2019-09-18
Il vero obiettivo di Renzi sono le partecipate
Nel suo programma, come ha detto a «Repubblica», c'è la fusione tra Leonardo e Fincantieri. Dietro al progetto non c'è alcuna ideologia ma solo ricerca di potere. Il messaggio infatti è rivolto a tutti i manager pubblici: venite con me. Nel mirino pure l'Eni.Nella lunghissima intervista con cui Matteo Renzi annuncia la scissione del Pd ci sono tante sfumature psicologiche, tutte riconducibili alla sua necessità di rimanere sempre al centro dell'attenzione. Mancano invece reali motivazioni politiche. Spinte ideologiche nemmeno a parlarne: si tratta solo di potere. E non ci vuole un esegeta per capirlo: è lo stesso Renzi a svelarlo in corso d'intervista.«Non sono interessato a mettere il naso nelle nomine, ma voglio dire la mia sulle strategia», ha detto a Repubblica. «Perché continuiamo a tenere divise Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri? Che senso ha? Non rischiamo di farci mangiare da partner europei che investono più di noi sullo spazio e sulla difesa?». Come i cani che appena usciti di casa marcano il territorio, l'ex sindaco di Firenze aveva troppa fretta di definire il proprio perimetro di competenza che non è nemmeno riuscito ad attendere l'evento della Leopolda previsto per ottobre. Dal momento che in ballo non ci sono scelte politiche, per il suo nuovo schieramento è importante fissare già da ora i paletti di competenze che riguardano le nomine. Perché solo di questo si tratta: gestire le partecipate e individuare i propri uomini di fiducia. E nella grande abbuffata di poltrone (che si apre da oggi fino alla nomina del successore di Sergio Mattarella) ciò che conta per Renzi è essere sempre al centro. La frase estrapolata dall'intervista a Repubblica fa specifico riferimento a quello che comunemente viene chiamato piano Capricorn. Cioè l'idea che Cdp possa riacquistare alcune partecipate direttamente dal Tesoro, con il duplice obbiettivo di ridurre il perimetro del debito pubblico e al tempo stesso accentrare dentro Cdp la cabina di regia delle nomine. Nello specifico questa non è un'idea partorita da Renzi ma dai 5 stelle, e potrebbe essere appoggiata pure dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Tesoro e Cdp si appresterebbero a fare i calcoli per vendere a Cassa depositi e prestiti le quote del 30,2% che il Mef detiene nel colosso della Difesa con sede in piazza Monte Grappa. Il progetto sarebbe di incassare a spanne una cifra che si aggirerebbe sui 2,3 miliardi di euro. In questo modo il controllo resterebbe pubblico, ma il governo riuscirebbe a scambiare patrimonio contro debito. Infatti il Tesoro lo scorso giugno ha incassato circa 800 milioni da Cdp perché necessitava di una riduzione del deficit. Incassando la vendita delle azioni, porterebbe a casa direttamente una riduzione del debito, come promesso all'Ue. Dal punto di vista contabile sarebbe più una partita di giro. Inutile dire che non si tratterebbe di una privatizzazione. Cassa gestisce infatti i risparmi dei pensionati e la raccolta di Poste, oltre a fungere da tesoreria per lo Stato. Una volta incamerata Leonardo, per Cdp - che già adesso detiene Fincantieri - sarebbe poi semplice avviare una fusione. Un progetto che Giuseppe Bono sostiene da molto tempo. Ne abbiamo discusso sulle colonne della Verità anche in occasione dell'accordo tra la stessa Fincantieri e la francese Naval group. Su questa idea molti analisti continuano ad avanzare dubbi, per via della diversità dei due business. Ma soffermarci troppo sulla fusione in sé significa cadere nel tranello dello storytelling renziano. La citazione dei due colossi della Difesa è strumentale. Renzi non ha alcuna idea precisa in merita e nemmeno sarebbe stato imbeccato dall'amico Sandro Gozi che ora fa il consulente del governo francese. Si tratta piuttosto di un messaggio cifrato rivolto a tutti i manager pubblici. Un invito abbastanza palese a convertirsi tutti (di nuovo) al renzisimo. La stanza dei bottoni la gestisco io - sembra dire l'uomo di Rignano - e solo io deciderò le strategie e gli accordi con i Paesi esteri, che contano. Ad esempio il Qatar o l'Arabia Saudita. In questo modo Renzi punta all'Eni e a coordinare le altre partecipate dell'energia come Enel (anch'essa citata nell'intervista). Stavolta al fianco di Renzi ci saranno gli uomini che in passato hanno collaborato con Silvio Berlusconi. Lo si capisce dai viaggi portati avanti dal senatore semplice di Scandicci e dalle relazioni internazionali. A Renzi non basterà far entrare nella sua casa un plotone di esponenti di Forza Italia: per trasformare il suo progetto nella vera Casa delle libertà dovrà disporre anche della massa critica dei manager e dell'appoggio delle grandi partecipate pubbliche. Solo così Berlusconi potrà trovare il suo delfino, e la schiera di Forza Italia potrà fuoriuscire. Uno schema indipendente dagli esiti elettorali (anzi), ma in ogni caso estremamente pericoloso. L'incognita si trova al Colle. Come reagirà Mattarella? Il presidente della Repubblica scenderà a patti o farà muro? La spregiudicatezza di Renzi rischia di far saltare il banco e quindi di spezzare il piano filoeuropeista imbastito dalle parti del Quirinale, che ora comincia a scarseggiare di assi nella manica. Nelle prossime settimane ci sarebbe anche da divertirsi, se in ballo non ci fosse il nostro Paese.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci