2022-07-04
Immigrazione, Ong all'attacco
I taxi del mare hanno ricominciato a solcare le acque del Mediterraneo per recuperare migranti e portarli in Italia: negli ultimi 10 giorni ne hanno sbarcati 1.034. Mentre Luciana Lamorgese incolpa l’Ue di lasciarci soli, sulle nostre coste sono approdati oltre 27.000 immigrati. Giunti in Italia, i profughi si riversano in grandi città come Roma, Milano o Napoli, invadendo interi quartieri e occupando abitazioni con l’appoggio di una certa politica.L’ammiraglio Nicola De Felice: «Le loro navi arrivano sotto costa nella zona di competenza libica. Nonostante l’Onu abbia regolarizzato le zone Sar se ne fregano delle leggi».Lo speciale contiene due articoliAl momento in mare ci sono la Ocean Viking e la Geo Barents. La prima con 228 passeggeri, la seconda con 65, parte di un carico che è finito disperso in mare. Si sono autoproclamate «fondamentali» per salvare vite umane. L’ultima settimana, però, ha messo in crisi questo concetto: lunedì 27 giugno nel naufragio a largo di Malta sono decedute almeno 30 persone, fra loro cinque donne e otto bambini; altre cinque vittime nella notte di mercoledì sono state trovate dalla Guardia nazionale tunisina. E c’è una barca fantasma partita dalla Tunisia con destinazione Lampedusa mai arrivata a destinazione. Perché a più partenze corrispondono sempre più morti in mare. Il fallimento della missione ha quindi trasformato definitivamente le Organizzazioni non governative in taxi del mare, che stazionano davanti alle coste della Libia e della Tunisia in attesa di un Sos partito da qualche barcone spesso messo in mare da scafisti trafficanti di esseri umani.E proprio la funzione di taxi del mare si è intensificata: negli ultimi dieci giorni le Ong hanno traghettato sulle coste italiane 1.034 passeggeri. I casi più noti: i 59 migranti trasporti dalla Louise Michel, sovvenzionata dal noto graffitaro Bansky, a Lampedusa; Nadir di Resqship sempre a Lampedusa ne ha scaricati altri 19; Sea watch 4 ne ha fatti sbarcare 303 a Porto Empedocle (Agrigento); la Sea eye 4 è approdata a Messina con 476 passeggeri; Aita mari si è presentata ad Augusta con 112. Rispetto allo scorso anno c’è una notevole differenza: fino al 25 giugno 2021, la nave della Ong spagnola Open Arms è stata bloccata a Pozzallo per un provvedimento amministrativo. Inoltre nel porto di Buriana (Spagna) erano ferme la Sea-Eye 4, la Sea Watch 4, la Sea Watch 3 e la Alan Kurdi. Di fatto buona parte dei taxi del mare era fuori uso. Nonostante la situazione sbarchi sia da tempo fuori controllo, le principali Ong che operano nel Mediterraneo hanno recentemente scritto una lettera al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Dallo stile e dalle parole utilizzate, l’obiettivo finale è apparso evidente fin da subito. Per i teorici dell’accoglienza a ogni costo serve un ripensamento delle regole d’ingresso in Europa. Va da sé che le modifiche dovrebbero eliminare ogni norma che intralci l’immigrazione incontrollata. «I Paesi europei e l’Italia», scrivono Medici senza frontiere, Emergency, Sea watch, Open Arms, Mediterranea saving humans, ResQ-people saving people, Sos mediterranée e Alarm phone, «devono ritornare a degli standard decenti di tutela della vita umana, nel rispetto dei propri principi fondanti». Tradotto: niente attese per ottenere un porto di sbarco. La narrazione ideologica di Carola Rackete e compagni è la solita: «Azioni urgenti» perché «il salvataggio in mare è un obbligo degli Stati. Oltre che un dovere morale». I taxi del mare, inoltre, puntano il dito contro la Guardia costiera libica, denunciando «l’illegittimità giuridica delle intercettazioni e dei respingimenti». In maniera ancora più netta, a loro (insindacabile) giudizio bisogna togliere qualsiasi tipo di «sostegno alle autorità libiche». Quello per la Libia e il suo mare sembra un vero e proprio cruccio. Senza dubbio tra le concause scatenanti il caos migratorio degli ultimi mesi rientrano siccità e carestia (dovuta alla mancanza di grano ucraino) che stanno spingendo decine di migliaia di africani a lasciare in massa i loro Paesi di origine. In un contesto logico e privo di pregiudizi, la situazione internazionale dovrebbe suggerire allo spirito critico dei responsabili dei taxi del mare di spingersi anche verso Est. Facendo rotta sul Mar Nero per dare una mano ai profughi ucraini in fuga da Odessa e dal Mare d’Azov. Ma questo cambio di prospettiva al momento pare proprio non essere contemplato. Anche perché quasi sempre dopo le operazioni al largo e nei momenti di pausa tra un film (come quello su Open Arms mandato in onda nei cinema a febbraio) e una raccolta fondi, le imbarcazioni delle Ong continuano a trovare riparo e un porto sicuro in Italia.Ovviamente il racconto di Lamorgese tende a tirare dentro l’Europa: «La risposta all’immigrazione irregolare non può prescindere da una concertata azione europea». Al Viminale, nonostante i fallimenti del Patto di Dublino, sembrerebbe che continuino a fare affidamento sull’Unione Europea: «È stato approvato un pacchetto attuativo della prima fase dell’approccio graduale in materia di immigrazione e asilo». E ancora: «Un meccanismo di solidarietà per aiutare gli Stati membri di primo ingresso e due regolamenti per rafforzare la protezione delle frontiere esterne dell’Unione europea». Ma è inevitabile che più di qualche perplessità sulla reale capacità, o meglio volontà di ricollocamento in ambito europeo, resti. Anche alla luce del recente passato, in cui l’Italia si è trovata da sola a fronteggiare l’emergenza. Con numeri di queste proporzioni: all’1 luglio 27.633 sbarcati, contro i 20.855 dello stesso periodo del 2021 e i 7.202 del 2020. Anche le località di provenienza non lasciano dubbi sulla tipologia di sbarcati: 4.120 dal Bangladesh, 3.935 dall’Egitto, 2.757 dalla Tunisia. Si tratta quindi di immigrati economici e non di potenziali richiedenti asilo. Ovviamente dopo lo sbarco sulle coste e l’identificazione, con un decreto di espulsione in tasca, la maggior parte degli sbarcati si riversa nelle grandi città italiane: Roma, Milano e Napoli. E finisce per occupare interi quartieri. Sostenuta da una certa politica. Il Campidoglio, per esempio, per gli abusivi si prodiga al punto da rendere gli occupanti possessori di diritti: ovvero il diritto a ottenere la residenza. Infatti la giunta di centrosinistra ha stabilito che i richiedenti asilo e protezione internazionale, già abusivi in un edificio, potranno ottenere la residenza e l’allacciamento ai pubblici servizi per l’immobile. Una norma che deroga all’articolo 5 del decreto dell’ex ministro Maurizio Lupi. Cavillo giuridico già varato nel 2019 dall’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Sempre a Roma è stata programmata la riqualificazione del Porto Fluviale Rec House: storica caserma dell’Aeronautica militare occupata dal 2003, da allora nell’edificio di interesse storico per il Mibact c’è spazio per i clandestini e il centro sociale. Per l’area dovrebbero essere destinati 13 milioni di euro di fondi europei legati alla pandemia. Viene da pensare che di sgomberi se ne facciano pochi per tornaconto elettorale e per nascondere all’opinione pubblica il contesto criminale in cui sorgono le occupazioni. Come nel caso di alcuni appartamenti popolari situati a San Basilio e a Tor Bella Monaca, finiti nelle mani del clan Moccia che nella Capitale, oltre alla tradizionale attività di spaccio, gestisce proprio il racket delle case popolari.Delle 48.000 case popolari che compongono il patrimonio immobiliare di Ater (azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica), 6.000 sono occupate da chi non ha titolo per accedervi. A Roma il tasso di abusivismo pesa per il 12,5% del totale. Anche l’edilizia popolare di Milano è per la maggior parte in mano a stranieri e criminali. Lo dimostra la mega rissa scatenatasi in via Bolla lo scorso 11 giugno. Un litigio tra vicini ha dato vita a scene da Far West: almeno 60 persone tra rom e abusivi hanno aggredito, con coltelli e spranghe, i pochi residenti italiani dell’area. Scene di ordinario degrado diffuse in maniere virale sui principali social network. Il tasso di abusivismo tra gli abitanti delle case popolari è molto alto pure in Campania. Nella Regione se ne calcolano circa 20.000, di cui la metà nella sola Napoli. E da tempo viene chiesta una graduatoria che metta ordine e ripristini un barlume di legalità nell’assegnazione della casa. In Italia l’edilizia popolare copre solo il 5% del fabbisogno, in alcuni Paesi europei questo dato raggiunge il 9 per cento. Nel frattempo in questi abitati dimenticati dalle istituzioni crescono e si formano i criminali che seminano violenza e panico. Soprattutto quelli di seconda generazione. Come a Peschiera del Garda, proprio nel giorno della festa della Repubblica. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/immigrazione-ong-allattacco-2657603332.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="magari-non-lo-sanno-ma-le-onlus-aiutano-il-traffico-di-esseri-umani" data-post-id="2657603332" data-published-at="1656878642" data-use-pagination="False"> «Magari non lo sanno ma le onlus aiutano il traffico di esseri umani» L’ultimo incarico prima della pensione spiega bene quanto l’ammiraglio (di riserva) Nicola De Felice, decano del Centro studi Machiavelli, conosca il fenomeno migratorio. È il 2015 quando viene nominato comandante della Marina militare in Sicilia e il 18 aprile di quell’anno un barcone con poco meno di mille passeggeri a bordo affonda nel Mediterraneo. Una strage senza precedenti. È lui che si occupa del recupero di 700 salme. Ammiraglio, è una vicenda che deve averla segnata particolarmente. «Al punto da determinarmi a fondare un comitato nazionale che ha come obiettivi principali la difesa della sovranità nazionale, la lotta al fenomeno della tratta degli esseri umani, anche nei confronti di chi la sostiene indirettamente». La stagione estiva è quella in cui le Ong giocano un ruolo chiave. Concretamente come agiscono? «Le loro navi arrivano sotto costa nella zona di competenza libica. Dopodiché nonostante l’Onu abbia regolarizzato le zone Sar (Search and rescue, ndr) di Tripoli, La Valletta, Tunisi e Roma, se ne fregano delle regole. Perché hanno il diritto dovere di chiedere il Pos (porto sicuro, ndr) a Tripoli. Per essere più chiari: se salvo dieci persone nella Sar maltese dovrei portarle a Malta. Tutto ciò è regolarizzato dall’Onu attraverso il suo braccio esecutivo che è l’Imo (organizzazione internazionale marittima, ndr) che assegna le zone Sar a tutto il mondo. E c’è un altro aspetto da considerare». Quale? «Ormai le imbarcazioni delle Ong sono molto attrezzate. A bordo hanno le migliori tecnologie e medici, dunque da un punto di vista tecnico potrebbero essere considerate un porto sicuro. È un aspetto importante, senza dimenticare che in media tengono per due settimane i passeggeri a bordo. Il regolamento di Dublino è chiaro: non parla di Pos, ma di primo passaggio illegale. Dunque nel momento in cui il primo passaggio illegale viene eseguito a bordo di una nave norvegese, è la Norvegia che si deve occupare di quel clandestino». Quindi l’Italia dovrebbe essere più rigorosa nel far rispettare le regole anche ai partner europei? «Assolutamente, anche perché le norme ci danno ragione. Basti pensare al Trattato internazionale del diritto marittimo, riconosciuto dall’Onu e ratificato da 200 Paesi fra cui l’Italia, e il Codice della navigazione italiana. Norme che giustificano qualsiasi tipo di operato dello Stato costiero, il quale potrebbe individuare nelle navi Ong possibili pericoli o attività di immigrazione clandestina. Lo dico in maniera benevola, sono convinto che le Ong aiutino inconsapevolmente la tratta di esseri umani. Comunque il nostro Paese più che sul piano normativo dovrebbe agire in campo diplomatico». In che modo? «Prendendo una posizione netta con le ambasciate che hanno la stessa bandiera delle imbarcazioni. Servirebbe una capacità contrattuale ben diversa da quella di cui disponiamo al momento sullo scacchiere internazionale». Alla lunga lista dei finanziatori vip delle Ong si è aggiunto il graffitaro Banksy. «Un egocentrico che vuole accreditarsi come filantropo donando un milione di euro alla Louise Michel, che guarda caso batte bandiera tedesca. A me non preoccupa Banksy ma la chiesa evangelica tedesca che foraggia le Ong con milioni e milioni di euro, anche grazie allo Stato tedesco. I loro fedeli credono di risolvere così i problemi del mondo. Pensano di fare del soccorso quando in realtà stanno contribuendo ad un’attività da «tassinari»». Come giudica l’attuale politica dei rimpatri? «Mi dispiace ripetermi ma anche in questo caso dovremmo avere una forza contrattuale in campo diplomatico ben diversa. Per essere ancora più chiari: ad oggi l’Italia può vantare un solo accordo bilaterale con i Paesi di origine, il trattato è stato siglato con la Tunisia e prevede il rimpatrio di circa 70 persone ogni tre settimane. Se lo confrontiamo con i numeri del ingressi è davvero poco. Per non parlare del fatto che con Egitto, Bangladesh, Pakistan, Somalia e Nigeria non c’è nessun accordo in tal senso». L’immigrazione non ha solamente costi sociali ma anche economici. «Ricordo che nel 2019 all’epoca del governo giallo-verde la Lega tentò di inserire una norma che prevedesse sanzioni dure per chi favoriva gli sbarchi. Dopo la levata di scudi della sinistra non se ne fece più nulla. Nonostante l’assenza di una legge basterebbe applicare il Codice della navigazione italiana: prevede che le spese del servizio che lo Stato rende per qualsiasi motivo alle navi Ong che approdano in Italia siano a carico dello Stato di bandiera. Potete immaginare i costi delle varie attività delle navi militari o dei volontari attivati per ricevere i migranti. A oggi queste spese le paga il contribuente italiano». Analizzando i dati sugli sbarchi il 2022 non rischia di essere l’annus horribilis del fenomeno migratorio? «Se gli approdi nel nostro Paese continueranno con questo ritmo la situazione presto diventerà molto critica. Gli ultimi dati dicono che al 1° luglio ne sono arrivati 27.633, probabilmente entro la fine dell’anno supereremo i massimi storici. Per essere chiari e dare una cifra indicativa rischiamo di far entrare 90.000-100.000 stranieri in Italia. Una situazione che è in parte dovuta all’utilizzo di nuovi itinerari». In che senso? «I cittadini del Bangladesh, dell’Egitto e dell’Afghanistan, tre delle quattro nazioni che attualmente forniscono il maggior numero di migranti all’Italia, non usano solamente come in passato la rotta libica. Molti prima prendono l’aereo verso l’Albania (Tirana) o Cipro (Tymbou). E siccome quest’ultima è una zona poco controllata, da lì riescono a proseguire via mare con barconi e navi a vela verso la Calabria. È per questo che da mesi quella Regione è sotto pressione (solo a Roccella Jonica da inizio anno sono 27 gli sbarchi complessivi, ndr)». Anche lei ritiene che la guerra in Ucraina abbia contribuito all’attuale pressione migratoria che stiamo subendo? «Senza dubbio, perché ha destabilizzato il settore energetico e alimentare. Però penso che il peggio debba ancora arrivare. In Paesi come Egitto, Bangladesh e Tunisia i veri problemi non sono politico-istituzionali, ma economici. Queste nazioni che ho appena citato sono a rischio default perché hanno investito molto sui treasury statunitensi, obbligazioni governative, il cui tasso di interesse è stato recentemente rialzato dalla Fed . A breve Al Cario potrebbero avere serie difficoltà nell’approvvigionamento dei beni primari. E in Egitto vivono 104 milioni di persone…».
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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