Si lamenta don Mattia Ferrari, si lamenta Luca Casarini e si lamentano pure i vescovi. Tutti sostengono di sentirsi diffamati e per questo annunciano di aver dato mandato ai propri legali di agire contro La Verità e Panorama.
Tuttavia, mentre con le agenzie e durante le interviste sono assai loquaci nel denunciare la presunta opera di manipolazione di cui si sentono vittime, poi alla richiesta di spiegare che cosa ci sia di sbagliato nei nostri articoli e invitati a chiarire la strana faccenda dei soldi delle diocesi finiti nelle tasche dei disobbedienti, all’improvviso tutti perdono la voce. La storia ai nostri lettori è nota, perché ne parliamo da giorni. Lavorando sulle attività della Ong fondata da Casarini abbiamo scoperto che ha beneficiato di un paio di milioni. Assegni che sarebbero stati staccati da monsignori e associazioni vicine alla Conferenza episcopale italiana. Ufficialmente, il denaro sarebbe servito a sostenere l’attività di soccorso in mare dei migranti, ma leggendo alcuni messaggi che i protagonisti di questa vicenda si sono scambiati, sembrerebbe che qualche rivolo sia stato usato anche per pagare l’affitto e la separazione dell’ingombrante contestatore. «Senza» spiega lo stesso Casarini in una delle chat, «avrei dovuto lavorare al bancone di un bar».
Certo, a leggere la trascrizione delle conversazioni che si è scambiata la combriccola di pescatori di migranti, c’è da rimanere basiti, perché più che avere a cuore la situazione dei profughi intenzionati ad attraversare il Mediterraneo anche a rischio della vita, si ha la sensazione che ai componenti del gruppo interessino solo i soldi e le manovre di Palazzo dentro la Chiesa. Denaro richiesto, sollecitato ed evocato a più non posso nelle chat, ma che dopo le nostre rivelazioni viene negato fino a parlare di una vera e propria macchinazione contro la Ong fondata e guidata da Casarini.
Eppure, prima della pubblicazione dell’inchiesta di Panorama il nostro Giacomo Amadori aveva sollecitato una risposta proprio della Cei sul delicato tema dei fondi, ma la persona delegata a intrattenere i rapporti con la stampa non ha mai risposto ai nostri interrogativi. Prima perché impossibilitato, poi perché malato, quindi semplicemente perché impegnato altrove. Risultato, le nostre domande per capire come mai la Conferenza episcopale italiana avesse deciso di sostenere anche economicamente l’iniziativa di Casarini & C. non hanno ottenuto alcun chiarimento. Strano, trattandosi di un’opera di bene, che un giornale dei vescovi come Avvenire, invece di rivendicare con orgoglio una scelta, si limiti a frasi assolutamente generiche, senza entrare nel merito di una vicenda che certo colpisce molti fedeli. Sul quotidiano cattolico infatti, è apparso solo un corsivo in cui si dice che l’unica trama che unisce gli alti prelati è la carità nella verità. Un banale gioco di parole, che tuttavia non spiega come mai intorno ai rapporti finanziari con Casarini si registri tanto imbarazzo e così poca trasparenza. Se l’unica notizia degna di essere chiamata tale, secondo la testata episcopale è che «da duemila anni o in giù di lì la Chiesa è accanto ai migranti», perché non dire che lo è anche economicamente, cioè annunciando di aver messo mano al portafogli? Forse per paura delle reazioni di quanti si chiedono perché non rifornire di adeguati mezzi i tanti volontari che aiutano nel sociale, sostenendo anche i molti poveri che ci sono nelle nostre città senza bisogno di importarne altri? Abituati a muoversi in maniera felpata nelle stanze del potere, da grand commis della Chiesa, a quanto pare nessun vescovo ha voglia di metterci la faccia e di spiegare come siano nati i rapporti tra preti e mangiapreti nel nome dei migranti.
Al contrario, la faccia ce la mette eccome Luca Casarini il quale, da Capitan Fracassa che è, agita continuamente la minaccia dell’azione legale, forse pensando che basti quella per non rispondere ai normali quesiti che si fanno tutti. L’ex leader dei disobbedienti crede che basti il ricorso a un avvocato per mettere il bavaglio a un giornale? Ma come, fino all’altroieri, lui e i suoi compagni erano per la libertà d’informazione, contro i tentativi di irregimentare le intercettazioni, e ora che la cosa lo riguarda, che fa? Invoca la privacy. Don Ferrari, il prete da barca (un tempo c’erano quelli da strada), invece scomoda perfino i diritti costituzionali, che a suo dire sarebbero stati violati.
L’unica cosa che però nessuno si sente di fare è vuotare il sacco e dire quanti soldi sono stati ricevuti e come sono stati impiegati. È vero, non si tratta di denaro del contribuente, ma sono pur sempre quattrini di proprietà dei fedeli, i quali qualche diritto di sapere come si spendono i fondi destinati alla carità (quella vera) forse ce l’hanno.