2022-11-18
Per salvare l’ex Ilva il primo passo è cacciare i manager
Franco Bernabè (Imagoeconomica)
Produzione ai minimi e pagamenti fermi. E l’ad, espressione del gruppo franco-indiano, diserta l’incontro con governo e sigle.Le 145 aziende dell’indotto dell’acciaio ex Ilva speravano ieri di avere qualche risposta. Capire se lo stop ai pagamenti imposto in modo unilaterale da Acciaierie d’Italia potesse essere revocato. D’altronde l’incontro promosso dal governo e dai sindacati avrebbe dovuto affrontare proprio il tema dell’indotto al primo punto. Invece l’unico risultato è che le sigle hanno dichiarato quattro giorni di sciopero, mentre nessuna risposta è arrivata dall’azienda per il semplice fatto che non si è presentata. Assente Lucia Morselli, amministratore delegato di Acciaierie d’Italia e rappresentante dell’azionista Arcelormittal. Assente pure Franco Bernabè che è presidente e rappresentante dello Stato. Quest’ultimo si è limitato a dichiarare in occasione di un evento organizzato da Siderweb che «Stato e Arcelormittal si incontreranno nei prossimi giorni e decideranno come proseguire, se lo riterranno, in questa collaborazione. Certamente dal punto di vista del governo l'impegno c’è. Aspettiamo di sapere se si concretizzerà in un accordo forte con il partner», ha detto Bernabè, specificando che «la sopravvivenza e il rilancio dell’ex Ilva sono un tema importante per tutta l’industria siderurgica italiana. Lo sforzo è di minimizzare l’impatto sulle terze parti. Il cambio di esecutivo da questo punto di vista non ha aiutato, perché la situazione è così delicata che non può non avere il consenso e il supporto del governo, e il partner deve essere tranquillizzato del fatto che l’atteggiamento dello stesso esecutivo non cambi nel tempo». Su una cosa Bernabè ha ragione. L’atteggiamento del governo non dovrà più cambiare in futuro, ma - aggiungiamo noi - dovrebbe immediatamente cambiare e andare in discontinuità rispetto alle scelte del Conte bis e alla totale assenza di peso specifico praticata dall’esecutivo Draghi sul tema dell’acciaio. Nessuno deve stupirsi se siamo arrivati a tale stallo. La cassaintegrazione e il livello minimo di produzione è il risultato di scelte deliberatamente messe in atto negli ultimi due anni e mezzo. Il conglomerato di Taranto per cui solo ora Bernabé denuncia la difficoltà di trovare sostegno bancario alla liquidità ha subito le scelte della Morselli, che legittimamente rappresenta gli interessi dei suoi azionisti, i franco-indiani di Arcelormittal. I quali chiaramente hanno preferito non spingere il piede sull’accelerazione della produzione proprio nel momento (2020-2021) in cui l’acciaio è arrivato ai massimi. Salvo godere della leva commerciale in altre parti del globo o in altre parti d’Europa. Poi è arrivato il caro energia ed è stato facile imputare alla guerra in Ucraina l’innalzamento dei costi e quindi la richiesta di permanere nella cassintegrazione. La realtà è che il polo tarantino è sempre stato il concorrente di Arcelormittal. E la revisione dei rapporti tra Stato e multinazionale deve proprio partire da questo punto politico e strategico. Il governo in questo dovrebbe confrontarsi immediatamente con la controparte francese. Da un lato la produzione d’Oltralpe del gruppo Arcelormittal è privilegiata rispetto a quella tricolore. Dall’altro però i due governi dovrebbero bussare alla holding lussemburghese e capire come utilizzano i parametri fiscali e quanto scaricano sulle succursali produttive in termini di costi e di livello produttivo. In pratica Stmicroelectronics è un modello d’esempio. Oggi i franco-indiani andrebbero cacciati dall’Italia e probabilmente anche dalla Francia. Duole dirlo vista la nostra costante preoccupazione nei confronti di Emmanuel Macron, ma se vogliamo evitare che la nostra industria dell’acciaio si secchi dovremmo cercare in Parigi un partner. Aggiungiamo che sarebbe opportuno mandare via anche il presidente. L’assenza all’incontro di ieri è segnale che si vuole prendere tempo. Ma soprattutto l’intervista nella quale Bernabè scarica la scelta di bloccare i pagamenti dell’indotto sull’ad è una cosa grave. Il presidente espressione della politica e della stessa Invitalia non può non tutelare anche gli interessi del territorio e, se non riesce a farlo, è tenuto a denunciare i fatti anzi tempo. Non dopo che i buoi sono scappati.Negli anni passati abbiamo segnalato su queste colonne più volte il rischio di fidanzarsi con Arcelormittal. Come al solito inascoltati. Adesso però il problema è tangibile. Ed è così grosso che è persino sbagliato invocare il golem della transizione ecologica. Quella si farà ma prima viene la sicurezza nazionale. Perdere l’industria pesante significa essere espulsi dal G7. È chiaro che non possiamo permetterlo. Così come è chiaro che una volta espulsi non è possibile recuperare lo spazio perso. Attendiamo di capire quali decisioni verranno prese. Ma certo serve un segnale di discontinuità. Azzerare i vertici e il consiglio di amministrazione potrebbe essere il primo passo.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)