2024-06-26
L’Ue rimette l’Ilva in mano ai giudici. Ed Emiliano stappa lo champagne
Michele Emiliano (Imagoeconomica)
Sentenza europea: «Stop in caso di rischi per ambiente e salute. Decide il Tribunale di Milano». Il governatore esulta, ma la decisione azzoppa i piani di salvataggio proprio mentre vengono prolungati i dazi sull’acciaio.Taranto vive in uno specchio che ricorda il giorno della marmotta. Un loop dal quale sembra impossibile uscire e il cui unico risultato è che l’ex Ilva nel 1967 produceva 3 milioni di tonnellate e quest’anno se va bene arriverà a 1,8 milioni. In mezzo politica, veti incrociati, sentenze contro che in nome della volontà di tutelare la salute dei cittadini hanno lasciato a casa lavoratori e affamato mezza regione. Così mentre si cerca di rilanciare la produzione dopo una seconda procedura di amministrazione straordinaria e si attende che un compratore estero si sommi a qualche operatore italiano, dalla Corte Ue arriva l’ennesimo calcio alla ruota del tempo. «Se l’ex Ilva presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana il suo esercizio dovrà essere sospeso. Valutare questi rischi, spetta al Tribunale di Milano». Parole e opere della Corte di giustizia dell’Unione europea che ieri si è premurata di sottolineare anzitutto «lo stretto collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, che costituiscono obiettivi chiave del diritto dell’Unione, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». «La direttiva contribuisce al conseguimento di tali obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere», dice la sentenza. Mentre, secondo il governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario, la Corte rileva che la nozione di inquinamento ai sensi di tale direttiva include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana. Pertanto, «la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria Ilva su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all'esercizio». Inoltre, secondo la Corte di giustizia «il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione». A fronte di ciò, nella sentenza si legge che «contrariamente a quanto sostenuto dall’azienda e dal governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti». L’azienda ha commentato ricordano in una nota che la sentenza «fa riferimento a fatti risalenti al 2013, oggi ampiamente superati grazie agli ingenti investimenti effettuati per il risanamento ambientale».A questo punto - e ci sembra di essere tornati alla stagione della famiglia Riva - la palla è destinata a tornare nelle mani dei giudici. Non sappiamo se la sentenza cada come si suol dire a orologeria, ma di certo il tempismo è perfetto per i concorrenti dell’Italia. Non solo la produzione è ai minimi storici, ma la fretta non aiuta certo lo sviluppo di un piano industriale di lungo respiro. All’orizzonte c’è infatti l’introduzione di tutto il pacchetto di imposte sull’ambiente che va sotto il nome Cbam, imposte volute dall’Ue e che finiranno per penalizzare l’intera industria dell’acciaio. La sentenza getta ulteriori incertezze sugli investitori che avevano trovato nel governo un minimo di appoggio. Va ricordato che a dicembre 2022 l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha reintrodotto lo scudo penale nelle attività di bonifica e rilancio. Questa nuova sentenza, nel caso di una conferma del Tribunale di Milano, apre altre possibili fattispecie non tutelate dallo scudo. Che effetto avrà sugli ucraini di Metinvest? Tanto per fare un esempio. Ora non lo sappiamo, ma la risposta di Michele Emiliano fa tremare i polsi. Mentre i sindacati si sono mantenuti equidistanti, il presidente della Puglia ha esultato definendo quella di ieri una giornata «memorabile non solo per la comunità di Taranto ma per tutti i cittadini europei». Ottimo, se l’idea è rendere una regione totalmente priva di industria e trasformare i cittadini in meri destinatari di sussidi. Male se invece si cerca di far bilanciare ciò che la stessa Costituzione italiana prevede. Cioè che il diritto al lavoro e alla salute sono paritetici. Quando lo capiremo forse sarà troppo tardi. A fronte di un deserto industriale ci sarà sarà poco da difendere. Per cui la giornata di ieri è tutt’altro che memorabile e tra l’altro si scontra con una delle poche notizie positive che arrivano da Bruxelles. Ieri, i vertici della Commissione hanno prorogato fino al 2026 le misure di salvaguardia dell’acciaio. La proroga è giustificata da una combinazione di fattori che hanno portato a una pressione sulle importazioni. Si tratta di livelli elevati di sovracapacità globale e aumento delle esportazioni dalla Cina e di conseguenza una nuova forma di triangolazione che alza i prezzi. Di fronte a uno spiraglio di altri 18 mesi di tutela, l’Ilva avrà invece da occuparsi di altro. Nuove carte, nuove udienze e investitori che vanno e vengono. Ogni tanto viene lo sconforto.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)