2021-10-04
Imparare a tacere per salvarsi dal caos dell’opinione continua
Nel fracasso disorientante della chiacchiera compulsiva indotta dai social l'unico modo per non smarrirsi è chiudere la bocca e smettere di «postare». Mai come oggi l'uomo è stato circondato dalla gazzarra e potremmo benissimo definire questo evo l'età del chiasso. Un chiasso sonoro, responsabile dell'inquinamento acustico del quale si parla da tempo. E poi un chiasso scritto, che trasforma l'epoca del silenzio zero in senso acustico in quella del silenzio zero in senso assoluto. Oltre al frastuono sonoro, c'è infatti un inquinamento che non dipende dal fracasso della città supermoderna, ma dalla comunicazione supermoderna. L'indagine Digital 2021 pubblicata nel gennaio scorso da We are social spiegava come su 7,83 miliardi di persone 5,22 miliardi (il 66,6%) utilizzano telefoni cellulari, 4,66 miliardi accedono a Internet (59,5%) e 4,20 miliardi (53%) sono utenti di social network. Tramite smartphone, passiamo 2 ore e 25 minuti al giorno sui social, quasi un giorno intero a settimana. Ma tramite tutti i device, dallo smartphone al pc, le ore passate nel Web (non per lavorare, ma per svago) sono ben 6.54, quasi la metà del nostro tempo di veglia su una giornata con 9 ore di sonno. Considerato che sono soltanto 3.24 le ore passate a guardare la tv, possiamo decretare che Internet sia il nuovo, vero e grande medium. ma quale informazioneAncora più stupefacente è che il 63% del campione dell'indagine ha dichiarato di andare su Internet, social network compresi, a «cercare informazioni». Facciamo un esperimento: aprendo Twitter, troviamo in tendenza Greta Thunberg, in tour a Milano il 28 settembre scorso alla conferenza Youth4climate; clicchiamo sull'hashtag e tra i tweet popolari, quelli che il social mostra per primi, leggiamo «Chi si è rotto il c...o di Greta alzi la mano». Anche noi disapproviamo il modo in cui questo personaggio porta avanti tesi molto discutibili, ma a cosa serve un tweet del genere, al quale somigliano la maggior parte dei post sui social network? A fare informazione? O a fare rumore? Fino all'avvento di Internet, i media di massa erano stampa, radio e tv. E già non erano pochi. Ma con Internet e poi i social su smartphone la possibilità comunicativa è divenuta una vera e propria rete. Una rete rispetto alla quale sempre più spesso viene da consigliare - per dirla coi versi di In limine di Eugenio Montale - «cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!». Prima si apprendeva quanto era successo nel mondo una volta al giorno, leggendo il giornale. Con radio e tv la frequenza informativa è aumentata. Adesso siamo all'informazione continua, 24 ore su 24. Soprattutto, ogni fruitore di informazione è stato a sua volta trasformato in potenziale creatore di contenuti che finiscono nel calderone di Internet e, siccome la vanità è sempre tanta, quasi chiunque compie il passo dalla potenzialità alla effettività e finisce per trascorrere la giornata a «postare» opinioni irrilevanti ai fini della conoscenza propria e altrui su qualunque cosa. l'ingorgo del WebÈ un circuito senza soluzione di continuità, un continuo rimpallo che ha abbattuto i muri tra i vari media: tv, radio e stampa riprendono i post social su notizie soprattutto politiche di Vip che niente hanno a che fare con la politica; poi, a ruota, gli utenti social dicono la propria sull'hashtag diventato trending topic, così rendendolo ancora più di tendenza e cooperando alla precostituzione dei temi sui quali esprimersi, accentrando l'attenzione collettiva su questioni che non hanno alcuna reale rilevanza. Venti anni fa, una dichiarazione come quella di Chiara Ferragni a favore del ddl Zan, «Che schifo che fate politici», non sarebbe stata considerata una notizia nemmeno se la banalità fosse stata proferita dalla regina Elisabetta. Pochi mesi fa è diventata tema per tg e per riflessioni di opinionisti della carta stampata, da Massimo Gramellini a Michele Serra. Il rumore del «traffico umano» su Internet non è poi così diverso da quello di migliaia di mezzi di trasporto pubblici e privati che ogni giorno intasano le strade delle città e ci sfondano i timpani. Come il caos stradale dovuto a troppi mezzi in circolazione rende difficile il raggiungimento del proprio indirizzo di destinazione, così il caos opinionistico impedisce di pervenire alla vera informazione. Un detto partenopeo recita: «Troppi galli a cantà nun schiara mai juorno», quando cantano troppi galli non fa mai giorno, ed è così. L'orgia comunicativo-espressiva a cui ci induce Internet, potremmo chiamarla «all you can express», come un «all you can eat» al quale non sottoponiamo il gusto, ma l'attenzione. Era previsto: la convergenza multimediale è l'ibridazione di tanti media in uno solo, deputato a tutto, educazione, sorveglianza, commercio, servizi bancari, intrattenimento, ricerche, medicina eccetera, e il cellulare è diventato questo. Nicholas Negroponte, nel best seller del 1995 Being digital, aveva preconizzato tutto: dalle interfacce digitali che come segretari personali automatici avrebbero discriminato le informazioni da sottoporci, alla tecnologia comunicativa senza fili che ci avrebbe seguito in tasca andando in giro per la città con una mappa digitale per l'aggiornamento della nostra posizione in tempo reale. il vizio di sparlarePur salvando ciò che di positivo c'è in questa connessione continua a Internet e social network, bisogna però contrastare l'aspetto estremamente negativo dello spreco dell'opinione cui il Web induce. Contro la dissipazione della nostra attenzione - altro effetto dell'opinionismo compulsivo, che spesso sfocia in tafferugli virtuali ma non meno insalubri di quelli a quattrocchi - occorre riscoprire il valore del silenzio. Nella prefazione al libro del 2019 di fra Emiliano Antenucci Non sparlare degli altri, il papa Francesco spiega: «Il silenzio è anche la lingua di Dio ed è anche il linguaggio dell'amore, come Sant'Agostino scrive: “Se taci, taci per amore, se parli, parla per amore". Non sparlare degli altri non è solo un atto morale, ma un gesto umano, perché quando “sparliamo" degli altri, sporchiamo l'immagine di Dio che c'è in ogni uomo. È importante l'uso giusto delle parole. Le parole possono essere baci, carezze, farmaci oppure coltelli, spade o proiettili. Con la parola possiamo bene-dire o male-dire, le parole possono essere muri chiusi o finestre aperte». Secondo il Pontefice «siamo “terroristi" quando buttiamo “le bombe" del pettegolezzo, della calunnia e dell'invidia». Partendo dal silenzio, invece, «si arriva alla carità verso gli altri. La Vergine del silenzio ci insegni l'uso giusto della nostra lingua, ci doni forza di benedire tutti, la pace nel cuore e la gioia di vivere». Il culto della quiete La suggestiva icona della Vergine del silenzio si trova nell'omonimo santuario nella chiesa di San Francesco di Avezzano (L'Aquila) e si ispira alle parole del Vangelo di Luca su Maria: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Ma la religione cattolica non è l'unica ad amare il silenzio. Come mostra anche il film Mangia, prega, ama nella scena in cui la protagonista, trasferitasi in un ashram in India, ha iniziato il suo periodo di silenzio, anche le religioni orientali ne riconoscono l'importanza. Nel Bhagavad Gita (o «Canto del divino») circa 700 versi del poema epico Mahābhārata, che ha valore di testo sacro nell'induismo, sta scritto che l'allegria, la gentilezza, il silenzio, la contemplazione e i pensieri positivi riflettono l'austerità della mente. Mauna-vratha, il «voto del silenzio», è una pratica che si svolge per 16 giorni nel mese Bhadra, il sesto del calendario indù, che aiuta ad acquisire purezza nella parola, che non è più schiava dell'istinto compulsivo di esprimersi. Se col silenzio si è assenti a livello sonoro fuori da sé, si è però più presenti mentalmente. A sé stessi e al contesto. Il nostro tacere permette l'ascolto: l'ascolto interiore di noi stessi e l'ascolto di tutto quanto esiste al di fuori di noi. Compiere le azioni in silenzio aumenta il livello di consapevolezza e concentrazione. Si mangia consapevolmente, si cammina consapevolmente, si riposa consapevolmente, qualsiasi cosa si faccia senza parlare acquista una profonda eco interiore perché i nostri pensieri non sono distratti dall'espressione. Lo swami Veda Bharati, nel 2013, spiegando come doveva funzionare la giornata annuale di silenzio dell'isola di Bali in Indonesia, disse: «In quel giorno, non si guida (salvo che per le emergenze), niente tv, niente conversazione, solo auto-osservazione, contemplazione, japa e apprendimento del dare amore nel silenzio e dell'imparare ad amare il silenzio». Come spiega John Biguenet in Elogio del silenzio. Come sfuggire al rumore del mondo, «isolarsi volontariamente per rafforzare lo spirito è una pratica comune a molte religioni». Non occorre seguire tutti i precetti di Veda Bharati, ma «dare amore nel silenzio e imparare ad amare il silenzio» sono cose di cui, oggi, abbiamo un gran bisogno. L'arte di restare zittiNel pepato libretto L'arte di tacere seguita dall'arte dello scriver poco, l'abate settecentesco Joseph-Antoine-Toussaint Dinouart premetteva: «La smania di parlare e di scrivere sulla religione e sul governo è diventata una malattia, un'epidemia che colpisce moltissimi tra noi. Gli ignoranti, così come i filosofi di oggi, sono caduti in una specie di delirio». I principi di Dinouart, stilati in un'epoca in cui ancora non scorrevano i fiumi di post social - la cui visione, probabilmente, gli avrebbe procurato un colpo d'apoplessia, poveretto! - valgono anche oggi. Eccone alcuni: «1) Si deve smettere di tacere solo quando si abbia qualche cosa da dire che valga più del silenzio. 2) C'è un tempo per tacere come c'è un tempo per parlare. 3) Il tempo per tacere deve essere nell'ordine sempre il primo: non si saprà mai parlar bene se prima non si è imparato a tacere. 4) Tacere quando si è tenuti a parlare è una cosa da deboli e da imprudenti, parlare quando si deve tacere è sintomo di leggerezza e indiscrezione».
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