Con gli sbarchi cresciuti a luglio del 600% rispetto allo scorso anno, da Lampedusa a Ventimiglia i centri d'accoglienza esplodono. E i clandestini, spesso con il Covid, vagano indisturbati per i centri abitati creando allarme e facendo scappare i turisti.
Con gli sbarchi cresciuti a luglio del 600% rispetto allo scorso anno, da Lampedusa a Ventimiglia i centri d'accoglienza esplodono. E i clandestini, spesso con il Covid, vagano indisturbati per i centri abitati creando allarme e facendo scappare i turisti.Il mese che si è appena concluso ha rappresentato un incubo per moltissimi italiani. Gli sbarchi di migranti in luglio sono stati 6.760, più del 600% rispetto allo scorso anno quando furono 1.088. Per il nostro Sud si è trattata di un'invasione senza controllo, con forze dell'ordine, operatori sanitari, volontari lasciati soli a fronteggiare arrivi selvaggi mentre la popolazione subiva le incursioni via mare di clandestini che nessuno respinge. Lampedusa, soprattutto, è diventata l'isola della vergogna: per questo governo, non certo per i suoi abitanti fin troppo pazienti e accoglienti. Gli ultimi trenta giorni, però, hanno visto diffondersi e moltiplicare le tensioni in tutto il Paese perché gli extracomunitari sono sempre di più, molti di loro sono positivi al coronavirus e il Viminale ha pensato bene di distribuirli un po' ovunque. Come se non bastasse, i centri di accoglienza stipati all'inverosimile e presidiati da pochi poliziotti non riescono a garantire i necessari controlli, quindi centinaia di possibili «untori» sono riusciti a fuggire e stanno circolando per le nostre Regioni, senza che possiamo opporci e dire basta. Dopo mesi costretti a rispettare regole durissime dentro e fuori casa, in uno stato d'emergenza ormai senza fine, gli italiani giustamente non accettano di vedere migranti che arrivano e si muovono liberamente, scappano, non usano mascherine, nemmeno si sognano di osservare le misure sanitarie a noi imposte. C'è rabbia ma anche paura, perché i focolai di Covid-19 portati dagli stranieri sono una realtà. Il 20 luglio, alcuni sindaci chiudono con un lucchetto i cancelli dell'ex centro di accoglienza di Conetta: non vogliono che vengano trasferiti gli stranieri malati «nell'unico Comune del Veneziano che non ha avuto nemmeno un contagiato». E c'è preoccupazione perché in questa estate disgraziata per tanti albergatori e ristoratori, la vista di migranti infetti sulle spiagge e nelle città non richiama turisti. Dopo la scoperta di 42 migranti positivi (più un operatore) alla sede della Croce Rossa a Lido di Jesolo, il sindaco Valerio Zoggia ha detto di voler denunciare chi doveva sorvegliare e non l'ha fatto con il risultato che «in poco tempo c'è stata una pioggia di disdette», da parte di vacanzieri. Altri primi cittadini hanno protestato in Abruzzo, in Molise, in Calabria per l'arrivo di stranieri infetti in zone dove da settimane non si registrava un contagio. Se scorriamo la cronaca di luglio, non c'è stato quasi giorno senza sbarchi, fughe, tensioni e scontri, come riportato in queste due pagine. Non è che siamo diventati improvvisamente razzisti o intolleranti, semplicemente non accettiamo di essere invasi da clandestini che poi non vengono ricollocati in Europa, alla faccia dell'accordo di Malta. Rimangono in questo Paese già economicamente stremato e non riusciamo a controllarli tutti nemmeno sotto il profilo sanitario, quindi troppi positivi al Covid-19 (in Africa i casi di contagio sono in continuo aumento) arrivano, sbarcano sulle nostre coste e appena possono fuggono. Come è successo al Cara di Restinco, a Brindisi, dove un extracomunitario appena trasferito da Lampedusa era risultato infetto e trenta suoi connazionali sono scappati. O a Caltanissetta, con la fuga di massa dal Cara di Pian del Lago di 184 tunisini, tutti in quarantena: ne verranno trovati solo 139, gli altri riescono a far perdere le loro tracce e sono in tanti a chiedersi dove saranno finiti, magari con sintomi da coronavirus.Sempre in Sicilia, sono riusciti a prendere il largo un centinaio di migranti sfuggendo alla vigilanza della tensostruttura di Porto Empedocle: nei video li si vede correre lungo la strada e nei campi. Avranno raggiunto il Nord? Dopo la chiusura a fine luglio del centro di accoglienza di Campo Roja, a Ventimiglia, tra i tanti (circa 200) che vagano per la città e dormono sotto i ponti, molti sono arrivati indisturbati da Lampedusa. Abbiamo dovuto anche sopportare le immagini, il video di giovani stranieri che uscivano a loro piacimento dal centro di accoglienza di Monastir, in Sardegna, violando la quarantena e andando in giro per il vicino centro abitato. Uno di loro, un algerino, ha rapinato un bar. Perché ci sono migranti che rifiutano la quarantena per paura di perdere un lavoro faticosamente trovato, come accade nel Trevigiano o nell'Agro Pontino, ma tanti giovani extracomunitari non vogliono cordoni sanitari perché «loro» non sopportano di stare rinchiusi.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









