2024-01-09
Gli indiani fanno saltare l’acciaio italiano: l’ex Ilva in gestione straordinaria
Gli stabilimenti ex Ilva di Taranto (Getty Images)
Il governo mette 1 miliardo contro i 300 milioni in capo ad Arcelor, ma il gruppo boccia la ricapitalizzazione. Al via il contenzioso legale. Incombe l’Europa sugli aiuti di Stato. Le nubi sull’ex Ilva non sembravano così nere. Eppure ieri sull’acciaio italiano, e quindi su una buona fetta della produzione italiana, si è abbattuta la tempesta indiana. Aditya Mittal, figlio di figlio di Lakshmi, presidente e patron del colosso mondiale omonimo, si è presentato a Palazzo Chigi per dire no a qualunque proposta e far saltare il banco. La proposta del governo, tramite l’azionista pubblico Invitalia che con ArcelorMittal condivide le quote di Acciaierie d’Italia (Adi), era molto semplice. Quasi un tappeto rosso. Mettere subito 320 milioni di aumento di capitale e chiudere il bilancio del 2023. Salire al 66% di Adi. Iniettare un altro miliardo di euro come seconda tranche di aumento di capitale, da sottoscrivere pro quota. In pratica solo un terzo agli angloindiani. Poi, sedersi e definire gli investimenti per rimettere in moto gli altoforni e garantire il rilancio della produzione. Che, nel frattempo, è scesa a 3 milioni di tonnellate contro i 6 previsti dall’accordo del 2020 e contro gli 8 milioni che dovrebbero garantire marginalità. Tanto per capire la gravità della situazione, il sito di Taranto (con annessi liguri) garantiva 3 milioni di tonnellate nel 1967. Un passo indietro di ben 56 anni. Di fronte alle proposte, Mittal figlio si è limitato a rispondere di non essere disposto a partecipare all’aumento nemmeno con diluizione. L’incontro è durato poco meno di due ore. Al termine il governo ha diffuso una nota piccata. «Nel corso della riunione sull’ex Ilva di Taranto, la delegazione del governo ha proposto ai vertici dell’azienda la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva», si legge nel testo, «il governo ha preso atto della indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza, e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale». Una vera e propria tragedia industriale. Per l’incertezza che provoca nel medio e nel lungo termine. Giovedì il governo dovrà incontrare i sindacati e cercare di spiegare che cosa può succedere. La risposta non è semplice. Ma porta quasi sicuramente il nome di amministrazione straordinaria. Sempre che non si scivoli addirittura nello stato di insolvenza. Dal momento che gli angloindiani stanno bloccando qualunque aumento di capitale bisognerà capire come e se passare alla gestione straordinaria. Il contenzioso legale che si è aperto ieri pomeriggio non è semplice da gestire. Va ricordato, infatti, che nel 2020 quando ArcelorMittal trattò un nuovo contratto dopo che l’anno precedente il governo di Giuseppe Conte aveva fatto saltare lo scudo penale riuscì a spuntare una serie di concessioni, fino alla buona uscita in caso di mala parata. Almeno nel caso si potesse dimostrare negligenza o colpe specifiche della parte pubblica. Al contrario, dal momento che i magnati indiani si erano detti scottati dalla cancellazione dello scudo penale, i giallorossi avevano deciso di accettare a fronte di una mini penale da 500 milioni una way out per i motivi più disparati. Si trattava a sua volta infatti di un maxi sconto rispetto alle penali previste dal contratto del 2018. In quel caso per ogni posto di lavoro perso o cancellato ArcelorMittal avrebbe dovuto pagare 150.000 euro. Totale, 1,5 miliardi di euro. Adesso i legali dovranno capire dove stanno le colpe. Il rischio è che non vengano identificate e a quel punto gli indiani manco dovranno versare il mezzo miliardo. Al contrario (in caso di colpe da parte dell’azionista Invitalia) saremmo alla beffa. La trattativa tra avvocati dirà se l’amministrazione straordinaria è possibile o se si rischia addirittura l’insolvenza. Nel primo caso Adi ha ben pochi asset da mettere in gestione. Nel secondo caso passerebbe tutto alla vecchia Ilva ancora in commissariamento e ci ritroveremmo a spostare le lancette dell’orologio dieci anni indietro. Una sberla anche per il governo. O meglio, per il ministro Raffaele Fitto, che negli ultimi sei mesi aveva preso in mano il dossier accantonando il progetto portato avanti dal Mimit di Adolfo Urso. Nel dicembre del 2022 il governo aveva modificato il patto parasociale reintroducendo lo scudo penale per gli azionisti e a fronte di ciò aveva inserito la possibilità di far entrare nella compagine player industriali cancellando l’esclusiva di Mittal.Lo scorso giugno Urso aveva apparecchiato un tavolo con Mittal, gli ucraini di Metinvest e gli italiani di Danieli. Era già stato individuato il nome dell’ad che aveva preso persino casa a Taranto. Si è poi presa un’altra strada. L’obiettivo successivo era usare i fondi green europei e proseguire nella collaborazione con gli angloindiani. Fino a dicembre scorso quando fece scalpore un memorandum tra governo e ArcelorMittal senza - stando alle cronache giornalistiche - il coinvolgimento di Invitalia. Il finale si è celebrato ieri. Il futuro - lo ribadiamo - è una grande incognita. Perché a complicare la situazione c’è la spada di Damocle dell’Europa. Dal momento che Invitalia non può sobbarcarsi, oltre al miliardo e 300 milioni di aumento di capitale, una somma analoga per gli investimenti del sito, si rischierebbe un ingresso pubblico. Facendo scattare la fattispecie degli aiuti di Stato. Potrebbe intervenire un privato modello cavaliere bianco, ma è difficile che si metta in mezzo adesso in pieno contenzioso legale. Risolta la questione della continuità aziendale potrebbe subentrare una cordata, tipo tutti i soci di Federacciai? Chi può saperlo. Ci auguriamo che il governo abbia un coniglio nel cilindro e che a noi sfugga. Altrimenti il conto sarà in capo agli italiani. Come costi e come calo del Pil.
Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)