza, «e che dal ministero ci dicano almeno che genere di flussi si aspettano per le prossime settimane. Io devo sapere quanti migranti aspettarmi in agosto, perché quando sbarcano la responsabilità non è più del sistema sanitario nazionale, ma nostra». Giustamente, l'assessore nota che gli amministratori siciliani da settimane e settimane fanno presenti le difficoltà riguardanti la gestione del fenomeno migratorio. Le risposte governative, però, non sembrano molto convincenti. «Ho l'impressione che l'impatto del Covid sull'immigrazione sia stato sottovalutato», sospira Razza. «Poi ci sono stati errori politici. Se ti metti a discutere di come scardinare i decreti sicurezza, mandi un messaggio dall'altra parte del mare. Trasmetti l'idea che ci sia meno attenzione all'immigrazione. E i dati lo dimostrano: l'anno scorso il mare era lo stesso, il tempo era lo stesso eppure gli sbarchi erano meno della metà». Non è un problema della sola Sicilia, ma di tutta la nazione. È del tutto assurdo che, mentre Giuseppe Conte definisce «inevitabile» la proroga dello stato di emergenza, gli stranieri possano continuare a entrare liberamente, mettendo in pericolo tutti i nostri connazionali. Ma, a quanto pare, il governo è molto più interessato a limitare le libertà personali degli italiani che a risolvere le gigantesche grane provocate dagli stranieri.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)