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2022-04-16
Immigrato dei saccheggi di Torino picchia e riduce in fin di vita bimbo
Saccheggi a Torino nel 2021 (Ansa/Polizia di Stato)
Per aver bevuto un bicchiere d’acqua senza permesso e aver vomitato nell’auto della nonna l’avrebbe punito legandogli le mani dietro la schiena con una sciarpa per poi prenderlo a pugni all’addome, procurandogli gravissime lesioni interne. Il piccolo ha sei anni ed è finito in ospedale a gennaio, dove si è salvato dopo un delicatissimo intervento chirurgico al Regina Margherita. L’aggressore è un marocchino di 23 anni, già coinvolto nell’inchiesta sui predoni dei negozi di lusso che distrussero le vetrine in via Roma, e ora è accusato di tentato omicidio e maltrattamenti in famiglia per aver «martoriato» il suo figliastro. «Tu adesso puoi fare tutto quello vuoi, non mi devi più chiedere nulla, ok? Perché io ti voglio bene e non voglio che tu stia male. Quello che tu vuoi, puoi farlo: andare dalla nonna, al mare, al parco, in piscina. Puoi fare quello che vuoi, basta che quando ti chiedono cosa è successo, dici che sei caduto dalle scale». Con queste parole pensava di convincere il bimbo a non raccontare l’orrore che viveva a casa. Ma gli investigatori, su disposizione del pm della Procura di Torino, Enzo Bucarelli, hanno captato quelle chiacchierate nella stanza d’ospedale in cui era ricoverato il bambino. La versione da ripetere era sempre la stessa: «Sei caduto e ti abbiamo portato in ospedale». Era stata già la mamma, al momento dell’arrivo al Pronto soccorso, a raccontare la storiella della caduta dalle scale. E il bimbo avrebbe dovuto confermarla. Ma le ferite riscontrate dai medici sarebbero risultate subito incompatibili con la favoletta dell’incidente. I lividi riscontrati nell’area addominale sembravano parlare chiaro. E dal posto di polizia dell’ospedale è partita subito la segnalazione alla Procura della Repubblica. Ogni conversazione captata dagli inquirenti si è trasformata in un tassello dell’accusa: «Ti prometto che non la faccio mai più. Quando esci andiamo alle giostre, ti compro la Play Station, ma non parlare». E ancora: «Se parli ti portano via e non ti vediamo più». Anche la mamma, indicata dagli investigatori come «succube del convivente» insiste col piccolo per fargli dire quella «bugia». E, convocata dagli investigatori, all’inizio nega. Quando il compagno, però, finisce in carcere con l’accusa aver preso parte alle razzie nei negozi di via Roma, si presenta in Procura e racconta l’incubo in cui era finita: picchiata e maltrattata anche mentre era incinta della seconda figlia, punizioni per il bambino, che poteva mangiare e bere solo quando lo diceva il patrigno e che in un’occasione sarebbe stato lasciato sul balcone, al freddo, con i capelli bagnati dopo la doccia. E sono saltate fuori registrazioni in cui il compagno, come riportato dalla cronaca locale torinese, terrorizzava il bambino, ripetendo le battute del film horror It: «Ti uccido, oggi ti uccido». Sentito alla presenza di uno psicologo, poi, il piccolo ha ammesso che il patrigno l’aveva picchiato, mimando i pugni e indicando la pancia. Prima non aveva mai raccontato quello che accadeva a casa e anche a scuola diceva alle maestre che andava tutto bene. Anche se era capitato che proprio in classe aveva vomitato e, subito dopo, aveva supplicato le maestre di non dirlo ai genitori «perché era stato costretto dal patrigno a mangiare del sale». L’unico campanello d’allarme era suonato durante una conversazione con una zia materna, alla quale, parlando del patrigno, aveva detto: «Mangio tanti spinaci per diventare forte e potergli dare un pugno». Le ultime due aggressioni, hanno ricostruito gli investigatori, sarebbero state così violente da spappolargli l’intestino, causargli lesioni polmonari, al pancreas e ai reni. Il marocchino ha fatto scena muta durante l’interrogatorio di garanzia. Ma ora ha fatto sapere che vuole tornare dal pm per collaborare con gli inquirenti. Probabilmente verrà convocato già dopo Pasqua. «Racconterà la verità», ha detto il suo difensore, l’avvocato Basilio Foti. «È un caso che se confermato in fase processuale dimostrerebbe ancora una volta che rispetto ai maltrattamenti in famiglia non bisogna abbassare la guardia. È doppiamente grave che coinvolga un minore ma anche la sua mamma. Servono oltre alle doverose misure previste anche dal codice rosso attività di informazione e formazione che partano da scuola e coinvolgano le donne, anche immigrate, ad avere maggiore consapevolezza dei propri diritti», ha commentato Augusta Montaruli, deputata torinese di Fratelli d’Italia. «Sconcerta quanto questo terribile episodio si accomuni alla tragedia della piccola Fatima, la bimba di tre anni caduta dal balcone mentre si trovava con il patrigno lo scorso gennaio. Episodi dove le indagini sono tuttora in corso, ma che evidenziano senza alcun dubbio una situazione di disagio sociale e di una fallita integrazione multietnica. Gli stranieri a Torino sono sempre più ghettizzati in quartieri ormai simili alle banlieue parigine, dove diventa impossibile una sana integrazione e il rispetto della civile convivenza», ha detto alla Verità il vicepresidente di Nazione futura, Ferrante De Benedictis. «È un dispiacere per la nostra comunità», è sbottato il consigliere regionale leghista Claudio Leone. «Un bambino di sei anni picchiato in modo brutale», ha aggiunto, «lascia molti interrogativi sull’integrazione in questa città. Ringrazio i sanitari che, oltre ad aver salvato il piccolo, con la segnalazione hanno portato all’arresto del patrigno. Fatti come questo confermano che Torino ha bisogno di cambiare marcia».
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L’uomo, di origini marocchine, era stato identificato fra i razziatori che scatenarono il caos in pandemia. Ha percosso e torturato il figlio di 6 anni della compagna: aveva pancreas e intestino lesionati, poteva morire. Per aver bevuto un bicchiere d’acqua senza permesso e aver vomitato nell’auto della nonna l’avrebbe punito legandogli le mani dietro la schiena con una sciarpa per poi prenderlo a pugni all’addome, procurandogli gravissime lesioni interne. Il piccolo ha sei anni ed è finito in ospedale a gennaio, dove si è salvato dopo un delicatissimo intervento chirurgico al Regina Margherita. L’aggressore è un marocchino di 23 anni, già coinvolto nell’inchiesta sui predoni dei negozi di lusso che distrussero le vetrine in via Roma, e ora è accusato di tentato omicidio e maltrattamenti in famiglia per aver «martoriato» il suo figliastro. «Tu adesso puoi fare tutto quello vuoi, non mi devi più chiedere nulla, ok? Perché io ti voglio bene e non voglio che tu stia male. Quello che tu vuoi, puoi farlo: andare dalla nonna, al mare, al parco, in piscina. Puoi fare quello che vuoi, basta che quando ti chiedono cosa è successo, dici che sei caduto dalle scale». Con queste parole pensava di convincere il bimbo a non raccontare l’orrore che viveva a casa. Ma gli investigatori, su disposizione del pm della Procura di Torino, Enzo Bucarelli, hanno captato quelle chiacchierate nella stanza d’ospedale in cui era ricoverato il bambino. La versione da ripetere era sempre la stessa: «Sei caduto e ti abbiamo portato in ospedale». Era stata già la mamma, al momento dell’arrivo al Pronto soccorso, a raccontare la storiella della caduta dalle scale. E il bimbo avrebbe dovuto confermarla. Ma le ferite riscontrate dai medici sarebbero risultate subito incompatibili con la favoletta dell’incidente. I lividi riscontrati nell’area addominale sembravano parlare chiaro. E dal posto di polizia dell’ospedale è partita subito la segnalazione alla Procura della Repubblica. Ogni conversazione captata dagli inquirenti si è trasformata in un tassello dell’accusa: «Ti prometto che non la faccio mai più. Quando esci andiamo alle giostre, ti compro la Play Station, ma non parlare». E ancora: «Se parli ti portano via e non ti vediamo più». Anche la mamma, indicata dagli investigatori come «succube del convivente» insiste col piccolo per fargli dire quella «bugia». E, convocata dagli investigatori, all’inizio nega. Quando il compagno, però, finisce in carcere con l’accusa aver preso parte alle razzie nei negozi di via Roma, si presenta in Procura e racconta l’incubo in cui era finita: picchiata e maltrattata anche mentre era incinta della seconda figlia, punizioni per il bambino, che poteva mangiare e bere solo quando lo diceva il patrigno e che in un’occasione sarebbe stato lasciato sul balcone, al freddo, con i capelli bagnati dopo la doccia. E sono saltate fuori registrazioni in cui il compagno, come riportato dalla cronaca locale torinese, terrorizzava il bambino, ripetendo le battute del film horror It: «Ti uccido, oggi ti uccido». Sentito alla presenza di uno psicologo, poi, il piccolo ha ammesso che il patrigno l’aveva picchiato, mimando i pugni e indicando la pancia. Prima non aveva mai raccontato quello che accadeva a casa e anche a scuola diceva alle maestre che andava tutto bene. Anche se era capitato che proprio in classe aveva vomitato e, subito dopo, aveva supplicato le maestre di non dirlo ai genitori «perché era stato costretto dal patrigno a mangiare del sale». L’unico campanello d’allarme era suonato durante una conversazione con una zia materna, alla quale, parlando del patrigno, aveva detto: «Mangio tanti spinaci per diventare forte e potergli dare un pugno». Le ultime due aggressioni, hanno ricostruito gli investigatori, sarebbero state così violente da spappolargli l’intestino, causargli lesioni polmonari, al pancreas e ai reni. Il marocchino ha fatto scena muta durante l’interrogatorio di garanzia. Ma ora ha fatto sapere che vuole tornare dal pm per collaborare con gli inquirenti. Probabilmente verrà convocato già dopo Pasqua. «Racconterà la verità», ha detto il suo difensore, l’avvocato Basilio Foti. «È un caso che se confermato in fase processuale dimostrerebbe ancora una volta che rispetto ai maltrattamenti in famiglia non bisogna abbassare la guardia. È doppiamente grave che coinvolga un minore ma anche la sua mamma. Servono oltre alle doverose misure previste anche dal codice rosso attività di informazione e formazione che partano da scuola e coinvolgano le donne, anche immigrate, ad avere maggiore consapevolezza dei propri diritti», ha commentato Augusta Montaruli, deputata torinese di Fratelli d’Italia. «Sconcerta quanto questo terribile episodio si accomuni alla tragedia della piccola Fatima, la bimba di tre anni caduta dal balcone mentre si trovava con il patrigno lo scorso gennaio. Episodi dove le indagini sono tuttora in corso, ma che evidenziano senza alcun dubbio una situazione di disagio sociale e di una fallita integrazione multietnica. Gli stranieri a Torino sono sempre più ghettizzati in quartieri ormai simili alle banlieue parigine, dove diventa impossibile una sana integrazione e il rispetto della civile convivenza», ha detto alla Verità il vicepresidente di Nazione futura, Ferrante De Benedictis. «È un dispiacere per la nostra comunità», è sbottato il consigliere regionale leghista Claudio Leone. «Un bambino di sei anni picchiato in modo brutale», ha aggiunto, «lascia molti interrogativi sull’integrazione in questa città. Ringrazio i sanitari che, oltre ad aver salvato il piccolo, con la segnalazione hanno portato all’arresto del patrigno. Fatti come questo confermano che Torino ha bisogno di cambiare marcia».
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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