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2018-07-15
Impedire gli sbarchi alla fine paga: «A Francia e Malta 100 migranti»
Ansa
Italia chiama e l'Europa, stavolta, è costretta a rispondere. E questa volta è un «sì», frutto della linea dura mantenuta dal governo italiano, che ha tenuto il punto sulla chiusura dei porti in assenza di una condivisione dell'onere di accoglienza, principio stabilito nell'ultimo Consiglio europeo e ribadito dall'esecutivo sia al vertice Nato che alla riunione dei ministri dell'Interno Ue.
«Francia e Malta prenderanno rispettivamente 50 dei 450 migranti trasbordati sulle due navi militari. A breve arriveranno anche le adesioni di altri Paesi europei». Giuseppe Conte esulta su Facebook alle 20 e allega al post la lettera inviata ieri ai capi di Stato e di governo e ai membri del Consiglio europeo. «È un risultato importante ottenuto dopo una giornata di scambi telefonici e scritti che ho avuto con tutti i 27 leader europei», ha rivendicato il premier, che chiude il post con queste parole: «Finalmente l'Italia inizia ad essere ascoltata davvero». Mentre Malta, in un primo momento, si era girata ancora una volta dall'altra parte, lasciando i migranti in mare. Donne e bambini che avevano bisogno di cure sono stati accompagnati a Lampedusa a bordo di motovedette della Guardia costiera italiana. «Motivi sanitari», hanno precisato le autorità. Gli altri 450 migranti, completato il trasbordo dal barcone di legno soccorso a largo di Linosa due giorni fa, sono sul pattugliatore Protector, inserito nel dispositivo Frontex, che ne ha presi 176, e sul Monte Sperone della Guardia di finanza, che ne ha tirati su 266. L'altro ieri sera, alla vista di tre motovedette della Guardia costiera e di uno dei pattugliatori della Guardia di finanza, il barcone della speranza si è fermato e alcuni migranti si sono tuffati in acqua. A quel punto è partita l'operazione salvataggio. Ma le due navi non hanno avuto l'autorizzazione a sbarcare fino all'annuncio di Conte. E ora che è arrivato il segnale dall'Europa, anche l'Italia, come scrive il premier nella missiva, prenderà la sua quota di migranti.
Le tre alternative possibili, prima dell'ok Ue, erano queste: suddivisione tra i Paesi europei, ritorno in Libia o permanenza a bordo della navi che, così, si sarebbero trasformate in centri di identificazione ed espulsione su mare.
«In Italia solo con mezzi legali». Altrimenti nisba: non si sbarca. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini lo aveva detto subito a chiare lettere al premier nel corso di una telefonata. Il governo, su questo punto, si era mostrato compatto.
Per Salvini nessun porto italiano era a disposizione dei migranti. «Occorre», aveva detto , «un atto di giustizia, rispetto e coraggio per contrastare i trafficanti e stimolare un intervento europeo», insistendo subito sull'opportunità che alle due navi venisse data indicazione di fare rotta nuovamente verso Malta o verso la Libia. E in ogni caso, aveva avvertito il ministro, per il barcone i porti italiani sono chiusi: «Abbiamo già dato, ci siamo capiti?». Stessa linea per il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli: «Malta faccia subito il suo dovere e apra il porto». Una richiesta che si è trasformata poco dopo in una comunicazione ufficiale della Farnesina all'ambasciata maltese a Roma. Ma i maltesi hanno continuato a fare gli gnorri fino a ieri sera. E all'inizio avevano affidato la risposta all'ambasciatore Vanessa Frazier: «Rispettiamo le regole internazionali, come hanno sempre fatto altri Paesi europei». Una non risposta. Un portavoce del governo maltese citato dal quotidiano Times of Malta, invece, aveva detto che quando è stata segnalata la presenza della nave, era a circa 53 miglia nautiche da Lampedusa e a 110 miglia da Malta. Stando alla versione del governo maltese, le persone a bordo, contattate, avrebbero espresso l'intenzione di procedere verso Lampedusa. Ma i carteggi tra i due Stati dicono altro. Nella nota verbale che ricostruisce la dinamica della vicenda inviata dalla Farnesina all'ambasciata maltese a Roma l'area di soccorso era stata individuata a Malta: «Alle ore 04.25 di venerdì 13 luglio, il Maritime rescue coordination center italiano ha ricevuto una segnalazione su un'imbarcazione con circa 450 persone a bordo in area Sar maltese».
Le autorità maltesi hanno poi comunicato l'assunzione del coordinamento delle operazioni di soccorso e l'invio in zona di un aereo che ha individuato l'imbarcazione alla deriva, senza inviare però alcun mezzo di soccorso. Per questo la Farnesina li ha bacchettati, ricordando che il porto di sbarco era da identificare in area maltese. Su questo il governo italiano è stato irremovibile. Anche perché, come dimostrano il successo di ieri con l'Ue e il calo di sbarchi da quando si è insediato il nuovo governo (27.000 in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso), la linea dura paga. E quindi, per Salvini, non era il momento di mostrare debolezze. Da Palazzo Chigi è partita quindi la comunicazione ufficiale ai leader europei per sollecitare l'applicazione dei principi affermati nel corso dell'ultimo Consiglio Europeo. Secondo le attuali regole d'ingaggio delle navi in missione Ue, quali sono quelle di Frontex, non è possibile lo sbarco in Paesi terzi come la Libia. Centri regionali di sbarco in Paesi terzi sono invece una delle opzioni che sta valutando la Commissione Ue dopo il vertice. E alcuni contatti con Paesi stranieri lasciano ben sperare. Nel frattempo toccherà anche a loro prendersi una fetta di migranti.
Fabio Amendolara
Arrestati due scafisti sulla Diciotti
«La Procura di Trapani ha confermato l'arresto di due immigrati sbarcati ieri dalla nave Diciotti per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Il vicepremier Matteo Salvini ha dato l'annunciato su Facebook ieri sera, in contemporanea con il premier Giuseppe Conte che dichiarava la disponibilità dei Paesi Ue a prendersi parte dei 450 migranti sul barcone respinto da Malta. È una svolta nella vicenda dei 67 salvati dalla Vos Thalassa, trasferiti su un'unità della Guardia costiera, due dei quali erano stati indagati dalla Procura di Trapani con il sospetto di essere proprio i due scafisti, e - forse - anche i responsabili del tentativo di ammutinamento, ancora tutto da dimostrare.
Intanto ieri è emerso che, da quando l'Italia, con il giro di vite dell'esecutivo gialloblù, ha dichiarato guerra alle Ong e ha chiuso i porti, e da quando le motovedette libiche, con l'assistenza italiana, pattugliano le acque della neonata zona Sar di Tripoli, sulle nostre coste non arrivano più gommoni e zattere improvvisate.
I gommoni usati fino a qualche mese fa, tutti made in Cina, comprati a migliaia con qualche dollaro investito dai trafficanti di carne umana, non sono resistenti. E allora gli scafisti hanno rispolverato i vecchi mezzi. Il barcone di legno che l'altro giorno, dopo essere passato per le acque maltesi, ha puntato l'Italia, secondo il quotidiano Malta Today, infatti, sembra essere un mezzo insolito: peschereccio a due piani, lungo poco più di 20 metri. Un mezzo che i trafficanti di persone sulla rotta libica non usavano da tempo e che forse è stato rispolverato proprio in risposta al blocco dei porti alle Ong, accusate di favorire indirettamente il traffico illegale di esseri umani.
Barche di legno erano già state usate in passato per trasportare migranti dalla Libia. Il più delle volte si trattava di navi sovraffollate e in pessime condizioni. Ma di certo più robuste dei gommoni cinesi usati per arrivare a poche miglia dalla costa di Tripoli, dove simulare un incidente e lanciare un Sos, quasi certi che qualche Ong sarebbe intervenuta.
Scene di questo tipo si sono ripetute a centinaia negli ultimi anni. Fino a quando non si sono mosse le Procure, svelando che c'erano contatti frequenti tra scafisti e volontari di Ong. Che i sistemi di segnalazione delle navi e i transponder venivano spenti. E che con molta probabilità gli accordi per i finti salvataggi venivano presi in anticipo e viaggiavano sui telefoni cellulari con qualche semplice sms. Senza questo giochetto i trafficanti avrebbero dovuto mollare la rotta.
E allora si sono riorganizzati: hanno messo da parte i gommoni da affondare davanti alle navi delle Ong e si sono procurati imbarcazioni più resistenti, con le quali ci sono più probabilità di raggiungere Lampedusa o Malta. In Calabria, ad esempio, l'altro giorno è approdato un veliero proveniente dalla Turchia con 75 curdi. E poi, ancora in Sicilia, a Noto, Siracusa, Vendicari, gli scafisti ucraini e georgiani continuano a fare affari d'oro. Ma in questo caso, come ricostruito più volte dalla Verità, vengono usati anche yacht di lusso o costose barche a vela da 14 metri. Il prezzo del traghettamento, ovviamente, è salato: si parte da 5.000 euro. Ma per i migranti, pur nella tragedia di essere vittime dei trafficanti, le probabilità di morire annegati sono calate significativamente.
Fabio Amendolara
La strategia coordinata passo passo ha lasciato senza parole Mattarella
La compattezza del governo sul fronte immigrazione produce risultati: la Francia e Malta ieri hanno accettato di farsi carico di 50 migranti ciascuno, dei 450 protagonisti dell'ultimo caso. Non solo: l'unità dell'esecutivo è l'antidoto agli interventi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L'armonia tra il premier Giuseppe Conte e i ministri, e soprattutto quella tra i ministri stessi, è condizione indispensabile per non soccombere alla «moral suasion» del capo dello Stato. Considerazione basata su quanto accaduto nel caso della Diciotti: quando Mattarella ha telefonato a Conte, tra i vari argomenti utilizzati dal capo dello Stato per convincere il premier a far attraccare la nave c'è stato anche quello del rischio che le polemiche nella maggioranza potessero acuirsi, mettendo a rischio la tenuta stessa dell'esecutivo. Tutti allineati e coperti, dunque: ieri il governo e i massimi esponenti di M5s e Lega hanno accuratamente evitato di lasciarsi andare a distinguo e sfumature sull'argomento, come gli screzi con il ministro della Difesa Elisabetta Trenta.
Del resto, Mattarella, stando a quanto trapela da fonti vicine al Colle, non ha alcuna smania di tornare a occuparsi in prima persona di vicende che sono di esclusiva competenza del governo. La sua attenzione è puntata sul rispetto di alcuni principi: in particolare, quello dell'autonomia della magistratura dal potere esecutivo. Decidere chi ammanettare e chi no, è compito solo e soltanto della magistratura, a meno che ovviamente non ci si trovi di fronte a una flagranza di reato. Mattarella quindi, salvo clamorosi imprevisti, non muoverà un dito rispetto a questa nuova emergenza. Gli altri paletti che il Colle, fin dal momento delle lunghissime consultazioni del dopo-elezioni, ha ripetuto costantemente ai leader della maggioranza, sono il rispetto dei vincoli di bilancio e dei trattati internazionali. Dunque, la telefonata di Mattarella a Conte per «chiedere informazioni sulla Diciotti» resterà la prima e l'ultima.
La strategia messa a punto ieri nel corso della telefonata tra il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, si è già rivelata vincente e verrà portata fino in fondo senza tentennamenti. Le opzioni per i migranti che si trovano a bordo della nave inglese di Frontex «Protector» (176) e della unità Monte Sperone della Guardia di Finanza (266) erano tre: la redistribuzione immediata dei migranti stessi in collaborazione con altri partner europei (perseguita, con successo); i contatti con Libia per il loro eventuale rientro sulle coste libiche, da dove sono partiti; la permanenza a bordo delle navi dove fare riconoscimenti ed esame delle richieste.
Come sanno benissimo sia Conte che Salvini, la seconda opzione era puramente teorica, e la terza inevitabilmente temporanea. Il vero obiettivo, dunque, è costringere i partner dell'Unione europea a tradurre in fatti concreti le numerose buone intenzioni manifestate nei recenti vertici internazionali. «Sull'immigrazione l'Italia non va lasciata sola!» hanno ripetuto in coro i leader di tutta Europa e i vertici delle istituzioni di Bruxelles nelle ultime settimane. La linea dura di Conte e Salvini ha prodotto già un primo importante risultato: «Francia e Malta», ha annunciato Conte ieri sera, «prenderanno rispettivamente 50 persone dei 450 migranti trasbordati sulle due navi militari. A breve arriveranno anche le adesioni di altri paesi europei. È il primo importante risultato ottenuto oggi, dopo una giornata di scambi telefonici che ho avuto con tutti i 27 leader europei. Ho ricordato loro», ha aggiunto Conte, «la logica e lo spirito di condivisione che sono contenuti nelle conclusioni del consiglio europeo di fine giugno e che prevedono il pieno coinvolgimento di tutti i paesi dell'Ue. È proprio rifacendomi a questi principi, che ho chiesto loro di farsi carico di una parte di questi migranti. Le stesse cose le ho ribadite anche nella lettera che, come annunciato, ho inviato al presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, sollecitando una attuazione immediata delle conclusioni del Consiglio europeo».
Il Colle può spingere ma non obbligare il capo del governo ad aprire i porti
Porti chiusi: ma da chi? Il dibattito politico in questi giorni torridi sul fronte dell'immigrazione si concentra anche sulla complessa materia delle competenze dei vari ministri, del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica sugli attracchi delle navi nei porti e sugli sbarchi di chi si trova a bordo. Non sono pochi gli interrogativi sollevati da opinionisti e esponenti politici. Iniziamo da quello più attuale: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è rimasto nell'alveo delle sue prerogative istituzionali quando ha telefonato al premier Giuseppe Conte facendo sì che venisse consentito agli immigrati presenti sulla nave Diciotti di sbarcare a Trapani?
Da un punto di vista prettamente istituzionale, in realtà, quello di Mattarella non è stato un intervento vero e proprio. Il presidente della Repubblica, telefonando a Conte, ha esercitato nient'altro che la più classica delle «moral suasion». In sostanza, quello del capo dello Stato è stato un consiglio, un suggerimento, anzi come ha fatto sapere il Quirinale una «richiesta di informazioni». Ovvio: Mattarella, telefonando a Conte, ha fatto valere il proprio peso istituzionale, ma la decisione di fare attraccare la Diciotti è stata una scelta politica dell'esecutivo, non si è trattato di un atto formale del Quirinale.
In questi giorni, molti media hanno sottolineato che il capo dello Stato sarebbe intervenuto in quanto presidente del Consiglio supremo per la politica estera e la difesa, ed in questa veste in qualità di comandante delle Forze armate, poiché la Diciotti è una nave della Marina militare. Nulla di tutto questo: il presidente della Repubblica ha semplicemente fatto una telefonata, non ha convocato il Consiglio supremo, come invece lo stesso Mattarella fece lo scorso 5 ottobre 2017, quando convocò l'organismo mettendo all'ordine del giorno proprio il tema dell'immigrazione. Se Mattarella volesse intervenire formalmente su una vicenda come quella dell'immigrazione, potrebbe farlo attraverso un messaggio alle Camere, non certo con una telefonata.
I poteri e le competenze sul tema degli sbarchi delle navi sono affidati, principalmente, a due ministeri: quello dell'Interno e quello delle Infrastrutture e Trasporti, e non è un caso quindi che Matteo Salvini e Danilo Toninelli siano i protagonisti principali delle vicende di questi giorni. La facoltà di vietare l'accesso alle acque territoriali o ai porti italiani è stabilita dall'articolo 83 del Codice della navigazione, ed è sempre in capo al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. «Il ministro dei Trasporti e della navigazione», recita l'articolo, «può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell'Ambiente, per motivi di protezione dell'ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende». Il primo caso, ovvero il divieto di accesso alle acque territoriali o a un porto italiano per motivi di ordine pubblico, è quello che ci interessa in questo caso, e chiama in causa il ministro dell'Interno. È accaduto alla fine dello scorso giugno per la Oper Arms, nave della Ong catalana Proactiva con 60 immigrati a bordo, quando Salvini scrisse a Toninelli evidenziando problematiche di ordine pubblico che a suo avviso richiedevano di vietare l'accesso ai porti italiani. Toninelli vietò alla Open Arms l'attracco in Italia, «in ragione della nota formale che mi arriva dal ministero dell'Interno e che adduce motivi di ordine pubblico». La nave andò in Spagna.
Per quel che riguarda poi le funzioni della Guardia costiera, il fatto che le Capitanerie di porto e la Guardia costiera stessa siano un corpo della Marina militare non deve indurre in errore facendo pensare che dipendano dal ministero della Difesa. «Il Corpo», si legge infatti sul sito della Marina, «dipende funzionalmente dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per i compiti attribuiti a tale dicastero in materia di navigazione e trasporto marittimo, vigilanza nei porti, demanio marittimo e sicurezza della navigazione. Svolge, altresì, compiti e funzioni nelle materie di competenza dei seguenti dicasteri: dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare; delle Politiche agricole alimentari e forestali; dell'Interno; dei Beni e le attività culturali». Tra le funzioni e le competenze della Guardia costiera ci sono anche la ricerca e soccorso in mare (Search and rescue); la sicurezza della navigazione, con controlli ispettivi sistematici su tutto il naviglio nazionale mercantile, da pesca e da diporto, attività di Port state control, anche sul naviglio mercantile estero che scala nei porti nazionali e attività di maritime security; il controllo dei flussi migratori clandestini, in concorso con il ministro dell'Interno.
I compiti del ministro degli Esteri, nel caso dell'immigrazione, riguarda i contatti con gli altri Stati e governi: ricordiamo che l'altro ieri, quando si è scatenando la nuova bufera per il barcone con 450 immigrati a bordo, è stata la Farnesina a chiarire che «la responsabilità del soccorso al barcone individuato in acque Sar maltesi spetta a Malta e lo sbarco dovrà avvenire in territorio maltese». Il coordinamento tra i ministeri e l'ultima parola nel caso di eventuali differenti valutazioni spetta naturalmente al presidente del Consiglio.
Carlo Tarallo
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Giuseppe Conte annuncia la vittoria italiana: «Anche altri Paesi sono disponibili all'accoglienza». In giornata il governo era stato compatto sui 450 africani salvati: «Gli Stati Ue facciano la propria parte, altrimenti nessuno scende».Arrestati due scafisti sulla Diciotti. La coppia di africani indagata dopo il caso della Vos Thalassa accusata di «favorire l'immigrazione clandestina». Intanto, con la stretta alle Ong, ci sono meno gommoni.La strategia coordinata passo passo ha lasciato senza parole Sergio Mattarella. Il Colle in silenzio e nessuno screzio tra i ministri: la strada scelta è quella giusta.Il Colle può spingere ma non obbligare il capo del governo ad aprire i porti. Mattarella nel caso Diciotti ha chiamato Conte: la decisione dello sbarco è stata politica. Le leggi fissano paletti al Quirinale.Lo speciale contiene quattro articoli.Italia chiama e l'Europa, stavolta, è costretta a rispondere. E questa volta è un «sì», frutto della linea dura mantenuta dal governo italiano, che ha tenuto il punto sulla chiusura dei porti in assenza di una condivisione dell'onere di accoglienza, principio stabilito nell'ultimo Consiglio europeo e ribadito dall'esecutivo sia al vertice Nato che alla riunione dei ministri dell'Interno Ue. «Francia e Malta prenderanno rispettivamente 50 dei 450 migranti trasbordati sulle due navi militari. A breve arriveranno anche le adesioni di altri Paesi europei». Giuseppe Conte esulta su Facebook alle 20 e allega al post la lettera inviata ieri ai capi di Stato e di governo e ai membri del Consiglio europeo. «È un risultato importante ottenuto dopo una giornata di scambi telefonici e scritti che ho avuto con tutti i 27 leader europei», ha rivendicato il premier, che chiude il post con queste parole: «Finalmente l'Italia inizia ad essere ascoltata davvero». Mentre Malta, in un primo momento, si era girata ancora una volta dall'altra parte, lasciando i migranti in mare. Donne e bambini che avevano bisogno di cure sono stati accompagnati a Lampedusa a bordo di motovedette della Guardia costiera italiana. «Motivi sanitari», hanno precisato le autorità. Gli altri 450 migranti, completato il trasbordo dal barcone di legno soccorso a largo di Linosa due giorni fa, sono sul pattugliatore Protector, inserito nel dispositivo Frontex, che ne ha presi 176, e sul Monte Sperone della Guardia di finanza, che ne ha tirati su 266. L'altro ieri sera, alla vista di tre motovedette della Guardia costiera e di uno dei pattugliatori della Guardia di finanza, il barcone della speranza si è fermato e alcuni migranti si sono tuffati in acqua. A quel punto è partita l'operazione salvataggio. Ma le due navi non hanno avuto l'autorizzazione a sbarcare fino all'annuncio di Conte. E ora che è arrivato il segnale dall'Europa, anche l'Italia, come scrive il premier nella missiva, prenderà la sua quota di migranti. Le tre alternative possibili, prima dell'ok Ue, erano queste: suddivisione tra i Paesi europei, ritorno in Libia o permanenza a bordo della navi che, così, si sarebbero trasformate in centri di identificazione ed espulsione su mare.«In Italia solo con mezzi legali». Altrimenti nisba: non si sbarca. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini lo aveva detto subito a chiare lettere al premier nel corso di una telefonata. Il governo, su questo punto, si era mostrato compatto. Per Salvini nessun porto italiano era a disposizione dei migranti. «Occorre», aveva detto , «un atto di giustizia, rispetto e coraggio per contrastare i trafficanti e stimolare un intervento europeo», insistendo subito sull'opportunità che alle due navi venisse data indicazione di fare rotta nuovamente verso Malta o verso la Libia. E in ogni caso, aveva avvertito il ministro, per il barcone i porti italiani sono chiusi: «Abbiamo già dato, ci siamo capiti?». Stessa linea per il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli: «Malta faccia subito il suo dovere e apra il porto». Una richiesta che si è trasformata poco dopo in una comunicazione ufficiale della Farnesina all'ambasciata maltese a Roma. Ma i maltesi hanno continuato a fare gli gnorri fino a ieri sera. E all'inizio avevano affidato la risposta all'ambasciatore Vanessa Frazier: «Rispettiamo le regole internazionali, come hanno sempre fatto altri Paesi europei». Una non risposta. Un portavoce del governo maltese citato dal quotidiano Times of Malta, invece, aveva detto che quando è stata segnalata la presenza della nave, era a circa 53 miglia nautiche da Lampedusa e a 110 miglia da Malta. Stando alla versione del governo maltese, le persone a bordo, contattate, avrebbero espresso l'intenzione di procedere verso Lampedusa. Ma i carteggi tra i due Stati dicono altro. Nella nota verbale che ricostruisce la dinamica della vicenda inviata dalla Farnesina all'ambasciata maltese a Roma l'area di soccorso era stata individuata a Malta: «Alle ore 04.25 di venerdì 13 luglio, il Maritime rescue coordination center italiano ha ricevuto una segnalazione su un'imbarcazione con circa 450 persone a bordo in area Sar maltese». Le autorità maltesi hanno poi comunicato l'assunzione del coordinamento delle operazioni di soccorso e l'invio in zona di un aereo che ha individuato l'imbarcazione alla deriva, senza inviare però alcun mezzo di soccorso. Per questo la Farnesina li ha bacchettati, ricordando che il porto di sbarco era da identificare in area maltese. Su questo il governo italiano è stato irremovibile. Anche perché, come dimostrano il successo di ieri con l'Ue e il calo di sbarchi da quando si è insediato il nuovo governo (27.000 in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso), la linea dura paga. E quindi, per Salvini, non era il momento di mostrare debolezze. Da Palazzo Chigi è partita quindi la comunicazione ufficiale ai leader europei per sollecitare l'applicazione dei principi affermati nel corso dell'ultimo Consiglio Europeo. Secondo le attuali regole d'ingaggio delle navi in missione Ue, quali sono quelle di Frontex, non è possibile lo sbarco in Paesi terzi come la Libia. Centri regionali di sbarco in Paesi terzi sono invece una delle opzioni che sta valutando la Commissione Ue dopo il vertice. E alcuni contatti con Paesi stranieri lasciano ben sperare. Nel frattempo toccherà anche a loro prendersi una fetta di migranti.Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/impedire-gli-sbarchi-alla-fine-paga-a-francia-e-malta-100-migranti-2586732313.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="arrestati-due-scafisti-sulla-diciotti" data-post-id="2586732313" data-published-at="1766683739" data-use-pagination="False"> Arrestati due scafisti sulla Diciotti «La Procura di Trapani ha confermato l'arresto di due immigrati sbarcati ieri dalla nave Diciotti per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Il vicepremier Matteo Salvini ha dato l'annunciato su Facebook ieri sera, in contemporanea con il premier Giuseppe Conte che dichiarava la disponibilità dei Paesi Ue a prendersi parte dei 450 migranti sul barcone respinto da Malta. È una svolta nella vicenda dei 67 salvati dalla Vos Thalassa, trasferiti su un'unità della Guardia costiera, due dei quali erano stati indagati dalla Procura di Trapani con il sospetto di essere proprio i due scafisti, e - forse - anche i responsabili del tentativo di ammutinamento, ancora tutto da dimostrare. Intanto ieri è emerso che, da quando l'Italia, con il giro di vite dell'esecutivo gialloblù, ha dichiarato guerra alle Ong e ha chiuso i porti, e da quando le motovedette libiche, con l'assistenza italiana, pattugliano le acque della neonata zona Sar di Tripoli, sulle nostre coste non arrivano più gommoni e zattere improvvisate. I gommoni usati fino a qualche mese fa, tutti made in Cina, comprati a migliaia con qualche dollaro investito dai trafficanti di carne umana, non sono resistenti. E allora gli scafisti hanno rispolverato i vecchi mezzi. Il barcone di legno che l'altro giorno, dopo essere passato per le acque maltesi, ha puntato l'Italia, secondo il quotidiano Malta Today, infatti, sembra essere un mezzo insolito: peschereccio a due piani, lungo poco più di 20 metri. Un mezzo che i trafficanti di persone sulla rotta libica non usavano da tempo e che forse è stato rispolverato proprio in risposta al blocco dei porti alle Ong, accusate di favorire indirettamente il traffico illegale di esseri umani. Barche di legno erano già state usate in passato per trasportare migranti dalla Libia. Il più delle volte si trattava di navi sovraffollate e in pessime condizioni. Ma di certo più robuste dei gommoni cinesi usati per arrivare a poche miglia dalla costa di Tripoli, dove simulare un incidente e lanciare un Sos, quasi certi che qualche Ong sarebbe intervenuta. Scene di questo tipo si sono ripetute a centinaia negli ultimi anni. Fino a quando non si sono mosse le Procure, svelando che c'erano contatti frequenti tra scafisti e volontari di Ong. Che i sistemi di segnalazione delle navi e i transponder venivano spenti. E che con molta probabilità gli accordi per i finti salvataggi venivano presi in anticipo e viaggiavano sui telefoni cellulari con qualche semplice sms. Senza questo giochetto i trafficanti avrebbero dovuto mollare la rotta. E allora si sono riorganizzati: hanno messo da parte i gommoni da affondare davanti alle navi delle Ong e si sono procurati imbarcazioni più resistenti, con le quali ci sono più probabilità di raggiungere Lampedusa o Malta. In Calabria, ad esempio, l'altro giorno è approdato un veliero proveniente dalla Turchia con 75 curdi. E poi, ancora in Sicilia, a Noto, Siracusa, Vendicari, gli scafisti ucraini e georgiani continuano a fare affari d'oro. Ma in questo caso, come ricostruito più volte dalla Verità, vengono usati anche yacht di lusso o costose barche a vela da 14 metri. Il prezzo del traghettamento, ovviamente, è salato: si parte da 5.000 euro. Ma per i migranti, pur nella tragedia di essere vittime dei trafficanti, le probabilità di morire annegati sono calate significativamente. Fabio Amendolara <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/impedire-gli-sbarchi-alla-fine-paga-a-francia-e-malta-100-migranti-2586732313.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-strategia-coordinata-passo-passo-ha-lasciato-senza-parole-mattarella" data-post-id="2586732313" data-published-at="1766683739" data-use-pagination="False"> La strategia coordinata passo passo ha lasciato senza parole Mattarella La compattezza del governo sul fronte immigrazione produce risultati: la Francia e Malta ieri hanno accettato di farsi carico di 50 migranti ciascuno, dei 450 protagonisti dell'ultimo caso. Non solo: l'unità dell'esecutivo è l'antidoto agli interventi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L'armonia tra il premier Giuseppe Conte e i ministri, e soprattutto quella tra i ministri stessi, è condizione indispensabile per non soccombere alla «moral suasion» del capo dello Stato. Considerazione basata su quanto accaduto nel caso della Diciotti: quando Mattarella ha telefonato a Conte, tra i vari argomenti utilizzati dal capo dello Stato per convincere il premier a far attraccare la nave c'è stato anche quello del rischio che le polemiche nella maggioranza potessero acuirsi, mettendo a rischio la tenuta stessa dell'esecutivo. Tutti allineati e coperti, dunque: ieri il governo e i massimi esponenti di M5s e Lega hanno accuratamente evitato di lasciarsi andare a distinguo e sfumature sull'argomento, come gli screzi con il ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Del resto, Mattarella, stando a quanto trapela da fonti vicine al Colle, non ha alcuna smania di tornare a occuparsi in prima persona di vicende che sono di esclusiva competenza del governo. La sua attenzione è puntata sul rispetto di alcuni principi: in particolare, quello dell'autonomia della magistratura dal potere esecutivo. Decidere chi ammanettare e chi no, è compito solo e soltanto della magistratura, a meno che ovviamente non ci si trovi di fronte a una flagranza di reato. Mattarella quindi, salvo clamorosi imprevisti, non muoverà un dito rispetto a questa nuova emergenza. Gli altri paletti che il Colle, fin dal momento delle lunghissime consultazioni del dopo-elezioni, ha ripetuto costantemente ai leader della maggioranza, sono il rispetto dei vincoli di bilancio e dei trattati internazionali. Dunque, la telefonata di Mattarella a Conte per «chiedere informazioni sulla Diciotti» resterà la prima e l'ultima. La strategia messa a punto ieri nel corso della telefonata tra il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, si è già rivelata vincente e verrà portata fino in fondo senza tentennamenti. Le opzioni per i migranti che si trovano a bordo della nave inglese di Frontex «Protector» (176) e della unità Monte Sperone della Guardia di Finanza (266) erano tre: la redistribuzione immediata dei migranti stessi in collaborazione con altri partner europei (perseguita, con successo); i contatti con Libia per il loro eventuale rientro sulle coste libiche, da dove sono partiti; la permanenza a bordo delle navi dove fare riconoscimenti ed esame delle richieste. Come sanno benissimo sia Conte che Salvini, la seconda opzione era puramente teorica, e la terza inevitabilmente temporanea. Il vero obiettivo, dunque, è costringere i partner dell'Unione europea a tradurre in fatti concreti le numerose buone intenzioni manifestate nei recenti vertici internazionali. «Sull'immigrazione l'Italia non va lasciata sola!» hanno ripetuto in coro i leader di tutta Europa e i vertici delle istituzioni di Bruxelles nelle ultime settimane. La linea dura di Conte e Salvini ha prodotto già un primo importante risultato: «Francia e Malta», ha annunciato Conte ieri sera, «prenderanno rispettivamente 50 persone dei 450 migranti trasbordati sulle due navi militari. A breve arriveranno anche le adesioni di altri paesi europei. È il primo importante risultato ottenuto oggi, dopo una giornata di scambi telefonici che ho avuto con tutti i 27 leader europei. Ho ricordato loro», ha aggiunto Conte, «la logica e lo spirito di condivisione che sono contenuti nelle conclusioni del consiglio europeo di fine giugno e che prevedono il pieno coinvolgimento di tutti i paesi dell'Ue. È proprio rifacendomi a questi principi, che ho chiesto loro di farsi carico di una parte di questi migranti. Le stesse cose le ho ribadite anche nella lettera che, come annunciato, ho inviato al presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, sollecitando una attuazione immediata delle conclusioni del Consiglio europeo». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/impedire-gli-sbarchi-alla-fine-paga-a-francia-e-malta-100-migranti-2586732313.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-colle-puo-spingere-ma-non-obbligare-il-capo-del-governo-ad-aprire-i-porti" data-post-id="2586732313" data-published-at="1766683739" data-use-pagination="False"> Il Colle può spingere ma non obbligare il capo del governo ad aprire i porti Porti chiusi: ma da chi? Il dibattito politico in questi giorni torridi sul fronte dell'immigrazione si concentra anche sulla complessa materia delle competenze dei vari ministri, del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica sugli attracchi delle navi nei porti e sugli sbarchi di chi si trova a bordo. Non sono pochi gli interrogativi sollevati da opinionisti e esponenti politici. Iniziamo da quello più attuale: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è rimasto nell'alveo delle sue prerogative istituzionali quando ha telefonato al premier Giuseppe Conte facendo sì che venisse consentito agli immigrati presenti sulla nave Diciotti di sbarcare a Trapani? Da un punto di vista prettamente istituzionale, in realtà, quello di Mattarella non è stato un intervento vero e proprio. Il presidente della Repubblica, telefonando a Conte, ha esercitato nient'altro che la più classica delle «moral suasion». In sostanza, quello del capo dello Stato è stato un consiglio, un suggerimento, anzi come ha fatto sapere il Quirinale una «richiesta di informazioni». Ovvio: Mattarella, telefonando a Conte, ha fatto valere il proprio peso istituzionale, ma la decisione di fare attraccare la Diciotti è stata una scelta politica dell'esecutivo, non si è trattato di un atto formale del Quirinale. In questi giorni, molti media hanno sottolineato che il capo dello Stato sarebbe intervenuto in quanto presidente del Consiglio supremo per la politica estera e la difesa, ed in questa veste in qualità di comandante delle Forze armate, poiché la Diciotti è una nave della Marina militare. Nulla di tutto questo: il presidente della Repubblica ha semplicemente fatto una telefonata, non ha convocato il Consiglio supremo, come invece lo stesso Mattarella fece lo scorso 5 ottobre 2017, quando convocò l'organismo mettendo all'ordine del giorno proprio il tema dell'immigrazione. Se Mattarella volesse intervenire formalmente su una vicenda come quella dell'immigrazione, potrebbe farlo attraverso un messaggio alle Camere, non certo con una telefonata. I poteri e le competenze sul tema degli sbarchi delle navi sono affidati, principalmente, a due ministeri: quello dell'Interno e quello delle Infrastrutture e Trasporti, e non è un caso quindi che Matteo Salvini e Danilo Toninelli siano i protagonisti principali delle vicende di questi giorni. La facoltà di vietare l'accesso alle acque territoriali o ai porti italiani è stabilita dall'articolo 83 del Codice della navigazione, ed è sempre in capo al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. «Il ministro dei Trasporti e della navigazione», recita l'articolo, «può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell'Ambiente, per motivi di protezione dell'ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende». Il primo caso, ovvero il divieto di accesso alle acque territoriali o a un porto italiano per motivi di ordine pubblico, è quello che ci interessa in questo caso, e chiama in causa il ministro dell'Interno. È accaduto alla fine dello scorso giugno per la Oper Arms, nave della Ong catalana Proactiva con 60 immigrati a bordo, quando Salvini scrisse a Toninelli evidenziando problematiche di ordine pubblico che a suo avviso richiedevano di vietare l'accesso ai porti italiani. Toninelli vietò alla Open Arms l'attracco in Italia, «in ragione della nota formale che mi arriva dal ministero dell'Interno e che adduce motivi di ordine pubblico». La nave andò in Spagna. Per quel che riguarda poi le funzioni della Guardia costiera, il fatto che le Capitanerie di porto e la Guardia costiera stessa siano un corpo della Marina militare non deve indurre in errore facendo pensare che dipendano dal ministero della Difesa. «Il Corpo», si legge infatti sul sito della Marina, «dipende funzionalmente dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per i compiti attribuiti a tale dicastero in materia di navigazione e trasporto marittimo, vigilanza nei porti, demanio marittimo e sicurezza della navigazione. Svolge, altresì, compiti e funzioni nelle materie di competenza dei seguenti dicasteri: dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare; delle Politiche agricole alimentari e forestali; dell'Interno; dei Beni e le attività culturali». Tra le funzioni e le competenze della Guardia costiera ci sono anche la ricerca e soccorso in mare (Search and rescue); la sicurezza della navigazione, con controlli ispettivi sistematici su tutto il naviglio nazionale mercantile, da pesca e da diporto, attività di Port state control, anche sul naviglio mercantile estero che scala nei porti nazionali e attività di maritime security; il controllo dei flussi migratori clandestini, in concorso con il ministro dell'Interno. I compiti del ministro degli Esteri, nel caso dell'immigrazione, riguarda i contatti con gli altri Stati e governi: ricordiamo che l'altro ieri, quando si è scatenando la nuova bufera per il barcone con 450 immigrati a bordo, è stata la Farnesina a chiarire che «la responsabilità del soccorso al barcone individuato in acque Sar maltesi spetta a Malta e lo sbarco dovrà avvenire in territorio maltese». Il coordinamento tra i ministeri e l'ultima parola nel caso di eventuali differenti valutazioni spetta naturalmente al presidente del Consiglio.Carlo Tarallo
In alto a sinistra una «Rettungsboje» tedesca. Sotto, la boa Asr-10 inglese e i rispettivi esplosi
Nei mesi della Battaglia di Inghilterra, iniziata nel luglio 1940 dopo la rapida caduta della Francia, la guerra aerea fu l’essenza della strategia da entrambe le parti. La Luftwaffe, con i suoi 2.500 velivoli in condizioni operative, superò inizialmente la Royal Air Force, che in quel periodo iniziò un enorme sforzo industriale per cercare di ridurre il «gap» numerico e tecnologico (nacquero in quel periodo i fortissimi caccia Hawker «Hurricane» e Supermarine «Spitfire» che saranno decisivi per l’esito finale della battaglia). Se le fabbriche sfornavano centinaia di velivoli al mese (i tedeschi con i Messerschmitt Bf 109, gli Heinkel 111 e i Dornier Do17), i comandi delle due aviazioni non potevano formare altrettanti piloti in così poco tempo, rendendo la figura dell’aviatore un bene preziosissimo da preservare il più possibile viste le ingenti perdite in battaglia. Un aspetto così delicato in un momento così drammatico per l’esito della guerra fu affrontato per primo dagli alti comandi della Luftwaffe. La necessità era quella di salvare il più alto numero di equipaggi in un teatro di operazioni principalmente localizzato nello specchio di mare della Manica, sopra il quale nel picco dei combattimenti dell’agosto 1940 volavano quotidianamente oltre 1.500 aerei.
La soluzione per il salvataggio degli aviatori in caso di ammaraggio con sopravvissuti venne da un ex asso della Grande Guerra, il generale di squadra aerea Ernst Udet. L’ufficiale, secondo solamente al «Barone Rosso» Manfred von Richtofen per numero di abbattimenti, era stato da poco nominato responsabile per la logistica e gli appalti della forza aerea del Terzo Reich. Fu nel picco delle operazioni dell’estate 1940 che Udet sviluppò la sua idea: una boa «abitabile», posizionata nei tratti di mare statisticamente più soggetti agli ammaraggi e ancorata al fondale. I piloti potevano leggerne la posizione sulle carte aeronautiche in dotazione. Di forma esagonale, la «Rettungsboje» (letteralmente boa di soccorso) aveva una superficie abitabile di 4 metri quadrati. Lo scafo aveva un’altezza di 2.5 metri ed era sovrastato da una torretta finestrata di ulteriori 1,8 metri. Verniciata in giallo, presentava una visibile croce rossa (standard della Convenzione di Ginevra) sui lati della torretta. All’interno dello scafo potevano trovare alloggio sicuro quattro aviatori, con due cuccette a castello ancorate alla struttura per rimanere stabili nel mare agitato. Riscaldata da una stufa ad alcool, la boa offriva razioni d’emergenza e acqua ma anche cognac, sigarette e carte da gioco. Negli armadi erano presenti il kit di primo soccorso ed abiti asciutti, mentre le comunicazioni erano fornite da una radio ricetrasmittente. All’interno c’erano anche una pompa per eventuali falle e un canotto per raggiungere i soccorsi una volta giunti nei pressi della boa. Completavano l’equipaggiamento razzi di segnalazione e una macchina per i fumogeni di emergenza. Il personale ospitato dalle boe poteva resistere protetto dall’ipotermia e dai marosi anche per una settimana nell’attesa che un idrovolante di soccorso o una nave li raggiungesse.
Circa 50 furono le «Rettungsbuoje» dislocate nella Manica, contribuendo al salvataggio di un numero imprecisato di aviatori. Gli inglesi realizzarono un mezzo simile nello stesso periodo, seppure molto differente nella forma. La boa ASR-10 (Air Sea Rescue Float) assomigliava molto ad un motoscafo, seppur priva di propulsore. Era studiata per facilitare l’accesso da parte dei naufraghi in balia delle onde, con la poppa digradante verso l’acqua. L’equipaggiamento era molto simile a quello della boa tedesca. Dipinta in rosso e arancio vivaci, fu realizzata in 16 esemplari ancorati nel braccio di mare tra Inghilterra e Francia tra il 1940 ed il 1941. Oggi un esemplare è conservato presso lo Scottish Maritime Museum.
Le boe tedesche, dopo la fine della Battaglia di Inghilterra, furono spostate presso le Channel Islands, il piccolo arcipelago occupato temporaneamente dai tedeschi e utilizzate come punti di vedetta o di difesa dopo essere state munite di una mitragliatrice. A causa della loro vulnerabilità furono quasi tutte affondate dagli aerei della Raf. Un esemplare recuperato nel 2020 dopo essere rimasto per decenni arenato e insabbiato a Terschelling nelle isole Frisone occidentali è conservato al «Bunkermuseum» dell’isola olandese.
Ernst Udet, dopo l’esito infausto della Battaglia d’Inghilterra per la Luftwaffe, già in preda all’alcolismo cadde in depressione. Si tolse la vita a Berlino il 17 novembre 1941, forse anche per le conseguenze della pressione psicologica che Hermann Göring esercitò sull’ufficiale dell’aeronautica addossandogli la responsabilità della sconfitta.
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Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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